Il muro
Lingue & Culture
Scritto da Silvia Licata   

In occasione del 150° anniversario dell’Unità d’Italia, dedico questo articolo al mio bellissimo e nobile Paese, l’Italia, a cui sono fiera di appartenere, andando al di là della retorica e parlando del senso e del signifi cato di “unità” attraverso il suo contrario, ossia la divisione, rappresentata dal concetto di “muro”.

Il muro sia come impianto fisico che come impianto metaforico o ideale, con l’intento di dimostrare, ce ne sia bisogno o meno, che, andando contro la nostra stessa storia, andiamo non solo contro la nostra identità, ma contro la libertà e verso la violenza. Oltre all’anacronismo, nel momento in cui, dopo anni, tanti muri, fi sici e culturali, sono crollati, perché desiderare di costruirne altri? Perché desiderare le divisioni, le disuguaglianze? Come potere desiderare sentimenti o disunioni che, come diceva, Mazzini: «[…] ci fanno stranieri gli uni agli altri»?
Innanzitutto ecco un repertorio di come si traduce la parola “muro” nelle varie lingue: in quelle romanze: latino murus, francese, spagnolo e catalano mur, portoghese muro, rumeno zid; nelle germaniche: inglese wall, olandese muur, svedese mur, tedesco Mauer; nelle slave: russo стена, ucraino стіна, bulgaro зид, sloveno zid, polacco mur, croato zid; nelle orientali: cinese qiàng, giapponese kobe, ebraico kôtel. Osserviamo dunque innanzitutto che per le lingue romanze, a eccezione del rumeno, la derivazione è quella, evidentemente, del latino murus. Il rumeno rappresenta un’eccezione, in quanto essendo la Romania circondata da Paesi slavi (ad eccezione dell’Ungheria), ne ha assorbito molto della materia lessicale. Il rumeno zid deriva dunque dalla stessa radice di slavo comune delle altre lingue slave, facendo eccezione del bulgaro che, accanto alla voce зид ha anche la voce стена, come in russo e simile all’ucraino, lingue slave orientali che hanno ricavato il termine da un’altra radice slava. Il polacco, per ragioni storico-culturali più prossimo alle lingue germaniche, ha invece preso la parola dalle lingue germaniche, le quali a sua volta l’hanno mutuata dal latino, ad eccezione dell’inglese, avente una voce prettamente germanica, e del tedesco, che conosce anche una voce Wand, che intende “muro” come “parete”. Le lingue orientali, non appartenendo all’indoeuropeo, hanno termini totalmente diff erenti per indicare il termine “muro”. Scopo di tale indagine linguistica è il notare come la materia lessicale delle lingue non esisterebbe qualora fossero esistiti “muri”. Ogni lingua è il risultato di mescolanze e incontri con altre lingue e culture.
Il primo muro che, credo, verrà in mente a molti, è quello di Berlino. Il Berliner Mauer separava Berlino Est, zona di infl uenza sovietica, da Berlino Ovest, zona di infl uenza americana. Tale separazione, espressione della “Cortina di ferro” della guerra fredda, avvenne nel 1961, quando, a meno di vent’anni dalla fi ne del secondo confl itto mondiale, erigendo il muro, si volle tentare di fermare la fuga dei berlinesi dell’Est verso l’Ovest. Fino al 1989, anno di abbattimento della struttura, innumerevoli furono i tentativi di oltrepassarlo. Molte erano le famiglie berlinesi separate dal muro, molti residenti in Berlino Est inseguivano la libertà cercando di scavalcarlo. Il muro era dunque per loro sinonimo di oppressione, prigionia, ingiustizia. Per molti lo “scavalcamento” era diventato una sfi da. Molti nel tentativo di fuggire all’Ovest cercando di superare l’ostacolo del muro vennero, nella migliore delle ipotesi, solo bloccati o arrestati, diversamente uccisi dalle guardie di confi ne o comunque trovarono la morte in paurosi incidenti come coraggiosi eroi che volevano riconquistare la libertà per se stessi e per i loro concittadini. Per gli oppressori, il muro di Berlino rappresentava il modo attraverso cui esercitare potere e controllo e reggere gli equilibri del mondo. Un fi nto equilibrio, certamente, perché retto sulla violenza e sulla asocialità, mentre l’essere umano è una creatura per defi nizione sociale, che ha sempre ragionato, sin dai suoi primi giorni di esistenza, in termini di gruppo, e non di individuo. Nel momento in cui tali tentativi di soppressione della libertà iniziarono a diventare anacronistici e ci si rese conto che non era più possibile controllare orde di berlinesi che si apprestavano a scavalcare il muro, fi nalmente esso, il 9 novembre 1989, crollò. Ciò ha cambiato, da allora in poi, l’intero mondo, non solo restituendo la libertà a chi l’aveva persa, ma per i Paesi del blocco comunista, l’evento signifi cò la fi ne della dittatura, l’inizio della riforma della Перестройка (Perestroijka, ristrutturazione), della Гласност (Glasnost, trasparenza), e della Ускорение (Uskorenie, accelerazione) grazie all’opera di Mikhail Gorbaciov, allora Capo dello Stato dell’ex Unione Sovietica. Per il resto del mondo ha signifi cato l’accelerazione del libero scambio, il defi