La maledizione di nascere donna
Diritti violati
Scritto da Nicoletta Coppo   

Bimbe mai nate, infanticidi e omicidi per dote nell’India del boom economico

di Nicoletta Coppo

 

‘Il più grande distruttore di pace nel mondo è l’aborto. Se una madre può uccidere il proprio figlio nella culla del suo grembo, chi potrà fermare me e te dall’ucciderci reciprocamente?’

Madre Teresa di Calcutta

Il monsone di sud est dovrebbe arrivare a giorni. Siamo ormai a metà giugno. Il caldo è insopportabile. I piccoli taxi gialli e neri si muovono per la città con un ritmo più frenato, quasi come se il caldo facesse rallentare la corsa dei pistoni. Gli intoccabili in strada si riparano sotto gli alberi, si bagnano alle fontane, cercano refrigerio sotto i portici maleodoranti. I ricchi rimangono asserragliati in casa a godere dell’aria condizionata e a bere succhi di mango. Sto aspettando Sunita. Arriverà da Madras a breve. Mi ha promesso che mi aiuterà a cercare le mie storie di donne. Da lei ho appreso della tragedia delle donne indiane. Della maledìzione di nascere donna. In India mancano cinquanta milioni di donne, distribuite su un lasso di tempo che ha visto passare tre generazioni. Omicidio. Infanticidio. Aborti ripetuti.

 

Sunita mi ha messo in contatto con un gruppo di attiviste per la difesa dei diritti delle donne. Alle quattro ci incontriamo a Marine Drive.

Il nostro taxi sbuffa arrampicandosi per le salite che portano a Malabar Hill. L’aria è immobile. I colori accesi dei sari vibrano alla luce del sole pomeridiano. Ci sistemiamo su una panca sgangherata riparata da una tamerice. Nel frattempo arrivano anche Lata e Charu. Siamo al completo. Intercettiamo un ragazzo dalla camicia immacolata che vende delle bibite fresche. In un attimo siamo attaccate alla cannuccia di una bottiglia di lemonina. Sunita mi ha raccontato che Lata è figlia della strada. Un’intoccabile scampata al genocidio femminile. Viveva in Orissa, in un piccolo villaggio a qualche ora da Bubaheshwar. Un villaggio dalle case di fango, in un antro di terra battuta con un’unica finestra. La sola ricchezza era l’acqua del pozzo e un pezzo di terra arida da coltivare. Lata fu la terza figlia femmina. Suo padre Arun, voleva un maschio per coltivare la terra e per una speranza di sopravvivenza per la vecchiaia. La madre di Arun, fin dalla nascita di Bina, la secondogenita urlava che bisognava sopprimerla, come avrebbe fatto un qualsiasi uomo di buon senso. Poi quando nacque Lata anche Arun si convinse che non si poteva mantenere un’altra femmina.  Non la uccise, ma la portò in città dove l’abbandonò. Ora lavora per un’associazione che si occupa di difesa dei diritti delle donne.

Lata è piccola, ha la pelle scura. Porta gli occhiali. Il suo volto è sorridente.

«Parlami del genocidio femminile in India», le chiedo.

Lei si sistema una piega del sari e poi inizia. «Per farti capire l’enormità della tragedia devo farti dei numeri. Secondo un censimento del 2001 in alcune regioni come il Punjab, Gujarat e Himachal sono 800 femmine per ogni 1000 maschi. Le statistiche mostrano che nel 2001 in India vi erano 927 femmine di età tra zero e sei anni, per ogni 1000 maschi della stessa età, rispetto alle 945 femmine del 1991. Questo cosa ti fa pensare?».

«Aborto selettivo» sussurro.

Lata mi spiega che l’infanticidio femminile ha radici nella storia dell’India, e continua a essere una pratica in uso in molte regioni rurali. Le domando che cosa si intenda per infanticidio. Mi risponde senza giri di parole che significa ammazzare una bambina appena nata, soffocarla riempiendole la bocca di riso, strangolarla, lasciarla morire di fame, avvelenarla, seppellirla viva, annegarla in un secchio di latte. Per le famiglie delle zone rurali è più economico sopprimere una figlia femmina che pagare per un aborto selettivo, metodo in uso fra le categorie più ricche ed istruite delle città. In alcune zone dell’India la soppressione della neonata è relegato al padre o alla nonna paterna. Concepire una femmina, secondo un proverbio indiano, è come allagare il campo altrui.

