La curiosità uccise il gatto
Lingue & Culture
Scritto da Silvia Licata   

Lo scrittore polacco naturalizzato inglese Joseph Conrad (1857 – 1924) affermò che per chi insegna le lingue il mondo è solo un “parolaio” e l’essere umano diventa un noioso pappagallo. Questa affermazione non mi vede concorde, perché insegnando, ho sempre associato, e in modo naturale, lo studio di una lingua in quanto tale con aspetti culturali e filologici, tali da rendere interessanti lezioni e apprendimento.
D’altra parte è vero che le vecchie metodologie di insegnamento linguistico non permettevano molta creatività e poco si trasmetteva culturalmente. Benché gli studi filologici fossero già nati (siamo nell’Ottocento), rimanevano appannaggio esclusivo degli studiosi e non esisteva il desiderio e neanche l’idea di trasmetterli a chi imparava una lingua. In epoca attuale, con la globalizzazione, tuttavia, la situazione non è peraltro cambiata. Esistono varie metodologie di studio delle lingue, la didattica si è evoluta, vengono pubblicati di continuo libri e manuali in merito, ma, alla fine, il risultato, per chi le insegna, non fa che dare ragione a Conrad. Per controvertire la sua opinione, dò quindi ai lettori degli spunti apprezzabili che valideranno la mia idea sul perché una lingua è molto più che se stessa, perché, se già comunicare utilizzandola è tanto, conoscerla in ogni altro suo aspetto ne diventa il “Tutto” linguistico. La lingua si riflette nella cultura e viceversa. È un bellissimo e appassionante processo osmotico, che fa viaggiare le menti e che trasforma lo studio di una lingua in uno studio scientifico e matematico, soddisfacendo così anche curiosità tali, da esserne colpiti in modo quasi pericoloso e fatale. Proverbio inglese: Curiosity killed the cat, la curiosità uccise il gatto.
Iniziamo il nostro itinerario con una parola di uso quotidiano e scontato: ciao. Notoria la sua derivazione dal veneziano s-ciào. Ma cosa significa? Vuol dire schiavo, dal latino slavus, in quanto molti slavi erano diventati schiavi e poi venduti ai veneziani. Salutare dicendo “ciao” equivale, di conseguenza, a dire “servo vostro”, esattamente come nel tedesco regionale bavarese e austriaco servus. Il termine ciao è poi diventato di uso internazionale e lo si ritrova in varie lingue: francese tchao, spagnolo chau/chao, tedesco tschüß, turco çav, ecc.
Eschimesi, esquimesi o inuit? Tutti e tre ma in modo diverso. Mentre i primi due termini sono solo la variante ortografica l’uno dell’altro, e il significato è identico, nel terzo caso sussiste una differenza. La parola eschimese o esquimese deriva, passando per il francese, lingua colonizzatrice di quella zona nordamericana confinante con i territori da loro abitati, dall’indiano dei nativi della tribù Algonchino. Questa voce in origine significava mangiatori di carne cruda, perché tale popolazione era costituita di cacciatori e usava vestirsi di pelli di animali. Gli eschimesi, tuttavia, malvolentieri riconoscendosi in tale definizione, amano chiamarsi inuit, che nella loro lingua significa “uomini”.
bsp; Perché il Giappone si chiama così, e per noi è il “Paese del Sol Levante” e, oltre all’aggettivo “giapponese” derivato, esiste anche “nipponico”? La parola “Giappone” sembra derivare dalla voce jak-bang, espressione di un dialetto cinese, passata poi in Occidente. In giapponese “Giappone” si dice Nihon = origine del sole, da qui “nipponico”, ma anche “Sol Levante”.
Restando in Asia, perché il cinese ufficiale, si chiama “mandarino”? Deriva dal portoghese mandar = comandare, ordinare. Il mandarino era, ed è, la lingua del potere. Ma per quale ragione proprio in portoghese? Sappiamo che il Portogallo in epoca colonialista aveva esteso i suoi traffici anche in Asia (Macao in Cina è ex-colonia portoghese).
; Nei prossimi giorni, approssimandosi a Natale, saremo invasi da motivi tipici del periodo, quale, ad esempio la bellissima Oh Happy Day di Edwin Hawkins, tradizionalmente interpretata da cori gospel. Ebbene, la parola gospel cosa vi suggerisce oltre a ciò? Sappiamo che l’origine di tali canti nasce presso i neri afroamericani in ambito religioso negli anni Trenta e in ambiente artistico-musicale nel sud degli USA. Non sospetteremmo mai, però, che in inglese, gospel letteralmente voglia dire “Vangelo”. Etimologicamente “Vangelo” significa “buona notizia”, dal greco ευαγγέλιον, con lo stesso significato. Gospel ne è il calco formale, perché, con risorse indigene, l’inglese ha reso l’antico significato greco: good = buono + spell = racconto, spiegazione (possiamo anche ricordare che God = Dio e spell nel senso attuale ha preso l’accezione di “formula magica”, “incantesimo”; effettivamente il gospel è legato, come abbiamo visto, alla religione, e può anche avere un significato divinatorio e, quindi, magico).