nitivo avvento della globalizzazione. Il saluto al muro di Berlino venne celebrato con la storica canzone Another Brick in the Wall dei Pink Floyd, nel cui video un’orda di studenti distrugge a martellate il muro della sua scuola, come forma di ribellione verso l’autorità scolastica. Proprio come un’orda di berlinesi aveva mandato giù a martellate il muro di Berlino. I versi del pezzo dei Pink Floyd erano stati in qualche modo premonitori di quanto sarebbe successo alla fi ne degli anni Ottanta. Composto infatti dal gruppo nel 1979, dunque anni prima rispetto al crollo del muro, raccontava la storia di Pink, vittima del suo muro psicologico, causato dalle delusioni della sua vita: la scoperta della morte del padre in guerra, il rapporto diffi cile con una madre oppressiva, una scuola rigida e autoritaria, il tradimento della moglie. La parte più famosa del pezzo, è la seconda, in cui un coro di ragazzi (studenti di musica dell’Islington Green College) grida a viva voce agli insegnanti di essere lasciati in pace, perché non hanno bisogno né di essere controllati né di ricevere la loro educazione, dopotutto questa istruzione oscurantista altro non è che «un altro mattone nel muro»: «We don’t need no education / We don’t need no thought control / No dark sarcasm in the classrom / Teachers, leave the kids alone / Hey teachers, leave the kids alone / All in all it’s just a, another brick in the wall / All in all you’re just a, another brick in the wall!».
Il 1989 è anche l’anno di pubblicazione dell’album Al di là del muro del cantautore Luca Barbarossa. Il pezzo omonimo esprime la paura dell’uomo di oggi, bloccato dal suo muro ideale, che egli preferisce non varcare perché lo protegge dalle insicurezze della vita, ma in cambio lo rende asettico e incapace di vivere, vittima del suo isterismo: «Piangere, ridere, qui non si sbaglia più / questa paura d’amare / spiegamela tu / questa paura di andare / al di là del muro». Il testo è quindi un inno alla vita e a superare il muro.
Anno 1991, esce Il muro di gomma di Marco Risi. Il fi lm non ha per oggetto un muro inteso come barriera fi sica, semmai mentale, pur se non per questo, meno bloccante. Si tratta di una delle tante pagine nere della storia del nostro Paese. Il 27 giugno 1980 il DC9 del volo IH 870 Itavia precipita a Ustica. Muoiono 81 persone. Il giornalista del Corriere della Sera Rocco (nella vita reale Andrea Purgatori) segue da vicino le indagini della tragedia, scoprendo passo passo verità politiche scottanti, peraltro mai dichiaratamente confermate, ma sempre nascoste da bugie e omertà, con le quali viene a scontrarsi direttamente: «Dopo anni e anni per la prima volta uno squarcio si apre in questo muro di omertà, in questo muro di gomma», dirà il Maresciallo Caroli, interrogato al processo in qualità di testimone.
Lo stesso anno esce un altro fi lm, americano, diretto da Aaron Sorkin, A few Good Men, distribuito in Italia col titolo di Codice d’Onore. Protagonista un giovanissimo e irriverente avvocato della Marina Militare Americana, Daniel Kuff ee (interpretato da Tom Cruise) che indaga sulla morte misteriosa di un soldato. All’epilogo del fi lm, si scoprirà che è un “muro”, pur se ideale, che ne ha provocato la morte, come lo stesso Colonnello Jessep (interpretato da Jack Nicholson) interrogato al processo, dichiarerà: «Son, we live in a world that has walls. And those walls have to be guarded by men with guns. Who’s gonna do it? You? You, Lt. Weinberg? I have a greater responsibility than you can possibly fathom. You weep for Santiago and you curse the marines. You have that luxury. You have the luxury of not knowing what I know: Th at Santiago’s death, while tragic, probably saved lives. And my existence, while grotesque and incomprehensible to you, saves lives. You don’t want the truth. Because deep down, in places you don’t talk about at parties, you want me on that wall. You want me there!». A pochi anni dal crollo del muro di Berlino, la guerra fredda non sembra essere aff atto terminata: i muri continuano ad esserci ed essi devono essere sorvegliati da uomini armati, per la salvaguardia del mondo intero. In quel di Cuba, a Guantanamo, avamposto USA atto a sorvegliare e proteggere i confini americani, il Col. Jessep a sua discolpa, non ha fatto altro che difendere la sua Nazione e il mondo, ma l’esagerazione del suo intento e la visione invasata della sua missione l’ha purtroppo trasformato in un mostro senza scrupoli, che fa dell’abuso di potere il suo esercizio quotidiano e che arriva a uccidere pur di perseguire i suoi fi nti ideali. Ecco che allora, il “muro” diventa simbolo di morte. Egli non è dunque, come aff erma, il capro espiatorio di un caso di omicidio in ambiente militare, e non è vero perciò che tutti lo vogliono lì, su quel muro, egli è il responsabile di un omicidio e ha dimostrato di non sapere affatto proteggere e preservare proprio quello stesso muro di cui parla così orgogliosamente.
