Inglese, tedesco e olandese a confronto
Lingue & Culture
Scritto da Silvia Licata   

Questo mese vi propongo un viaggio che ci condurrà dalla brughiera alla Foresta Nera, dalle bellissime scogliere dei mari del nord verso le verdi pianure sconfinate delle Fiandre, ripercorrendo il sentiero delle antiche popolazioni germaniche occidentali abitanti un tempo questi territori, per poi arrivare ai giorni nostri.
Gli antichi Germani occidentali, suddivisi in varie tribù, erano situati lungo le coste del Mare del Nord, nella penisola dello Jütland, in Germania e Olanda settentrionali. Durante il III secolo d.C., iniziarono le loro incursioni nelle isole britanniche, già abitate da popolazioni celtiche, che si perpetrarono fino al VI secolo d.C., momento della loro conquista definitiva. Altre popolazioni germaniche occidentali rimaste in Europa continentale ebbero sorti diverse. In particolare quelle residenti nello Jütland, ovvero gli Juti, vennero assorbiti dai Danesi, Germani settentrionali, le altre vennero in parte assorbite dai Franchi, altra popolazione germanica occidentale, e, infine, i Sassoni andarono alla conquista dell’Italia insieme ai Longobardi.
È da questo momento che si inizia a intravvedersi il formarsi di popolazioni germaniche dalla fisionomia più netta, con il conseguente nascere delle lingue germaniche che conosciamo oggi, fra cui inglese, tedesco e olandese, sulle quali verte la nostra analisi, avente come fine l’individuarne il corretto collegamento fra l’una e l’altra.
La storia della lingua inglese si suole suddividere in tre periodi: antico dal VII secolo al XII secolo, medio dal XII secolo al XVI secolo e moderno dal XVI secolo a oggi.
La fase antica non conosce ancora effettivamente un inglese definito. È il momento in cui gli Angli, gli Juti e gli antichi Sassoni, provenienti dall’Europa continentale, avevano terminato la loro fase di conquista delle isole britanniche. Al loro arrivo in queste nuove terre, i Germani ne colonizzarono gli antichi abitanti, i Celti, che già avevano conosciuto la dominazione romana di Giulio Cesare. La lingua è l’anglosassone, che si sovrappone alle parlate celtiche. Questo ci fa immaginare, quindi, che l’inglese non sarebbe affatto una lingua germanica né sicuramente la lingua che conosciamo oggi, se gli antichi Germani non avessero colonizzato le isole britanniche. Per inglese, conosceremmo una lingua celtica moderna. Ed effettivamente, ciò spiega perché, pur avendo Gran Bretagna e Irlanda lingua ufficiale inglese, in realtà abbiano ancora vive realtà linguistiche celtiche (gaelico in Irlanda, Isola di Mann, Scozia e poi ancora gallese nel Galles e cornovagliese in Cornovaglia). Ma anche nella lingua inglese stessa, le impronte del celtico sono ben presenti. Toponimi e idronimi quali Kent, Leeds, Londra, Tamigi sono celtici.
Sempre del periodo antico sono le incursioni dei vichinghi, ovvero Germani settentrionali che influenzarono notevolmente l’anglosassone (le parole inglesi birth, bloom, dream, get, sky, solo per ricordarne alcune, nonché tutti i pronomi di terza persona plurale, ossia they, their e them come pure la forma del verbo essere are, sono di origine vichinga). Con l’arrivo dei normanni (cioè “uomini del nord”, dalle parole North/Nord = nord + man/Mann = uomo, antica popolazione germanica settentrionale stanziatasi nel nord della Francia, da cui il toponimo Normandia), l’anglosassone subì un ulteriore cambiamento, assorbendo moltissimi francesismi, relativamente almeno ad alcuni ambiti della vita (politica, religione, arte, scienza, vita militare: baron, court, abbey, clergy, art, colour, arms, battle). L’inglese antico è allora la sintesi di questi fattori linguistici: celtico (sostrato), latino (adstrato, dominazione di Giulio Cesare), germanico occidentale (nella fattispecie anglosassone come superstrato), norreno (influenza vichinga), francese (presenza normanna e francese propriamente detto). Durante la fase media, l’influsso francese è sempre più determinante. Non solo il lessico ne è influenzato, ma anche il sistema ortografico ne subisce le conseguenze. Ad esempio, l’uso di indicare il suono della s aspra mediante la grafia di c (city, prince) è di origine francese.
