Abitare per integrare
Scritto da Riccardo Marchina   


Torinese. Gli appartamenti sono stati recuperati in una 
palazzina in stato di degrado. Quest’esempio 
d’integrazione positiva è oggi documentato da una tesi 
di laurea in Scienze politiche. “Il “diritto di abitare” 
dei Rom, tra emergenza e politiche d’inclusione nel 
territorio” porta la firma di Concetta Tropiano che ha 
eseguito la ricerca sotto la guida del professore Dario 
Rei.Tropiano, classe 1984, di casa a Torino, neo laureata in 
cerca d’impiego, vorrebbe lavorare come assistente 
sociale. Lei, i rom, li ha conosciuti sui banchi di 
scuola.“Le mie compagne di banco, rigorosamente in ultima fila, 
erano rom del campo di Strada dell’Aeroporto – spiega 
Tropiano – Conservo di loro un ricordo bellissimo”.La curiosità verso la cultura di un popolo, di cui molti 
non ne vogliono sapere, si è fatta materia di studio 
durante il tirocinio da assistente sociale. “L’ho fatto 
per l’Uepe (Ufficio di Esecuzione Penale Esterna) – 
precisa –  è stata un’esperienza che mi ha permesso di 
entrare in contatto con la realtà del “campo nomade”. Ed 
è proprio in sede di  visite domiciliari  nelle baracche 
e nelle roulotte che ho iniziato a domandarmi se fossero 
possibili  progetti e politiche abitative in grado di 
migliorare la qualità di vita dei Rom, il loro rapporto 
con la nostra società e quindi la governabilità del 
territorio da parte degli enti locali”.Proprio in quei giorni Concetta viene anche a conoscenza 
del progetto “Il dado”, messo in opera dal Comune di 
Settimo, insieme all’associazione Terra del Fuoco, 
attingendo le risorse dalla Provincia e dalla Compagnia 
San Paolo.Che cosa si è fatto nel dettaglio a Settimo?Il progetto consisteva nell’autorealizzazione della 
propria abitazione da parte di alcune famiglie (per la 
precisione 4) di rom romeni, provenienti dallo sgombero 
del campo abusivo Cascina La Merla di Mappano, andato 
distrutto in un incendio. Il comune ha messo a 
disposizione un immobile di edilizia pubblica, già 
destinato all’emergenza abitativa, che necessitava di 
una ristrutturazione. Sono state le famiglie stesse a 
realizzarla. In questo modo, hanno anche acquisito 
competenze professionali nel ramo dell’edilizia.Un percorso non senza difficoltà…La scelta del sindaco, Aldo Corgiat, di mettere a 
disposizione del progetto una palazzina in stato 
degrado, destinata all’edilizia pubblica residenziale, è 
stata vissuta come una contaminazione di uno spazio 
destinato ai cittadini locali. È stato davvero uno 
scandalo.Ma l’ostacolo è stato anche superato…Già, grazie a iniziative che hanno favorito l’incontro 
tra due culture e due comunità diverse.Ci sono stati altri problemi?Beh… la selezione delle famiglie beneficiarie… Ha 
richiesto profonde capacità di valutazione degli 
operatori di Terra del Fuoco, che hanno tenuto conto 
dell’intensità del desiderio di emersione dalla realtà 
del campo, delle dinamiche interne e dei legami 
familiari”.Gli operatori si sono dovuti scontrare eticamente tra 
due poli, quello dell’accoglienza indiscriminata e 
quello attivazione della persona…Se nel polo dell’accoglienza prevale un principio di 
pari opportunità, che sollecita ad assicurare in 
generale una vita e abitazione dignitose; nel polo 
dell’attivazione prevale una logica di reinserimento 
condiviso, che giustifica un ammissione al progetto 
selettiva e finalizzata. Tra i due principi rischia proprio di esserci una 
correlazione inversa: tanto più l’accoglienza è 
discriminata, tanto più è difficile immaginare progetti 
personalizzati di inserimento; quanto più si punta su 
percorsi personalizzati, tanto più appare necessario 
individuare soggetti beneficiari che siano in grado di 
trarre profitto dal progetto. Lo scontro etico è stato duro, ma alla fine, ha 
rappresentato un elemento favorevole alla riuscita del 
progetto stesso.Infine non ultimo, il problema del lavoro, per potersi 
mantenere e mantenere la struttura…Un elemento altamente critico sia per motivi dovuti 
all’attuale crisi economica, sia alla presenza di 
pregiudizi nei confronti dei rom… Chi mai assumerebbe un 
rom nella sua azienda? Per ovviare l’ostacolo, tre dei 
capifamiglia sono stati inseriti con un contratto di 
lavoro all’interno della cooperativa di Terra del Fuoco, 
creata appositamente  per garantire opportunità di 
lavoro e professionalizzare le persone.Tra mille difficoltà hanno comunque avuto la meglio i 
successi. Non è così?È vero… Sono stati davvero tanti. Prima di tutto 
quest’esempio è  un elemento di rottura di un circolo 
vizioso consolidato nella realtà: incendi, sgomberi, 
richiesta di fondi  al governo centrale per gestire 
l’emergenza, trasferimenti, precarietà permanete. 