Il Muro del Pianto, in ebraico יברעמה לתוכה (HaKôtel HaMa’aravi), che in realtà si chiama Muro Occidentale, è il muro di cinta di Gerusalemme nel luogo in cui sorge il Tempio costruito da Erode nel 19 a.C., che i Romani sotto Tito nel 70 d.C. distrussero, lasciandone in piedi solo la parte occidentale, da qui il nome “Muro Occidentale”. Per gli ebrei, esso è il punto più sacro esistente al mondo e il migliore dove esercitare le loro preghiere. Vi è l’uso di inserire delle preghiere scritte su foglietti tra un mattone e l’altro della costruzione, oltre che quella di pregare scuotendo il capo, dando quindi l’impressione di piangere, donde l’espressione “Muro del Pianto”, anche se può essere ben lecito pensare che la distruzione del Tempio, luogo simbolo della religione e della tradizione giudaici, abbiano sicuramente fatto piangere di fronte alle sue rovine tutti gli Ebrei. Per tale ragione, qui il concetto di “muro” può essere legato al senso del dolore e della distruzione.
Restando in territorio israeliano, viene in mente il muro di Israele, lungo più di km 700 ed eretto nel 2003 per difendere gli israeliani da rischi di attentati. Costruzione controversa e discussa, redarguita da vari organismi internazionali come l’ONU, anche perché penetra in territorio cisgiordano, spesso rivista e modifi cata nel suo percorso e nelle sue linee, tale barriera è stata denominata “il muro della vergogna”, per le limitazioni alla libertà e per Un “muro” non è soltanto una costruzione, è una barriera fisica che si trasforma in ostacolo pratico e che diventa metafora del nostro sentimento di chiusura il senso di ghettizzazione e di Apartheid che essa ha provocato negli animi dei palestinesi. Si tratta dunque di un segno di profonda inciviltà, benché giustificata dall’idea di proteggere gli israeliani.
Restando nell’ambito dello spazio fi sico, un altro muro è la Muraglia cinese, Wànlĭ Chángchéng, che letteralmente significa "grande muraglia di 10.000 Lĭ". Il Lĭ è una unità di misura cinese che vale 500 metri. Nella realtà, la Muraglia cinese misura più di 8000 m ed era stata costruita sotto l’imperatore Qin Shi Huangli per difendere la Cina dalle invasioni delle popolazioni circostanti, ma si rivelò inutile. Diventata patrimonio dell’umanità nel 1987 e dal 2007 annoverata tra le sette meraviglie del mondo, possiamo considerare la Muraglia cinese, visto lo scopo per cui era stata eretta, come mezzo di difesa.
Un “muro” non è dunque soltanto una costruzione, è una barriera fi sica che si trasforma in ostacolo pratico e che diventa metafora del nostro sentimento di chiusura. Un muro può rappresentare diversità vista come elemento di allontanamento, separazione, diffi coltà, desiderio di difesa, indiff erenza, falsità, ipocrisia, incoerenza, dolore, pregiudizio, senso di colpa, introversione, paura, codardia, confi ni che spaventano, che polverizzano l’uomo. Non ha dunque connotati positivi, almeno io non ne ho individuati. Ciò che mi sconcerta e delude ancora di più è il notare l’esistenza di muri anche nel quotidiano. Saranno forse questi tempi difficili che ci rendono così, poco aperti e inclini a dire la verità, poco disponibili. Non me ne chiedo più il perché, in quanto ho capito che là dove attendevo una risposta, essa non arriverà mai. In più, mi rendo conto che il tempo a disposizione è sempre meno e sempre più prezioso. Il tempo è denaro, recita un vecchio detto. E io ho davvero deciso di farne denaro. Eccomi quindi pronta ad andare avanti e da sola per la mia strada, dissociandomi dall’idea di qualsiasi muro e dall’atteggiamento di chi ne concepisce scioccamente l’esistenza. Con questa idea, celebro la nascita della mia società “Legadema” e il mio debutto nel mondo dell’imprenditoria.