Ho trovato una famiglia
Mia madre era il perno attorno al quale ruotava tutta la sua vita. All’improvviso ci siamo ritrovati soli e io con la preoccupazione della sua quotidianità e ben presto di una nuova recidiva oncologica. Sono stati mesi duri, difficili, che hanno messo a dura prova la mia resistenza e la mia lucidità mentale. Completamente sola, dovevo provvedere ai bisogni fisici e morali di mio padre senza mai ce-dere alla depressione o al pianto per non farlo abbattere di più. La nostra forza è sempre stata il grande amore che ci legava, che ha sempre legato i miei genitori e me. Ho cercato invano un aiuto. Negli attimi bui molto spesso la famiglia è latitante e la mia lo era senza ombra di dubbio, sia fisicamente che moralmente. Trovare una persona che mi aiutasse, che mi desse fiducia era molto difficile: i valori familiari, la correttezza e la serietà, quando si affida una persona che si ama a qualcun altro sono elementi fondamentali, ma nella nostra società merce sempre più rara. Attraverso il mio medico ho incontrato una signora peruviana che dopo un lungo colloquio mi ha detto che preferiva non lasciare la casa dove già lavorava. Preferiva che da me venisse a lavorare una ragazza peruviana che ancora non era in Italia ma che nel giro di pochi giorni sarebbe arrivata. Così ho atteso questo arrivo. Il primo incontro è stato quasi surreale: la ragazza era carina, sorridente ma non capiva l’italiano e io capivo poco lo spagnolo. Era peruviana, si chiamava Patrizia e oltre questo nulla sapevo. Inoltre dovevo combattere contro l’ostilità di mio padre che non voleva assolutamente una persona estranea in casa. Così ci siamo ritrovati a parlare tre lingue diverse: italiano, spagnolo e l’italiano di mio padre, che parlava attraverso un laringofono e molto spesso era difficile da capire persino per me. Figu-riamoci per una persona di lingua spagnola che non conosceva per niente l’italiano. Così è partita questa avventura, con difficoltà linguistiche e non nascondo difficoltà di abitudini. Patrizia aveva lo stesso senso di famiglia e lo stesso rapporto con sua madre che avevo io. Il legame che avevo con mia madre era speciale e molto stretto. Lei lo stesso. Così spesso parlavamo della famiglia, io della mia e lei della sua. Trovavamo sempre punti di contatto che ci facevano sorridere, ma anche piangere. Lei aveva rispetto delle mie cose, perché sapeva che erano un legame con mia ma-dre, dei ricordi. Ma soprattutto trattava mio padre con rispetto e poi con tanto affetto. Tra me e Patrizia ci sono solo due mesi di differenza come età e i nostri genitori erano coetanei. Così Patrizia si è ritrovata in un famiglia che era simile alla sua e noi abbiamo trovato una figlia e una sorella che si integrava perfettamente nella nostra. Le barriere linguistiche, non so come, non sono mai state un problema. Mi sono stupita sin dall’inizio nel vedere come Patrizia e mio padre facessero delle lunghe chiacchierate, lei in spagnolo e lui in italiano, si capissero benissimo e andassero così d’accordo. Mio padre, un po’ burbero e orso, ostile all’idea di avere un estraneo attorno a lui, si era ritrovato in sintonia con Patrizia. Per me lei era la persona con la quale ragionare e prendere decisioni se si ponevano dei problemi relativamente alla salute di mio padre. Il suo compito era molto importante. Seguire una persona cara è più che un lavoro. È essere parte integrante di una famiglia, comprenderne i pro-blemi e significa entrare a farne parte. Certo siamo stati fortunati perché è difficile trovare dei valori oggigiorno. Ma questo vale per tutti, immigrati e non. È solo la na-tura umana a fare la differenza, non il passaporto. Anche con la famiglia di Patrizia si era creato un rapporto. I suoi bimbi ci scrivevano e ci sentivamo. Un anno per le loro vacanze estive, che per noi corrispondono al periodo natalizio, li abbiamo fatti venire qui tre mesi e hanno vissuto con mio padre. Era bello vederli tutti insieme. Uscivano insieme, andavano a dare da mangiare ai gatti di una colonia in un giardino tutti i giorni, facevano la spesa, guardavano le partite. Mio padre ha così avuto i nipoti che non aveva e un affetto sincero. Ero molto felice per lui. E lui aveva preso seriamente il ruolo di nonno o papà nei confronti dei ragazzini che non avevano il padre e a cui mancava un riferimento maschile. Sono stati tre mesi belli e purtroppo troppo corti e abbiamo sofferto tutti al momento della loro partenza. Dopo una de-cina di mesi siamo state io e Patrizia ad andare in Perù per tre settimane e così ho vissuto l’ambiente familiare andino con feste e ritrovi familiari. Mi sono trovata a casa, sempre con un occhio all’Italia, ma fortunatamente mio padre era ben guardato. Un’amica di Patrizia stava facendo un ottimo lavoro e io ero tranquilla. È stato proprio uno scambio familiare e di affetti, e questo è molto raro. Dopo pochi mesi il tanto desiderato ricongiungimento familiare è arrivato e finalmente i ragazzi sono venuti definitivamente in Italia e sono andati a vivere con mio padre. La salute peggiorava, ma ero contenta perché i ragazzi erano con lui e uscivano insieme. Andres e Antonio erano un pensiero costante per noi. Alle volte mi ritrovavo con mio padre che mi diceva “Patrizia è molto rigida, li fa filare. Non li fa respirare” e io a ricordargli che lei era la madre e che non si doveva preoccupare. Lui si sentiva sempre il capofamiglia, di tutta la famiglia. Era il riferimento per Patrizia, il confidente e la persona a cui chiedeva consiglio anche per i ragazzi. Eravamo una famiglia allargata, ma una famiglia sul serio. L’ultimo Natale insieme è stato bello, all’insegna della cucina peruviana e italiana. Quest’alchimia strana, rara, purtroppo era destinata a finire. Io avrei perso mio padre, i ragazzi un riferimento, Patrizia un padre e una stabilità. Tralascio vo-lutamente alcune parti ma dico solo che la vicinanza, il sostegno e l’affetto da parte loro sono stati importanti e completamente assenti da chi aveva invece legami di sangue. Sono trascorsi due anni e mezzo dalla morte di mio padre. Io e Patrizia ci sentiamo sempre. Ci vediamo spesso e ci consigliamo. Per me è sempre come una sorella. Andres e Antonio mi hanno sempre chiamata zia e per me sono i miei nipoti a tutti gli effetti. Nella vita certe volte alcuni incontri ti cambiano la vita, non sempre in meglio, ma nel mio caso sì. Non ho mai sentito che ci fosse nulla di diverso tra noi. Il modo di amare, di rispettare, di preoccuparsi era lo stesso. Noi non siamo mai stati un dipendente e un datore di lavoro. Certo per la legge quella è la relazione, ma noi siamo andati oltre. Il legame e il sentimento prescinde dall’origine, dall’appartenenza etnica, dalle differenze. È una relazione che dura da più di 7 anni, che ci ha arricchito e che ci ha insegnato molto. Auguro a tanti di vivere un’esperienza come la mia e di trovare una famiglia.