Nell’Europa di un nuovo decennio che si apre sotto il segno perdurante e globale della crisi economica (vedi alla voce “Grecia”) e delle catastrofi naturali (vedi alla voce “Pakistan”) ci sono temi e questioni in agenda capaci di ridare unità, di garantire un collante politico altrimenti diffi cile da individuare. È questo il caso delle decisioni riguardanti la regolarizzazione di cittadini extracomunitari sul suolo europeo.
O, per meglio dire, le decisioni riguardanti il respingimento, il rimpatrio, l’espulsione di esseri umani provenienti da regioni segnate da guerra, terrore, miseria o carenza di dignitose prospettive di vita. L’accordo trovato alla fi ne degli anni novanta dai membri della Comunità sull’istituzione di Centri di Identificazione ed Espulsione e/o di Permanenza Temporanea ha preso ulteriormente vigore dopo l’11 settembre 2001, comportando un inasprimento delle misure all’insegna di quella lotta, “cruciale” e “non contestabile”, al terrorismo. Dall’Italia alla Francia, dalla Germania alla Spagna, l’improvviso risveglio delle cellule del terrore ha fornito anche un ottimo pretesto per elaborare semmai politiche di “irregolarizzazione” e autorizzare in modo definitivo il degrado e la trascuratezza all’interno delle strutture di ricezione degli stranieri: di fatto, strutture detentive, estensioni del sistema carcerario. Nessun rappresentante di partito o delle istituzioni in Europa può dirsi oggi soddisfatto del trattamento riservato ai clandestini, e il senso di incapacità e disumanità che ne deriva va soff ocato ed eluso attraverso due principali strategie di comunicazione: il silenzio da una parte e l’esaltazione di fenomeni fittizi dall’altra. L’estate del 2010 ha elargito abbondanti esempi in entrambe le direzioni, dall’Italia che non conosce più sbarchi sulle proprie coste, alla Germania che con la propria nazionale di calcio, la cosiddetta “Multikulti-Mannschaft ”, ai Mondiali in Sudafrica ha saputo mostrare il volto pulito dell’integrazione nella società tedesca. Mesut Özil, Sami Khedira e Jérôme Boateng sono diventati gli esempi di un’integrazione riuscita, icone di una nuova nazione che lo sport è in grado di rappresentare a livello non solo simbolico. Concentriamoci ora proprio sulla Germania, il Paese europeo che conta il maggior numero di extracomunitari, sette milioni circa. Qui il reato di immigrazione clandestina è punito con la reclusione fi no a tre anni in caso di recidiva; i centri di espulsione si trovano vicino agli aeroporti (ed è principalmente con gli aerei che avvengono i rimpatri) e a queste strutture si aggiungono all’incirca trenta centri di detenzione, in cui il periodo di permanenza può essere prolungato fino a 18 mesi. Per cogliere gli umori e le tendenze politiche presenti nel territorio non è di grande utilità fare riferimento al già citato exploit di una squadra di calcio composta, anche, dai fi gli di stranieri giunti in Germania decenni addietro, così come da polacchi e brasiliani naturalizzati tedeschi, più per opportunità che per rifl esso di un’integrazione sociale pur reale e verifi cabile. Conviene avere esperienza diretta e quotidiana delle zone maggiormente caratterizzate dal fenomeno migratorio e intendersi poi sul concetto di integrazione, perchè se si pensa alla comunità turca di Berlino non si può trascurare un aspetto peculiare, e cioè la concentrazione esclusiva di cittadini tedeschi di origine turca soltanto in alcuni quartieri della città, come Neukölln ora e un tempo Kreuzberg. Sarebbe inesatto defi nirli “ghetti”, sono semmai realtà urbane autonome capaci di ricreare in piccola scala le atmosfere e lo schema relazionale del Paese d’origine. Gli abitanti di Neukölln e gli extracomunitari in genere, così come peraltro i cittadini europei che desiderino ottenere la cittadinanza tedesca, sono tenuti a dimostrare la conoscenza della lingua tramite l’ottenimento di un certifi cato a seguito di un apposito esame (Sprachtest zur Einbürgerung) e hanno il consueto obbligo di studio e/o