Nuri-Nuris o dolls for happiness
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Bambole di pezza in costumi tradizionali. Alcune hanno volti barbuti e cappelli, altre presentano visi femminili sopra costumi lunghi e colorati. Sono le Nuri-nuris. In Armenia si trovano un po’ ovunque, soprattutto sulle bancarelle vicino a qualche sito turistico. Nuri-nuris significa pioggia e sposa e, in antichità,

venivano utilizzate per chiedere precipitazioni, durante le estati particolarmente calde e secche. Sono sempre state simbolo di fertilità e abbondanza. Al turista vengono proposte con una defi-nizione in inglese: “Dolls for happiness”, le bambole per la felicità. A Yerevan, si dice infatti che portino anche una buona dose di fortuna. Di solito vengono fatte a telaio con fili di lana, con una tecnica che ricorda quella per annodare i tappeti. Ogni vestito, ogni grembiule, racconta la storia di un clan, proprio come quelli delle vecchiette che camminano per la strada con i loro abiti tradizionali. Una leggenda, tutta da verificare, dice che queste bambole siano sorridenti nei periodi di pace e prosperità e che assumano un atteggiamento severo durante le crisi. È invece cosa certa che moltissime venditrici hanno poi ricevuto i ringraziamenti dei clienti per la fortuna ricevuta dopo l’acquisto. La prima volta che ho visto le “Dolls for happiness” ho pensato al Prozac o chissà quale altro farmaco per curare la malinconia. “Quelle bambole sono la cosa più bella che una bimba possa ricevere in dono”, mi sono detto e ho pensato a mia figlia di tre anni e mezzo. Le Nuri-Nuris mi sono tornate in mente in questi giorni. Tra aprile e maggio, l’Armenia ha celebrato due ricorrenze molto delicate: il novantanovesimo anniversario del genocidio, subito nella Turchia ottomana, il 24 aprile; e il ventennale della tregua nella guerra con l’Azerbaijan, il 12 maggio. Il cessate il fuoco di Nagorno-Karabakh è una pace imperfetta, che sta funzionando, anche se dalle due parti prosegue, senza sosta, la corsa agli armamenti. Baku è più sospettosa di una Yerevan filorussa. In Azerbaijan capita pure che vengano arrestati i giornalisti che partecipano ai piani di dialogo con i colleghi armeni. L’ultima volta è successo il 30 aprile. La situazione con i turchi è sempre ambigua. I politici turchi negano il genocidio. Sostengono che la sofferenza degli armeni sia stata la stessa subita da turchi, curdi, arabi e armeni, e che sia stata solo la conseguenza della guerra e dei tempi difficili per l’Impero Ottomano del 1915. Gli armeni rispondono denunciando un “negazio-nismo riconfezionato”. Ma le iniziative della società civile sono ben altra cosa. Mentre politica e diplomazia vacillano nelle scortesie reciproche, i due popoli si sono riavvicinati e hanno in-tensificato i contatti. Secondo esperti internazionali e funzionari delle ONG in prima linea è ancora presto per parlare di cambiamenti al meglio nelle relazioni con i turchi o al peggio in quelle con gli azeri. Considerando la situazione nella non troppo lontana Ucraina, qui si sta vivendo comunque un piccolo miracolo. A me piace pensare, siano anche questi i motivi per cui le Nuri-Nuris sono tornate a sorridere, proprio come le ho viste io tempo fa sulle bancarelle di Yerevan.