Discutendo di moda, è diventato normale, ovvero “fa figo”, dire che qualcosa, quando ha un aspetto trasandato, demodé, “stracciato”, ma che è di tendenza, è kitsch. Non si sospetta però che si tratta di una parola tedesca, coniata molto prima delle nostre tendenze modaiole. Nel 1939, il critico d’arte e autore americano Clement Greenberg sosteneva, nel suo Avant-garde and Kitsch, che tutto ciò che è accademico è kitsch e viceversa. Ovvero, sottolineava la scarsa originalità dell’arte accademica, che cercava di darsi in quel frangente regole e corollari col fine di darsi una definizione artistica univoca e facilmente inquadrabile e comprensibile, rispondente a canoni popolari  illustrativi, di basso stile. Effettivamente, dal punto di vista artistico, si critica a tutto ciò che è kitsch di mancare di creatività e originalità. Ecco che quindi il termine kitsch viene associato in arte e estetica a oggetti che mostrano mancanze. L’origine culturalmente “bassa” del kitsch la si ritrova nel cinema, in pubblicità, nei fumetti. Siamo quindi di fronte a una forma di Avanguardia, che in Occidente è diventata libera espressione di arte sentimentale, patetica, melense, fino ad arrivare al significato odierno di “scarso buongusto”. Nell’Est europeo si è espresso invece come Realismo Socialista, laddove ha sostituito le varie correnti artistiche, evidentemente legandosi con il panorama politico di quello che era l’Unione Sovietica.
Perché “uomo” in inglese si dice man? La risposta si trova in Mannus, antico progenitore dei Germani. L’inglese, lingua germanica, ha in comune con tutte le altre parlate germaniche questa parola: olandese mens/man, svedese man, tedesco Mann, ecc. Vi sorprenderà come detta parola abbia la stessa origine dell’italiano mente. Il passaggio però non è così strano: un uomo, inteso come essere umano, è, nell’antica accezione indoeuropea, un essere pensante.
Continuiamo a parlare dell’essere umano. Robot, è giustamente spesso pronunciata con accento francese [robò]? No, perché è una parola di origine slava, ceca per l’esattezza. In russo l’abbiamo come работать = lavorare, in ceco significa “lavoro forzato, pesante”. Lo scrittore ceco Karel Čapek se ne servì la prima volta nel 1920 nella sua opera I robot universali di Rossum, per indicare la comparsa di un uomo meccanico, dall’idea del fratello Josef, il quale aveva pensato inizialmente al termine automat, cioè automa. Da qui lo rivediamo nella raccolta Io robot di Isaac Asimov. E “androide”? Stupefacente che compaia per la prima volta nel Duecento a opera di Alberto Magno, vescovo e scienziato. Simile al concetto di robot, deriva dal greco ανέρ, ανδρός = uomo. Un uomo nel napoletano alla fine della guerra, quando faceva il lustrascarpe, era uno sciuscià. Gli americani li chiamavano shoe-shine = lustrascarpe, i napoletani, con la loro consueta e speciale fantasia, hanno adattato ciò che sentivano alla loro lingua, coniando la parola sciuscià.
Un uomo in particolare, personaggio storico e politico, si chiamava Stalin, pseudonimo di Iosif Vissarionovič Džugašvili. Era considerato “l’uomo d’acciaio”: Stalin deriva dal russo сталь = acciaio.
La parola “trincare”, cioè bere smodatamente, soprattutto alcolici, a cosa vi fa pensare? Ricorda gli antichi Germani. Ad esempio, in inglese abbiamo to drink e in tedesco trinken, che significano semplicemente bere. Ovvero, l’antico termine germanico è passato nel mondo latino non andando a sostituire il concetto di “bere”, ma regalandogli una nuova accezione. Questo perché molti termini germanici erano avvertiti come più forti e incisivi e perciò adatti a esprimere volgarità, comportamenti eccessivi e smodati che il mondo latino attribuiva a quello germanico e che, altrimenti, non avrebbe saputo come esprimere. E voi, quando bevete la vodka, sapete cosa state bevendo? Dalla gradazione di questo alcolico, non potreste proprio intuirlo, eppure è così: state bevendo “una piccola acqua”: dal russo вода = acqua + suffisso diminutivo –ка = acquetta!
Divertiamoci con un altro regionalismo del nostro Paese. Un giorno mi trovavo a passare per una via di Palermo e su un negozio ho notato l’insegna “Carnizzeria”. Chiara l’allusione alla parola “carne”. Si trattava dunque di una macelleria. Si tratta di una espressione che deriva dallo spagnolo carnicería avente lo stesso significato. Il macellaio è il carnezziere, sempre dallo spagnolo carnicero, ma è anche il vucciri, da Bucceria = nome di quartiere palermitano, che a sua volta deriva dal francese boucherie = macelleria. Infine il termine si è specializzato come vucciria, che in palermitano significa confusione, caos ed è passato a indicare uno dei mercati storici di Palermo. Si tratta di influssi dovuti alla conquista del Regno delle Due Sicilie a opera dei Borboni (sia ramo francese che spagnolo). Persino il siciliano racina = uva deriva dal francese raisin.
Che fine ha fatto il nostro gatto?