occupazione. Dal 2005, in particolare, si è promossa proprio la cosiddetta immigrazione qualifi cata, che consente di ottenere la residenza e il permesso di lavoro fi n dall’inizio della propria permanenza. Requisito essenziale è dunque l’avere una concreta off erta di lavoro e un permesso rilasciato dall’Agenzia tedesca per l’impiego. Sulla stampa e media nazionali, nei mesi scorsi, tre sono stati gli elementi di attualità legati ai fl ussi migratori e alla presenza di extracomunitari in Germania a cui è stato dato particolare risalto. Il primo elemento riguarda proprio la comunità turca, che nel 2009, secondo i più aggiornati dati a disposizione, ha fatto eccezionalmente registrare un numero maggiore di cittadini tedeschi di origine turca trasferitisi dalla Germania alla Turchia (40.000) rispetto ai Turchi che si sono trasferiti dalla Turchia alla Germania (30.000). È questo un sorpasso storico la cui spiegazione risiede nei vantaggi di cui godono coloro i quali hanno ricevuto un’istruzione più elevata, che possono in seguito far valere nel Paese d’origine, ed è anche un chiaro sintomo di mancanza di senso di appartenenza al Paese d’adozione. In generale va segnalata una nuova tendenza nel bilancio complessivo di chi lascia la Germania e di chi arriva: proprio nel 2009 i dati dimostrano come siano maggiori le partenze (734.000) rispetto agli arrivi (721.000). Dal 1985 al 2007 era sempre stato il contrario. Il secondo elemento è rappresentato dagli arrivi dei primi profughi iraniani, le cui richieste d’asilo politico sono state accolte in particolare a seguito di quanto accaduto a Teheran nei giorni della repressione della cosiddetta “Rivolta Verde”. La Germania si è mostrata puntuale nel proporsi come luogo di accoglienza ed interlocutore fi dato per gli esuli del regime di Ahmadinejad e sembra così essersi aperto un canale stabile di protezione dei rifugiati anche per gli anni a venire. Il terzo elemento di cui si è molto discusso, e che nella forma e nei contenuti ha ahimè richiamato alcune specialità della politica nostrana in salsa leghista e non solo, è stata la proposta da parte di esponenti della cosiddetta Unione, formazione al governo composta dai cristiano-democratici ed i conservatori bavaresi, a cui appartiene la stessa Angela Merkel, di sottoporre gli stranieri ad accurati test di intelligenza per valutarne l’idoneità a restare sul suolo tedesco. Secondo Peter Trapp, portavoce della CDU a Berlino “oltre alla verifi ca di una qualifi ca professionale bisogna adottare il criterio dell’intelligenza per stabilire se regolarizzare o meno uno straniero”. A questo proposito si è auspicato un cambiamento a livello europeo, seguendo l’esempio del Canada, che, secondo Ferber (CDU), avrebbe già fi ssato i parametri di accettazione degli stranieri a seconda del quoziente intellettivo. Pronta la smentita dall’ambasciata canadese a Berlino circa l’esistenza di test d’intelligenza in Canada e pronte le reazioni scandalizzate e trasversali in tutta la Germania, a partire dal cancelliere Merkel fi no al borgomastro della capitale, Klaus Wowereit (SPD). Unanime il rifi uto e il senso di assurdità e indignazione suscitato dalla proposta; tuttavia resta plausibile, per due esponenti di spicco della politica tedesca, formulare un’ipotesi tanto discriminatoria che, come ha avuto modo di dire il sindaco di Berlino, “getta una luce inquietante sui pensieri di alcuni nostri uomini politici”. Dobbiamo rifarci allora alle parole di Karamba Diaby, presidente del Consiglio Federale sull’Integrazione, che liquida le parole di Trapp e Ferber come “chiacchiere da ombrellone” e auspica che in Germania diventi sempre più forte e capillare la “Willkommenskultur”, una cultura del benvenuto e dell’accoglienza. Per chi volesse informazioni a proposito di organizzazioni umanitarie tedesche impegnate nella difesa dei diritti dei migranti, si consiglia di visitare il sito dell’associazione Pro Asyl, protagonista di importanti campagne di sensibilizzazione: www.proasyl.de |