33 vite al centro della Terra
Dal mondo
Scritto da Alberto Pagliero   

Potrebbe essere il titolo di un fi lm di un regista famoso e un giorno forse lo sarà. Ora è solo l’esperienza, del tutto inaspettata, che hanno vissuto 33 minatori cileni, bloccati a 700 metri di profondità.
Il solo pensiero di scendere tutti i giorni nel buio più totale mi mette a disagio e pensare all’esistenza di persone che lo fanno tutti i giorni mette in moto, in me, la voglia di ribellarmi allo sfruttamento, subito, per un lavoro ove la vita è costantemente a rischio. Forse lo penseranno anche i lavoratori di quella miniera, oggi che sono tutti vivi e stanno bene, e che, per lavorare, dovranno scendere ancora in quella miniera. Forse il loro pensiero torna al 5 agosto, giorno in cui, nella miniera di San Josè un pozzo è crollato e li ha bloccati per 69 giorni in un quel luogo ostile ricco di oro e rame. Per loro però non vi sarà più un solo giorno di lavoro nella miniera in quanto la società San Esteban, dopo il crollo, dovendo interrompere l’estrazione ha dichiarato il fallimento.
Se la situazione economica, dei 33 minatori appare rosea, per il sostegno solidale di un imprenditore, che ha donato diecimila dollari a testa, non si può dire la stessa cosa per i restanti 267 che dal momento dell’incidente non hanno più ricevuto lo stipendio e dopo più di due mesi, dall’inizio della vicenda sono stati licenziati senza stipendio e senza liquidazione. I minatori licenziati non hanno avuto nessuna considerazione dai mezzi di informazione e dal governo e hanno organizzato, domenica 17 ottobre, una protesta, durante una cerimonia di ringraziamento ai bordi della miniera, contro la società Esteban, al fi ne di ottenere il riconoscimento della liquidazione. La protesta dei minatori e delle loro famiglie, ai bordi della miniera, continuerà fi nché non verranno riconosciuti i loro diritti. La cosa che lascia perplessi e che la miniera era stata chiusa definitivamente dopo una serie di incidenti, tra il 2004 e il 2007, che avevano causato, tra l’altro, la morte di due minatori. Nel 2008 poi la miniera aveva riaperto, in seguito ad una autorizzazione ottenuta per aver eseguito alcuni lavori per la messa in sicurezza delle gallerie. L’incidente del 5 agosto scorso ha portato alla luce la verità: solo una parte del cunicolo, dove si trovano i minatori era stato messo in sicurezza. Dopo, aver salvato i 33 minatori, il 13 ottobre scorso, si è scoperto che l’accesso per uscire era presente ma mancavano le scale in quanto l’impresa non le ha mai costruite. Probabilmente costavano troppo. Le scarse risorse economiche erano conosciute da un governo che, grazie a qualche funzionario negligente ha permesso alla società di continuare ad operare senza poter garantire la sicurezza, gli stipendi e le liquidazioni ai suoi lavoratori.
Ora, a cose fatte, Alejandro Bohn, uno dei proprietari, ha ammesso di non aver stipulato alcuna assicurazione che garantisse i suoi dipendenti, e dopo aver dichiarato di non poter pagare ne gli stipendi ne le liquidazioni si è scusato per lo stato di fragilità economica in cui versa la sua società. Tutto ciò non avviene solo nella miniera di San José, ma in altre miniere in quanto il Cile è il primo produttore mondiale di rame, detentore di un record: estrarre un terzo del metallo presente sul pianeta. Questo settore conta ben ottocentomila addetti che lavorano in condizioni precarie, ben al di fuori dei normali contratti di ingaggio, svolgendo un lavoro a “progetto” legato alla produttività di una vena che una volta esaurita lascia senza lavoro i minatori impegnati nel suo sfruttamento. Il governo Cileno giustifi ca l’impossibilità di fare i controlli con la mancanza di personale su un territorio così vasto e da quando il prezzo del rame è andato alle stelle in tutto le borse mondiali la parola d’ordine è stata: aprire o riaprire tutte le miniere senza andare tanto per il sottile tralasciando di applicare le norme di sicurezza nei cunicoli di estrazione.
Il paradosso in questa vicenda che nonostante la miniera di san José si defi nitivamente chiusa i minatori sono ancora sotto l’ingaggio della ditta che la gestiva. Questo signifi ca che non possono essere assunti da altre compagnie. L’unica cosa che l’intermediazione, di un funzionario governativo è riuscita ad ottenere, riguarda il riconoscimento degli stipendi di agosto e settembre ma la situazione dei lavoratori resta compromessa. Questa condizione di diffi coltà in cui si trovati i minatori, purtroppo coinvolge anche la vita di molte persone che dipendono dal suo reddito mensile: in Cile, infatti, con lo stipendio di un solo minatore vivono tre famiglie.