Le donne alla conquista del diritto di voto e non solo…
Diritti violati
Scritto da Redazione   

Ogni anno, ogni giorno, ogni minuto che entra nella storia gli esseri umani possono dire di aver lavorato per mantenere i propri diritti, già acquisti, e conquistarne di nuovi. Le donne, in ogni epoca hanno sempre fatto più fatica a vedere riconosciuto un diritto, dalla libertà al diritto di voto.

Per la storia dell’Italia il diritto di voto fu conquistato alla fine della seconda guerra mondiale, ma il movimento che ha dato il via alla conquista di tale diritto ha radici molto più antiche. Era il 1872: in quell’anno nasceva il “Movimento delle Suffragette” che diede impulso negli anni successivi alla conquista del diritto di voto da parte delle donne nel resto del mondo. In Inghilterra questo movimento raggiunse il suo obiettivo con la legge del 2 luglio 1928, grazie alla quale venne esteso a tutte le donne inglesi. Pur essendo nato in Inghilterra questo movimento

, non fu qui che il voto alle donne venne riconosciuto per la prima volta. I paesi scandinavi quali Finlandia, Norvegia e Danimarca riconobbero questo diritto rispettivamente nel 1906, nel 1907 e nel 1915. Negli altri paesi d’Europa e negli Stati Uniti bisognò aspettare la fine della prima guerra mondiale per vedere questo diritto esteso alle donne. In Italia il percorso che portò a questo riconoscimento iniziò dopo l’unificazione avvenuta nel 1861. I primi movimenti in questo senso nacquero agli inizi del 1900 e fu solo con il decreto legislativo del 2 febbraio 1945 che il consiglio dei ministri estese il voto alle donne che avevano raggiunto la maggiore età (all’epoca si era maggiorenni a 21 anni). In Italia le donne votarono per la prima volta nel corso delle elezioni amministrative del marzo-aprile 1946 e successivamente il 2 giugno 1946 durante il referendum monarchia/repubblica.

Torniamo ancora un po’ più indietro nel tempo per capire quanta forza hanno avuto le donne alla conquista di un diritto, senza usare mai la forza durante tutto il cammino per arrivare alla meta, nonostante il degrado che subivano, a partire dal termine “suffragette”, derivante da suffragio, che veniva dato alle donne in modo sia ironico che dispregiativo. Siamo nel 1903 in Inghilterra anno in cui nasce la Women’s Social and Political Union Fondata da Emmaline Pankhurst che diresse a lungo anche il battagliero giornale Vote for Women.

Uno stato, però, riconobbe primo fra tutti al mondo nel 1893 il diritto di voto alle donne: la Nuova Zelanda.

Questo percorso ha impiegato anni per realizzare ciò che si prefiggeva e in molti paesi del mondo le donne ancora non possono votare o hanno appena, da pochi mesi, acquisito il diritto di voto. Sto parlando dell’Arabia Saudita. Siamo nel settembre del 2012 quando re Abdullah annuncia che le donne potranno scegliere i loro rappresentanti nelle elezioni municipali del 29 settembre (le uniche che si svolgono nel paese), ma non potranno ancora candidarsi. Questo diritto verrà loro concesso nella prossima sessione che si svolgerà tra quattro anni. Questa concessione da parte del re è avvenuta in una riunione della Shura (Consiglio direttivo) alla quale hanno partecipato i consiglieri religiosi insieme agli altri consiglieri. In Arabia Saudita, un paese in cui le donne non possono viaggiare, lavorare o subire interventi medici senza il permesso di un uomo della loro famiglia e alle quali è fatto assoluto divieto guidare un’auto, è da ritenersi una grossa conquista la possibilità di votare.

Il percorso sarà ancora lungo per le donne che hanno avuto il coraggio di opporsi, nel giugno del 2011 ad una fatwa del 1990 emessa perché un gruppo di 47 giovani donne sfidò il bando imposto da religiosi e iper-conservatori e sfilò in un corteo di auto per il centro della capitale. Vennero arrestate, discriminate e minacciate di morte ma riuscirono, con il loro esempio, a smuovere le coscienze del 52% della società (a tanto ammontano le donne in Arabia Saudita); fecero perciò, nel corso degli anni, petizioni al re per avere questa libertà.

Nel 2011, grazie ai social network, sono settemila le donne che si sono mobilitate per sfidare il divieto. Tutte munite della patente internazionale, non rilasciata alle donne saudite in Arabia, attente a non commettere infrazioni, a restare in contatto con le altre attiviste, ad avere al fianco un uomo della propria famiglia e a munirsi di una foto di Re Abdullah e della bandiera saudita, per mostrare in caso di fermo, di essere delle buone suddite. La protesta continua e anche se non si conoscono fermi o arresti da parte della polizia, che al massimo scuote la testa e non interviene per non generare nuove tensioni, questa libertà non è ancora stata concessa. A mio avviso, lo sarà quando le donne potranno scegliere le loro rappresentanti tra quattro anni, anche se il cammino per conquistare queste e altre libertà sarà ancora lungo.