Cinese e giapponese, analogie e differenze
Lingue & Culture
Scritto da Silvia Licata   

Molte volte vi sarà capitato di assimilare fra loro due culture, quella cinese e quella giapponese, fatto abbastanza comune persino nei tempi dell’era globale. Nella realtà, il solco fra questi due mondi, pur tenendo conto delle analogie, è piuttosto profondo. Indipendentemente dai luoghi comuni e dagli stereotipi, che non prenderemo in considerazione, condurremo la nostra analisi confrontando fra loro i due rispettivi sistemi linguistici specularmente, dal punto di vista genetico, tipologico, sintattico e del sistema di scrittura.
Geneticamente, il cinese è una lingua sinotibetana. Il gruppo sino-tibetano, il cui progenitore è il proto-sino-tibetano, comprende varie lingue asiatiche, distinte fra loro in sinitiche, cui appartiene il gruppo delle lingue cinesi, e in tibeto-birmano, cui appartengono il tibetano, il birmano e il thailandese.
Dal punto di vista fi lo-genetico il giapponese è invece una lingua uralo-altaica. Il gruppo uralo-altaico, derivante dal proto-uralo-altaico, comprende, a diff erenza del sino-tibetano, non solo lingue asiatiche, ma anche lingue europee, e immaginare che ci sia una relazione fra loro e il giapponese, è veramente strabiliante. Il gruppo uralo-altaico si distingue in un sotto gruppo uralico, il cui nome deriva dai monti Urali, perché vi appartengono lingue di quella zona:estone, fi nlandese, ungherese, mordvino, mari, permiano, e in un gruppo altaico, cui appartengono manciù, mongolo, coreano, kazako, turco, uzbeko. Ci sono peraltro in merito altre teorie piuttosto contrastanti, che vorrebbero invece il giapponese una lingua austronesiana, cioè affine all’indonesiano, o tibeto-birmana. Ma nessuna di queste teorie soddisfa in pieno i dubbi sull’origine di questa lingua, conseguentemente, tenendo comunque conto di tutti gli studi fatti e di tutte le teorie, la si continua a considerare una lingua uralo-altaica del ramo orientale appartenente alla famiglia nipponica.
Dal punto di vista tipologico, il cinese è isolante, ovvero, non possedendo alcun cambiamento morfologico, è formata da parole invariabili. Ciò si spiega col fatto che si tratta di una lingua monosillabica, dove un singolo morfema è già portatore di signifi cato e, quindi, le sue parole non possono essere scisse in altri elementi morfologici più piccoli. Il giapponese è invece semi-agglutinante. Da una parte, le sue parole sono formate, contrariamene a quanto accade in cinese, da più parti o morfemi, “agglutinati”, ossia “incollati” fra loro. Partendo perciò da una radice, portatrice di signifi cato, è possibile ottenere altre parole attaccandole affi ssi, prefi ssi o suffi ssi di natura morfologica. Questi agganci non danno luogo a fusioni, e, pertanto, è ancora possibile riconoscere e scomporre le parole nei vari elementi componenti. D’altra parte, il giapponese possiede anche una natura fl essiva, ovvero usa esprimere le funzioni morfologiche mediante gli stessi suffissi, come succede ad esempio in italiano.
Dal punto di vista sintattico, il cinese è una lingua SVO, ovvero, all’interno di ogni struttura sintattica, l’ordine degli elementi è soggetto-verbo-oggetto. Il giapponese è una lingua SOV, la cui struttura è quindi soggetto-oggetto-verbo.
Infi ne, particolarità del cinese rispetto al giapponese è la sua struttura a toni. Esistono quattro toni di pronuncia, alto, ascendente, discendente, secco, che non sono importanti solo a livello di pronuncia, ma anche perché danno alle parole valore distintivo. Ovvero termini del tutto uguali sotto il profi lo della pronuncia vengono distinti utilizzando il tono per distinguerle fra loro dal punto di vista del signifi cato. Esiste nella realtà anche un quinto tono, che è però un tono neutro, dove la sillaba perde il suo tono originario per assumerne uno breve e di altezza variabile a seconda del contesto tonale precedente.