Come abbiamo visto, non tutti i Germani migrano verso le isole britanniche, molti rimangono sul continente. E sono proprio costoro che danno luogo alla nascita del tedesco e dell’olandese.
La storia della lingua tedesca, oltre a dividersi in periodi, si distingue anche geograficamente, a seconda che si sia nell’area meridionale (zona dell’alto tedesco) o settentrionale (zona del basso tedesco). Questa differenziazione, detta ich/ik (cioè “io” pronunciato diversamente in area meridionale o settentrionale), apre la storia del tedesco al fenomeno della seconda mutazione consonantica, tipico esclusivamente di questa lingua, ma che ricollega anche all’olandese. La fase antica del tedesco, dall’VIII secolo al XI secolo, riconosce sia un alto tedesco antico, cioè un insieme di dialetti meridionali, che un basso tedesco antico, ovvero un insieme di parlate settentrionali, in cui la seconda mutazione consonantica è assente o parzialmente presente. L’olandese, che deriva dal basso francone, il quale appartiene proprio all’area basso tedesca, zona ik, è quindi, come il tedesco settentrionale, privo di seconda mutazione consonantica. Dall’XI secolo al XV secolo abbiamo la fase dell’alto tedesco medio in area meridionale e dal XIII secolo la fase del basso tedesco medio in area settentrionale, e, infine, con l’avvento della Riforma Protestante, il basso tedesco viene soppiantato dall’alto tedesco, ovvero dal tedesco meridionale, per cui dal XVI secolo a oggi abbiamo soltanto il periodo dell’alto tedesco moderno.
La fase dell’alto tedesco medio è caratterizzata dalla presenza di francesismi di area militare: tedesco Abenteuer dall’alto tedesco antico aventiure dal francese aventure, tedesco Banner dall’alto tedesco antico banier dal francese bannière, ecc.
La fase dell’alto tedesco moderno è caratterizzata ancora dall’ingresso di francesismi e latinismi pertinenti l’educazione.
L’olandese, come abbiamo visto, lingua nata, come il tedesco, da quei Germani occidentali rimasti nell’Europa continentale, è imprecisamente definito lingua olandese. Nella realtà, è corretto denominarla lingua nederlandese, comprendente l’olandese, lingua ufficiale d’Olanda, e il fiammingo, lingua ufficiale del Belgio (una delle tre; le altre due sono francese e tedesco). Il termine “nederlandese” letteralmente vuol dire “lingua dei paesi bassi” da neder = basso (lo stesso termine lo troviamo anche in tedesco con nieder) e land = terra, paese, laddove per “paesi bassi” non si intende solo l’Olanda, ovvero quello Stato che politicamente viene anche denominato “Paesi Bassi”, ma tutta quell’area nederlandofona che geograficamente, a livello orografico, è sita in basso, cioè sotto il livello del mare, comprendendo perciò anche il Belgio fiammingo.
La storia del nederlandese si suddivide in tre periodi: antico, dal VII secolo al XII secolo, medio, dal XII secolo al XVI secolo, moderno dal XVI secolo a oggi.
La fase media rientra nell’ambito del basso tedesco antico, il quale comprende il basso francone, antenato, come già detto, del nederlandese.
Le influenze esterne che si riscontrano in questa lingua sono grosso modo le stesse visibili in tedesco, perché si tratta di due aree geografiche contigue e che tendono a compenetrarsi fra loro. Quindi, anche il nederlandese risente dell’influsso francese; tuttavia, rispetto al tedesco, esso assimila in più termini provenienti da altri continenti, come risultato della colonizzazione di territori extraeuropei.
