Il mondo dello sport
Articoli - Società
La quiete domenicale e il silenzio mattutino spingono la gente verso il parco del Valentino: una passeggiata, un giro in bicicletta, una visita ad un museo. I quadri e le sta-tue esposti rappresentano mestieri, qualche volta in disuso, o corpi perfetti di atleti. La civiltà greca e quella romana erano cultrici del bello, di tutto ciò che è perfezione: lo sport leviga, rende forti, mostra le proprie capacità e la supremazia sugli altri. Basta pensare a Roma: il Circo Massimo, il Colosseo, servivano per giochi e spettacoli pubblici, per corse di carri o a piedi, per pugilato e lotta. Vi si svolgevano combattimenti di cavalieri e gare con carri da guerra, ma soprattutto le lotte dei gladiatori. Lotte cruente, che attualmente fanno inorridire, ma amate particolarmente dai romani. Senza dimenticare il combattimento dei gladiatori con le belve. I visitatori che ogni giorno entrano nel Colosseo, non pensano minimamente a tutto questo, dando uno sguardo fugace a questo monumento così antico e imponente. I genitori di oggi come i nostri avi, iscrivono i propri figli a corsi di vario genere, quali nuoto, pallacanestro, pallanuoto, corse ippiche, ma soprattutto calcio. I due calci tirati ad un pallone, nel campetto vicino casa o in mezzo alla via per divertirsi, diventano prospettiva di una carriera futura. Rigidi allenamenti, sperando che il pro-prio figlio diventi un campione osannato dalla folla e con un bel conto in banca. Nella nostra epoca la tecnologia e i mass media occupano un posto cruciale nello sport. Non si ha più il bisogno di andare nell’anfiteatro: un clic e si accede allo sport amato stando comodamente in poltrona, con ciabatte e vestaglia. L’Italia può vantare dei grandi nomi a livello agonistico, in tutti i campi: ciclismo, sci, nuoto, corsa e anche calcio. In passato i professionisti non guadagnavano cifre esorbitanti, e spesso dovevano sopperire con lavori di ripiego per mantenere la loro famiglia. Ad esempio, Coppi non poteva permettersi di cambiare la bicicletta che si era rotta a causa delle strade sterrate. Fu un falegname che, regalandogliene una nuova, gli permise di proseguire la sua carriera. Oggi gli sportivi sono super pagati, fan-no pubblicità per varie ditte, partecipano come opinionisti in televisione, sfilano come divi sulle passerelle. Le società sportive sono preoccupate solo degli introiti, di quanto può costare un giocatore, o del guadagno nel cederlo a un’altra società. Alcuni sport, come lo sci, le corse automobilistiche o la vela, sono diventati d’élite. Solo le persone agiate possono permettersi l’abbigliamento, l’attrezzatura o l’abbonamento per accedere ai vari ambienti sportivi. Spesso sono occasione di sfoggio di benes-sere e di ragazze in cerca di notorietà, in primo piano nelle corse automobilistiche o motociclistiche. Il popolo trova il suo ripiego nel calcio o nel ciclismo. Se negli anni ’60 la famiglia si preparava la domenica ad andare serenamente allo stadio, oggi, purtroppo, le rivalità accese tra tifoserie dentro e fuori lo stadio hanno cambiato il volto ai club nati negli anni ’70-80 come supporto o attrazione folcloristica e divertente. Agli Ultras, ai Drughi (questi i loro nomi), si uniscono fazioni poli-tiche che nulla hanno di sportivo, ma fomentano la violenza. La partita si trasforma spesso in una guerriglia e, nonostante i controlli, si vedono volare dalle gradinate bombe carte, petardi o bastoni, in sfida perenne alle forze dell’ordine e ai calciatori della squadra opposta, vista come un nemico da combattere. Una vecchia canzone diceva “bisogna saper perdere, non sempre si può vincere”. Se non ci fosse agonismo sarebbe come andare a vedere lo stesso film riprogrammato per anni. Ma i padri devono insegnare ai figli l’amore per la propria squadra e il rispetto per quella avversaria, e lo sport non deve diventare unica ragione di vita. Non è possibile che si pos-sa morire per una partita, o che si programmino vendette personali al di fuori dello stadio, come è accaduto ultimamente con il tifoso napoletano, Ciro Esposito,morto dopo una settimana di coma. Lo sport deve unire, non solo durante i mondiali di calcio, dove improvvisamente ci si sente tutti “patrioti”, uniti nel segno della squadra del proprio Paese. Certo è esaltante vedere i propri atleti vincere una medaglia o una coppa, frutto di preparazione, sacrificio e volontà; quando si è giovanissimi bisogna rinunciare alle uscite notturne e ai divertimenti che la vita offre per portare avanti un progetto di questo tipo. Ricordiamo anche la ancora maggiore fatica e le grandi capacità dei diversamente abili che fanno sport e partecipano alle paraolimpiadi; o la forza d’animo di chi non si è arreso alla vita, come Alex Zanardi e Giusy Versace,che, pur avendo perso le gambe, continuano la loro corsa nella vita e sul circuito con le protesi e il sorriso sulle labbra. La storia dello sport è costellata di storie interessanti e di grande insegnamento: gli atleti di colore che sfidarono nel 1936 la “razza ariana” e vinsero la maratona, da-vanti a un Hitler furente; le partite considerate “a rischio” giocate in paesi dove gli attentati sono frequenti, con l’obiettivo di dare una parvenza di tranquillità, di norma-lità, un supporto alla pace. Lo sport è una sfida continua con gli altri e con se stessi, è un sacro fuoco che ti avvolge ma, qualche volta, ottenebra la mente. Nerone, nonostante la sua tirannia, non sopportava scontri tra tifoserie e al minimo accenno chiudeva il circo o l’anfiteatro per un anno. Sono passati secoli, il Tevere continua a scorrere lento. Oggi se qualcuno accenna l’eventualità di un fermo, prendendo esempio dal grande Imperatore, le società sportive rispondono che è uno sbaglio. Certamente i tifosi reagireb-bero, non sempre in modo positivo, e le partite a porte chiuse comporterebbero una perdita economica non indifferente. Il mondo dello sport vive sul business del giro d’affari, e delle scommesse che spesse volte illudono la povera gente, più che sull’idealismo e la passione degli inizi. Tristemente vediamo lo Stato, fautore di leggi che dovrebbero regolamentare e proteggere il cittadino, piegarsi e chiedere il consenso di continuare o meno una partita scalpitante e rissosa ad un Ultras napoletano, pes-simo esempio di autorevolezza, invece di accompagnare i facinorosi al cancello o metterli al fresco per un giorno. La libertà di poter assistere con i propri figli a un evento sportivo che mette in luce le grandi capacità umane è importante e accende la speranza di poter applaudire, in futuro, il proprio pargolo su di un campo da gioco... chissà!