Passando ad analizzare i due sistemi di scrittura, per quanto a noi possano sembrare se non uguali simili, esiste invece moltissima diversità, pur essendoci una radice comune. L’origine della scrittura cinese non è chiara e per ricostruirne l’antico percorso, si suole partire dall’analisi di antichi gusci di tartaruga e ossa di animali incisi con testi dal tema religioso e ritrovati nella provincia centrale cinese dell’Henan. Non si può parlare di un alfabeto cinese, in quanto non siamo di fronte ad un sistema di simboli rappresentanti suoni come accade, per esempio, nel caso delle lingue che usano il sistema di scrittura latino o cirillico, d’altro canto, defi nirlo come ideografico non è corretto. In principio ogni simbolo corrispondeva a un’idea o concetto, ma con il tempo i segni si sono stilizzati sempre di più, perdendo la loro somiglianza originaria con con l’immagine dei concetti che andavano a rappresentare. Inoltre, all’interno della lingua cinese, è possibile riconoscere non solo ideogrammi, ma anche pittogrammi, logogrammi, prestiti fonetici, composti semantico-fonetici, pseudo-sinonimi. Attualmente, ogni segno è composto di tre unità: grafica, di senso e di suono. Durante l’arco di millenni e il succedersi delle varie dinastie, si è man mano passati da uno stile di scrittura all’altro, per poi arrivare a quello tutt’ora insegnato nelle scuole calligrafi che, creato sotto la dinastia Han e chiamato Esemplare. Oggi ne esiste anche un altro, detto Corrente, usato molto frequentemente. Inoltre, con la riforma del 1956 la scrittura è stata semplifi cata sia riducendo il numero di tratti a 2235, sia il numero di caratteri a più di 56.000, anche se per un uso medio della lingua cinese è suffi ciente conoscerne 3.000. Ovviamente più caratteri si conoscono, più si è considerati culturalmente di grado elevato. Per i cinesi residenti all’estero è spesso possibile parlare di un analfabetismo detto “di ritorno”: avendo il cinese un sistema di scrittura basato sulla capacità di imparare e ricordare gli ideogrammi, e non avendo un vero alfabeto come riferimento, la vita in contesti culturali stranieri che utilizzano altre scritture dà luogo all’impossibilità di continuare a leggere e quindi di continuare a memorizzare o trattenere in memoria i segni cinesi. Pertanto, è uso e necessità per i cinesi tornare periodicamente in Cina e farvi trascorrere una parte signifi cativa di anni ai propri bambini, soprattutto nel loro periodo formativo.
Il verso della scrittura è per tradizione verticale, ma nell’uso odierno è diventato orizzontale da sinistra a destra. Ogni simbolo deve essere necessariamente tracciato dall’alto al basso e da sinistra a destra, senza mai staccare la penna dal foglio e lasciando una medesima distanza fra un segno e l’altro.
Il sistema di traslitterazione del cinese, cioè il passaggio dall’ “alfabeto” cinese a quello latino è il pinyin, benché ne vengano utilizzati anche altri di minore importanza. Quando acquistiamo un libro di cinese, è importante fare attenzione al sistema di traslitterazione usato, perché nella norma chi insegna questa lingua si serve del pinyin e lo studiare su un altro sistema può comportare enormi diffi coltà e indurre in errore.
Il giapponese di per sé non aveva un proprio sistema di scrittura, e, quindi, grazie anche all’arrivo del Buddismo nelle isole nipponiche, adottò quello cinese, tant’è che i primi documenti letterari giapponesi furono redatti in cinese. L’originalità della scrittura giapponese sta, da una parte, dell’aver “adattato” il sistema cinese, creando su di esso un sistema di 48 segni, gli hiragana, sia nell’aver ideato i katakana, segni semplificati creati appositamente dagli studenti buddisti. In effetti, guardando gli scritti giapponesi, è possibile sia riconoscere dei segni piuttosto elaborati, morbidi, ovvero i kanji, che sono quelli derivati dal cinese e poi adattati, costituenti gli hiragana, che dei segni angolari, più stilizzati, meno eleganti, ovvero, per l’appunto i katakana. Oggi questi ultimi vengono utilizzati per defi nire pronunce straniere o per indicare termini derivanti da altre lingue.
Il giapponese può essere considerata una lingua ideografica, ma nella realtà gli antichi kanji cinesi non venivano letti nel loro senso concettuale, ma solo foneticamente. Attualmente, i kanji possono essere letti, almeno dalle persone colte, sia foneticamente sia ideograficamente. Gli ideogrammi possono anche avere più di una lettura fonetica e più di una lettura ideografica. Ci sono inoltre delle chiavi o radicali – 214 – che rispetto ad un ideogramma possono trovarsi a sinistra, a destra, sopra, sotto o internamente.
Anche il sistema di scrittura giapponese conobbe l’uso di stili diversi e un periodo riformista molto importante. Nel 1850, infatti, venne stabilito che gli ideogrammi di uso comune dovevano essere 1850 e che di questi, 881 dovevano essere insegnati negli istituti di ordine primario. Sul finire della II guerra mondiale si pensò all’abolizione del sistema ideografi co, causa la sua complicatezza e irrazionalità e perché considerato causa della sconfitta nipponica, ma ciò non avvenne. Il numero di ideogrammi venne semplicemente ridotto. Il verso di scrittura è sia verticale procedendo da da destra a sinistra e orizzontalmente da sinistra a destra. I tratti si eseguono dall’alto in basso e da sinistra a destra, un segno inclinato a sinistra è scritto prima di quello inclinato a destra, le linee orizzontali vanno tracciate prima delle verticali, infi ne il segno centrale va scritto prima delle “ali” simmetriche e completato dall’interno verso l’esterno. Se presente, la linea di base è posta a completamento del segno centrale, e una linea verticale o orizzontale che taglino l’ideogramma vengono scritte per ultimo. I segni non vengono mai separati fra loro da alcuno spazio.
Anche il giapponese, così come il cinese, conosce un sistema di traslitterazione, il Romāji, basato sul sistema Hepburn, in cui le vocali sono pronunciate come in italiano e le consonanti come in inglese.
Per concludere, entrambe le culture, sia cinese che giapponese, hanno creato un’arte calligrafi ca, salvo il fatto che in giapponese per i segni katakana, essendo decisamente lineari e squadrati, ciò non si è verificato.
Si tratta di un’analisi ancora approssimativa, ma comunque, siete a questo punto sicuri che sia possibile assimilare le due culture l’una all’altra?