Spostandoci da questa panoramica di inquadramento delle tre lingue in oggetto, passiamo al confronto diretto in fonetica, lessico, morfologia e sintassi.
Foneticamente, osserviamo che l’inglese ha un suono totalmente diverso rispetto al tedesco e all’olandese, e ciò è anche la ragione per cui molto difficilmente viene percepito come lingua germanica. Il suono morbido dell’inglese si spiega con il susseguirsi delle varie dominazioni che si sono succedute nelle isole britanniche. Possiamo ad esempio pensare agli antichi suoni germanici [gh], [k], [sk], che da velari diventano palatali o semivocali: [g], [c], [sh], come in questi casi: germanico keusan, inglese choose; germanico geldan, inglese yield, germanico fisk, inglese fish. In tedesco e olandese si osserva invece una conservazione degli antichi suoni germanici, ad esempio: germanico keusan, olandese kiezen; germanico geldan, tedesco gelten, olandese gelden. In generale, dunque, tedesco e olandese tendono alla velarizzazione e alla fricativizzazione dei suoni. L’olandese in più rende fricativi anche i fonemi normalmente velari. L’impatto uditivo che ne risulta è quindi particolarmente duro.
Altro segno distintivo dell’inglese è l’assenza della dieresi, ossia dei due puntini che in diverse lingue si usano posizionare sulle vocali. In tedesco è fortemente presente per modificare il suono delle vocali: ad esempio ä = a + e = metafonia di e su a, per cui si pronuncia “e”. In olandese, invece, la sua presenza è rara e con un altro significato: come in francese, viene indicata per separare i dittonghi, cioè le unioni di vocali, che altrimenti darebbero luogo ad un unico suono.
Dal punto di vista lessicale, il materiale di tutte e tre le lingue è ovviamente germanico, ma con delle precisazioni da aggiungere. In inglese è frequente per moltissime parole una doppia terminologia. Ossia, spesso un vocabolo possiede sia una forma germanica che una forma latina o francese. Quest’ultima è quella meno usata e appartiene alla sfera dotta. Per esempio, la parola “capire” viene tradotta con understand, di origine prettamente germanica, ma anche con comprehend, di origine latina. Molte parole indicanti gli animali domestici, hanno poi una forma germanica, come calf = vitello, ox = bue, ma ne hanno anche una di origine francese per indicare lo stesso animale cotto e servito a tavola: veal = vitello, beef = bue.
In tedesco e olandese la situazione lessicale è più netta. Ad un vocabolo corrisponde un termine o più termini, tutti con la stessa origine (germanica o latina). Spesso si può notare che ciò che in tedesco e olandese è di origine latina, in inglese è di origine germanica: cavallo, in tedesco Pferd, in olandese paard, entrambi dal latino paraueredus, ma in inglese horse. Molti altri vocaboli, soprattutto quelli di base, che per loro importanza difficilmente possono essere stati importati anche anticamente da altre lingue, sono di origine germanica per tutte e tre le lingue e quasi identiche fra loro: acqua in inglese water, in tedesco Wasser, in olandese water.