Nelle  grandi città, dove è semplice trovare cliniche dotate di macchine ecografiche e personale consenziente, il prezzo per un’analisi del sesso del nascituro è poca cosa. Con circa 40 dollari i genitori della classe media possono permettersi aborti ripetuti fino a che non vengono benedetti con un maschio. Preferiscono spendere 2000 rupie prima, piuttosto che 200 000 rupie dopo per una dote, dice Suman Prashar, vice direttore dell’Ufficio statistico indiano.

Lata non si ferma. In India è illegale che i medici rivelino il genere del feto durante le ecografie. Ma quelli abbandonati, ogni anno, sono circa un milione. Tutti di femmine.

Dopo quest’ultima affermazione fa una pausa. Non ha mai dimenticato. Agli Hangings Gardens si sta bene. Si sente in lontananza il traffico della città. Prendiamo ancora una lemonina dal ragazzo con la camicia bianca. «....racconta dei ritrovamenti dei feti. E poi ce ne andremo!» sollecita Aruna.

Lata mi guarda. «Sono notizie che si leggono sui quotidiani quasi tutti i giorni...». Mi racconta che in un campo nei pressi del paese di Nayagarh sono stati ritrovati più di 40 feti femminili. Secondo un funzionario della Sanità si trattava di aborti a circa 5 mesi di vita.

Un medico a Nuova Delhi è stato arrestato in seguito al ritrovamento di bimbi mai nati nella fossa settica del suo studio. E ancora, la  polizia ha scoperto i resti di 15 neonati seppelliti nel giardino di un ospedale nello Stato centrale di Madhya Pradesh. Nella città di Bophal sono stati sacchi di ossa di feti in una fossa nel retro di un ospedale.

Ancora una pausa. Molte bambine che sopravvivono alla nascita, non vivono a lungo a causa di negligenza e morte per fame. Le bambine al di sotto dei 5 anni hanno un tasso di mortalità più alto dei loro coetanei maschi perché i loro genitori non vogliono spendere soldi per i loro alimenti o medicine. Una bambina  è meglio lasciarla morire.

E poi ci sono gli omicidi per dote, aggiunge Sunita. Giovani donne sposate, uccise perché i loro genitori non possono continuare a rispondere alle esigenze economiche dei suoceri. Sono assassinii di gruppo: il marito, i genitori, i fratelli ne decidono la sua morte. La donna viene prima  annaffiata di cherosene e poi incendiata in cucina in modo da farlo sembrare un incidente domestico. Altre volte è costretta ad ingerire sonniferi e poi impiccata. Molte giovani donne sono torturate fino al punto in cui sono loro stesse a commettere il suicidio.

«Questa è la maledizione di nascere donna...nel nostro paese» conclude Lata.

Ormai il sole è tramontato. In silenzio chiamiamo il piccolo taxi nero e giallo. Ognuna di noi insegue i suoi pensieri.

Rifletto su Gandhi: Mi sembra chiaro come la luce del giorno che l’aborto sarebbe un crimine. (...) Chiamare la donna il sesso debole è una calunnia; è un’ingiustizia dell’uomo nei confronti della donna. Se per forza s’intende la forza bruta, allora sì, la donna è meno brutale dell’uomo. Se per forza s’intende la forza morale, allora la donna è infinitamente superiore all’uomo. Non ha maggiore intuizione, maggiore abnegazione, maggior forza di sopportazione, maggior coraggio?

 

http://genderbytes.wordpress.com/petition/la-campagna-ne-mancano-50-milioni-lotta-al-genocidio-femminile-in-india/

http://www.zenit.org/it/articles/il-silenzioso-genocidio-femminile

http://www.radicali3000.net/node/301