L’esperienza de “Il Dado” ha consentito l’”uscita dal 
campo” come luogo di degrado, mostrando che la 
collocazione delle famiglie rom in alloggi dignitosi è 
possibile. Un secondo successo è caratterizzato dalla 
partecipazione reale dei diversi attori coinvolti nella 
realizzazione… Ci sono: l’associazione Terra del Fuoco, il Comune e le 
famiglie. In particolare grazie alla partecipazione 
attiva delle famiglie Rom è stato possibile realizzare 
tipologie abitative che rispecchiassero i progetti di 
vita delle stesse. Secondo me, quando esiste la 
possibilità di partecipare e, quindi  di scegliere, la 
persona  si responsabilizza, acquisendo la capacità di 
valorizzare ciò che le si offre. Un altro successo?La presenza di coabitanti (operatori dell’associazione, 
giovani del servizio civile europeo, ospiti di origine 
differente) che hanno rafforzato il processo di 
inclusione all’interno del Dado, creando un mix  di 
convivenza. Ciò ha messo in discussione la conoscenza 
distorta dai pregiudizi e dagli stereotipi, secondo cui  
lo stile di vita nomade, la povertà e l’inciviltà  sono 
proprie della loro cultura.C’è poi il discorso del welfare…È emerso un modello virtuoso fondato sulla mutualità... 
Mi spiego meglio le risorse del welfare si sono così 
ridotte che si è creata una competizione orizzontale tra 
gli ultimi e i penultimi soprattutto per quanto riguarda 
la questione abitativa. Un modo per allentare questa 
gara tra poveri è la costruzione di mutualità, 
attraverso il cohousing sociale. La figura del 
coabitante è stata, infatti, ideata pensando alle  
persone (giovani, adulti monoreddito, studenti, giovani 
coppie) vulnerabili rispetto al mercato abitativo che, 
decidendo di condividere spazi e momenti con le famiglie 
zingare residenti. Inoltre l’aspetto del cohounsing  si 
coniuga con l’aspetto del housing sociale, che risolve 
la domanda abitativa con una modalità non convenzionale, 
ovvero quella dell’autocostruzione che riduce 
sicuramente i costi. Nella tesi vengono citati anche casi esteri 
d’inclusione…Per dare uno spaccato delle diversità delle azioni 
pubbliche intraprese da vari stati, mi sono soffermata 
sulla descrizione  di due modelli di intervento: quello 
“contemperante” dell’Inghilterra e quello “punitivo” 
della Francia. Sinteticamente, le politiche di housing  inglesi sono 
tese all’inserimento permanente dei rom in abitazioni 
tradizionali di edilizia pubblica e privata. Tali 
soluzioni vengono fortemente incoraggiate e considerate 
auspicabili, in quanto favoriscono l’inclusione e la 
coesione sociale. Invece, le politiche di housing in Francia sono plasmate 
sul modello politico del “bastone e della carota” che 
prevede una gestione degli interventi rivolti alla 
popolazione rom, caratterizzato dall’offerta di un 
sistema di servizi, unita ad interventi punitivi in caso 
di trasgressione delle regole delle aree di sosta. Tale 
modello è diventato più rigoroso con i provvedimenti del 
governo Sarkosy del 2003. L’idea di fondo promossa dal 
modello è la seguente: il Rom buono è colui che non 
delinque e, di conseguenza, in assenza di condotte 
devianti può vantare dei diritti.Quali le conclusioni della tesi?… E “speranze” per il 
futuro?Come dimostra l’esperienza del Dado, sono possibili 
politiche alternative, orientate all’integrazione, alla 
costruzione di relazioni positive, o almeno a basso 
conflitto. Sarebbe auspicabile che progetti come il Dado 
non rimangano solo piani pilota a livello locale, ma 
diventassero prassi consolidate e istituzionalizzate, 
ampliando così il mix delle soluzioni abitative. Per portare a compimento il suo lavoro Tropiano, si è 
confrontata in modo diretto con le comunità Rom… È stato necessario svolgere un’indagine sul campo che 
non solo mi ha permesso di confrontarmi con la micro-
comunità rom romena che vive al Dado, ma anche con la 
comunità romena che vive al campo non autorizzato di 
corso Tazzoli a Torino. Tutte le famiglie intervistate 
mi hanno accolta con calore nelle loro umili case o 
baracche, raccontandomi le proprie storie di vita. Il 
confronto diretto ha fatto venir meno quello stereotipo 
secondo cui i rom, in virtù della loro tradizione e 
cultura, sono abituati a vivere in accampamenti di 
fortuna, all’interno di baracche o roulotte. Questa 
immagine stereotipata ha perso di efficacia se la 
confronto con la realtà dei loro racconti: le 
descrizioni delle case in cui vivevano in Romania 
confermano che solo all’arrivo in Italia hanno provato 
l’esperienza del campo.In questi mesi di studio che idea si è fatta della 
comunità Rom che ha avuto modo di conoscere?Le storie di vita con le quali sono venuta a contatto 
nei mesi di tirocinio hanno messo in evidenza un filo 
comune: quello di famiglie che partono da condizioni 
disagiate e sperano di riuscire a riacquisire dignità, 
traferendosi in un appartamento, e scrollandosi di dosso 
la stereotipata accezione negativa di zingaro. C’è la 
volontà di integrarsi soprattutto per dare un futuro 
migliore ai propri figli.Quale la sua opinione per una buona convivenza in 
futuro? È necessario prendere le distanze da forme di 
segregazione fondate su criteri di omogeneità  
sociale/etnica. Queste generano solo atteggiamenti di 
diffidenza e ostilità. La causa  primaria delle 
difficoltà di interazione tra i rom e non rom non è la 
diversità culturale, quanto l’esistenza di fattori di 
disagio sociale e carenza di risorse che pongono gruppi 
come i Rom in condizioni di disuguaglianza.