Morfologicamente, la situazione inglese è inusuale considerata la sua essenza germanica. Innanzitutto, vi si osserva una forte presenza di parole monosillabiche o bisillabiche: go, think, come, do, give, ecc. Ciò si spiega in quanto in area anglosassone il progressivo indebolirsi dell’antico accento germanico di natura intensiva, sempre posizionato sulla sillaba iniziale della parola, provoca la caduta delle sillabe finali, avendo come risultato un vocabolario formato, per l’appunto, per la maggior parte di monosillabi o bisillabi. Questo fenomeno porta un’ulteriore conseguenza: perdendo le sillabe finali, le parole perdono anche la loro terminazione morfologica, facendo sì che una parola, essendo slegata dal contesto, non possa essere facilmente interpretata (invariabilità delle parti del discorso, mancanza di coniugazioni vere e proprie, una unica forma per indicare sostantivo, verbo, aggettivo). Con questo, nasce, di conseguenza, l’esigenza di ricorrere all’ordine fisso dei vocaboli nelle frasi, di esprimere, ad esempio, sempre il soggetto al fine di individuare il verbo e la sua persona, e così via. In tedesco e olandese tale processo di lenizione dell’accento non si è verificato, conseguentemente la presenza di monosillabi e bisillabi è molto meno intensa, le parole hanno conservato nel tempo le loro desinenze morfologiche e, pertanto, l’interpretazione del loro senso dà luogo a meno ambiguità. Inoltre, qui vi è l’uso di formare delle parole composte, avendo come risultato vocaboli con una grande quantità di sillabe: Liebesgeschichte, Einladungsbrief, Preisüberwachung, diepvriesgroente, krantenverkoper, ecc. Particolarità per il tedesco è lo scrivere i sostantivi sempre con l’iniziale maiuscola.
Un’altro esempio che distingue l’inglese rispetto al tedesco e all’olandese è quello di non avere un genere grammaticale, ma naturale. Ovvero, in tutte e tre le lingue sono presenti maschile, femminile e neutro, ma l’inglese distingue l’appartenenza all’uno o all’altro genere sulla natura dell’essere. Man significa “uomo” e, in quanto tale, ha natura maschile, pertanto altro non sarà se non un sostantivo maschile; woman significa “donna” e, in quanto tale, ha natura femminile, quindi altro non sarà se non un sostantivo femminile; bag significa “borsa”, e, in quanto tale, essendo un oggetto e non un essere umano, non può essere altro se non un sostantivo neutro. In tedesco e olandese, invece, i sostantivi sono connotati grammaticalmente. In tedesco, ad esempio, Tasche = borsa è di genere femminile, pur essendo un oggetto e non un essere umano. In olandese la situazione è simile al tedesco, ma meno netta. Esistono due tipologie di nomi, gli het-woorden, sempre grammaticalmente neutri, e i de-woorden, che possono essere grammaticalmente sia maschili che femminili. Per ogni sostantivo è comunque peraltro piuttosto complicato stabilire di fronte a quale genere ci troviamo.
L’aggettivo in inglese è sempre invariabile, in tedesco sempre variabile, in olandese a volte variabile e a volte invariabile. Sintatticamente, mentre l’ordine delle parole all’interno di una frase in inglese è fisso, ed è sempre soggetto, verbo, complemento oggetto (tipologicamente è una lingua SVO), per tedesco e olandese non è così. Il soggetto non è necessariamente il primo termine di una frase, il verbo è sempre al secondo posto se semplice, mentre se composto, solo l’ausiliare si trova al secondo posto, e il participio passato va posizionato in fondo alla frase, dopo tutti gli altri elementi. Esistono poi altre varianti in merito, in base, ad esempio, alla presenza di frasi principali, subordinate, preposizioni, ecc. Ad esempio supponendo di tradurre la frase: “Io non l’ho mai visto”, in inglese avremo: I have never seen him , in tedesco ich habe ihn nie gesehen, in olandese ik heb hem nooit gezien.
Complessivamente, tale analisi ci porta a concludere che, pur essendo una lingua germanica, l’inglese rappresenta, con le sue peculiarità, un universo linguistico separato. È la lingua germanica che più si è evoluta e differenziata rispetto al germanico comune, ed è considerata come la “più latina” fra le lingue germaniche. Tedesco e olandese mostrano fra loro maggiori affinità e somiglianza rispetto all’antico germanico; tuttavia la lingua olandese, o per meglio dire nederlandese, ha caratteri meno definiti in confronto sia all’inglese che al tedesco, poiché ha elementi che talvolta la avvicinano più alla prima, talvolta più alla seconda. Pertanto, l’olandese costituisce, all’interno del gruppo germanico occidentale, il “ponte” linguistico e culturale fra inglese e tedesco.