Sessant’anni fa esplodeva sulle città giapponesi di Hiroshima e Nagasaki un nuovo tipo di ordigno, destinato a cambiare il confronto politico-militare tra le nazioni. La bomba nucleare, frutto di un intensissimo sforzo di ricerca e di sviluppo tecnologico aveva una potenza talmente impressionante da colpire la fantasia e l’immaginario di ogni persona. La “fine del mondo” entrava davvero nel novero delle possibilità umane.
Hiroshima, in una limpida giornata di sole senza nuvole. Era così - raccontano le testimonianze dei sopravvissuti - anche in quel giorno dell’agosto 1945: alle 8.15 di un mattino estivo dal cielo terso e carico di azzurro, gli abitanti di Hiroshima videro in cielo le ali nere di un B-52, poi subito una grande palla di fuoco, e dopo una frazione di attimo il cielo era sparito, di colpo calò l’oscurità, mentre al suolo tutto era fuoco, tutto era fumo, tutto era cenere. Tutto era raso al suolo. Su 350.000 abitanti, duecentomila uomini e donne non c’erano più, In USA le chiamano casualties, come se l’uccisione di civili fosse un corollario, una conseguenza inevitabile. Tanti altri vagavano nel buio, i vestiti carbonizzati, i volti e i corpi orrendamente sfigurati, tra le rovine e le fiamme, sotto la pioggia nera radioattiva che si scatenò sulla città, ridotta a uno scenario apocalittico ed infernale. Gli effetti e le conseguenze dell’esplosione non furono tutti subito chiari. Oltre alle macerie causate dalla forza d’urto dell’esplosione e dal fuoco divampato a causa del forte calore furono le radiazioni l’incognita principale. A differenza delle altre bombe, quelle convenzionali, la bomba atomica emise grandi quantità di radiazioni che portarono gravi danni. Penetrando profondamente nel corpo umano. Le radiazioni iniziali emesse entro il primo minuto furono letali fino alla distanza di un chilometro. La maggiorparte delle persone in quell’area morirono in pochi giorni. Molti di coloro che sembravano rimasti indenni ebbero conseguenze di vario genere e morirono pochi giorni o mesi dopo. L’esplosione lasciò radiazione residua nel suolo per un lungo periodo. Di conseguenza, molti tra coloro che entrarono in città dopo l’esplosione alla ricerca di parenti o colleghi di lavoro, nonché coloro che arrivarono per aiutare i superstiti, ebbero sintomi simili a quelli con esposizione diretta alle radiazioni. Molti di questi morirono. Immediatamente dopo la bomba, l’esercito di occupazione alleato bandì ogni menzione della sindrome di avvelenamento da radiazioni, e insistette che le persone erano state uccise o ferite esclusivamente dall’esplosione della bomba. Era la prima grande menzogna. “Nessuna radioattività nelle rovine di Hiroshima” titolava il New York Times in prima pagina, un classico di disinformazione e servilismo giornalistico, a cui il reporter australiano Wilfred Burchett rimediò con il suo scoop del secolo. “Scrivo un avvertimento al mondo”, scrisse Burchett nel Daily Express, dopo aver raggiunto Hiroshima dopo un pericoloso viaggio, essendo il primo corrispondente a osare una tale impresa. Descrisse corsie di ospedali piene di persone senza ferite visibili ma che stavano morendo a causa di quella che chiamò “una piaga atomica”. Per aver detto la verità, il suo accreditamento da giornalista fu ritirato. Fu messo alla gogna, diffamato – e vendicato. John PilgerIl bombardamento atomico di Hiroshima e Nagasaki fu un atto criminale di dimensioni epiche. Fu un omicidio di massa premeditato tramite il quale venne liberata un’arma di natura intrinsicamente criminale. Tra tutte le vittime di Hiroshima, colei che forse più di tutte vengono ricordate è Sadako Sasaki. Un po’ per la giovane età al momento dell’esplosione, un po’ per la sua forza di sopravvivere e sicuramente perché racchiude una gran parte dei sentimenti che legano tra di loro tutti i superstiti. Simbolo di fiducia e modello da seguire oggi è ricordata al parco della pace di Hiroshima con un monumento a suo nome dove ogni anno centinaia di studenti portano i loro omaggi in gru piegate nella carta con la tecnica dell’origami. Oggi la città che, più di qualsiasi altro luogo del pianeta, porta nella sua storia il segno indelebile della follia umana, ha voluto tramutare lo strazio della memoria in una forte testimonianza che grida contro tutte le guerre. Chiunque si trovi oggi a passare per il centro cittadino - dove sorge il Peace Memorial Park - viene investito, coinvolto e commosso dal messaggio lancinante e perentorio che urla ai potenti della Terra: “NO MORE WAR, NO MORE HIROSHIMA. Ogni anno circa 50.000 persone si riuniscono nel Peace Memorial Park della città, davanti al Genbaku Dome o Palazzo della bomba atomica, rimasto lì a ricordare la deflagrazione e ora quasi ironicamente tutelato dall’UNESCO. |