“Secondo me lo siamo, Ciechi che vedono, Ciechi che, pur vedendo, non vedono”. Questo aforisma è uno dei più celebri di José Saramago, premio Nobel della letteratura recentemente scomparso. In uno dei suoi romanzi più famosi “Cecità” raccontava le vicende di una cittadina immaginaria colpita da un’epidemia di cecità per l’appunto.
A questo romanzo mi è capitato di pensare in questi giorni mentre cercavo di capire tra le poche righe dedicate dai giornali italiani, che cosa stesse succedendo in Siria. È ormai dal 15 marzo infatti che questo paese in mano da più di 40 anni al regime laicista del partito Baath e alla famiglia Bashar, è scosso da una protesta che ha assunto toni sempre più radicali. A questo romanzo mi è capitato di pensare in questi giorni mentre cercavo di capire tra le poche righe dedicate dai giornali italiani, che cosa stesse succedendo in Siria. È ormai dal 15 marzo infatti che questo paese in mano da più di 40 anni al regime laicista del partito Baath e alla famiglia Bashar, è scosso da una protesta che ha assunto toni sempre più radicali. Quando il 15 marzo scorso la protesta è esplosa nella città di Daraa al confi ne con la Giordania dopo che alcuni ragazzini erano stati arrestati per alcuni graffi ti contro il governo, il vero volto del regime si è defi nitivamente mostrato. La repressione ha fatto più di 400 morti in poche settimane e non ha risparmiato nemmeno le moschee; i carri armati e l’esercito sono entrati nella città lasciandola solo a fi ne aprile. L’informazione uffi ciale ha attribuito la colpa di quanto era successo a delle “gang armate”, nonostante la protesta continuasse progressivamente ad allargarsi ad altre città arrivando fi no a Damasco. Da parte sua il presidente Bashar ha inizialmente fatto pressione per chiedere le dimissioni del governatore di Daraa, Faisal Kolthoum attribuendogli in gran parte la responsabilità di quanto era successo. L’atteggiamento schizofrenico del regime si è concretizzato poi nella fi rma da parte di Bashar di una legge per porre fi ne allo stato di emergenza che vige nel paese dal 1963. Questo gesto è stato accolto più con sospetto che con entusiasmo dall’opposizione siriana che ha sottolineato come le forze di sicurezza continuino a non essere responsabili giuridicamente dei loro atti. In eff etti gli attacchi alle manifestazioni pacifi che (addirittura durante i funerali delle vittime) e gli arresti sono continuati, causando addirittura un esodo di siriani da molte città di confi ne. È quanto è successo per esempio dopo il bombardamento della città di Tall Kalakh nell’Ovest del Paese da cui migliaia di siriani (più di 4000 a metà di maggio secondo l’UNHCR) sono scappati rifugiandosi nel vicino Libano. Intanto le prime defezioni si sono avute nell’esercito che al contrario delle unità di élite delle forze di sicurezza in mano al fratello di Bashar, Maher al-Assad e al suo clan alawita, è formato da soldati di leva soprattutto sunniti e soprattutto provenienti dalle regioni più povere e rurali del paese da cui la protesta è partita. Sembrerebbe infatti che quanto accaduto nella città di Jisr al-Shughour, al confi ne con la Turchia, ovvero l’uccisione di 120 soldati (notizie tutte da verifi care considerando la completa chiusura decretata dal regime alla stampa straniera) non sia da attribuire a dei “terroristi” come sosterebbe il regime ma alle stesse forze di sicurezza siriane che avrebbero in questo modo punito l’ammutinamento di questi soldati dopo che si erano rifi utati di sparare sui civili inermi. I racconti degli oltre 10.000 profughi di Jisr al-Shughour, dove ci sarebbero circa 40 carri armati e 15.000 forze speciali dell’esercito secondo l’agenzia Nena news, e che si trovano ormai in territorio turco, descrivono i rastrellamenti e gli omicidi nonché gli incendi dei campi e l’abbattimento del bestiame oltre al taglio di luce, acqua e elettricità. Nonostante le due amnistie dichiarate da Bashar di cui l’ultima il 22 giugno, e la sua istituzione di un organismo per il “dialogo nazionale” che dovrebbe predisporre un piano per le riforme o addirittura “una nuova costituzione”, l’opposizione ha continuato a denunciare la repressione e a chiamare il popolo siriano cristiano, musulmano e alawita a protestare pacifi camente contro il regime fi no alla sua caduta. Per questo una prima riunione dell’opposizione siriana comprensiva di esponenti dei Fratelli Musulmani (organizzazione fuori legge in Siria ma molto organizzata e con appoggi a livello internazionale) e di molti “capi tribali” si è tenuta ad Antalya in Turchia, agli inizi di giugno dove sono state chieste le dimissioni immediate di Bashar e lo svolgimento di elezioni parlamentari e presidenziali entro un periodo non superiore a un anno. Davanti a questi avvenimenti tuttavia, la comunità internazionale fa la fi gura della prima e peggiore “non vedente”. Infatti nonostante l’Unione Europea si sia pronunciata due volte denunciando la repressione e sanzionando numerose personalità del regime nonché lo stesso Assad il 24 maggio e gli Stati Uniti abbiano assunto toni sempre più severi, una risoluzione di condanna non è ancora stata approvata alle Nazioni Unite in particolare a causa della contrarietà della Russia che vede nella Siria il suo principale alleato nella regione e che ha denunciato qualsiasi tentativo di “ingerenza” nelle questioni interne del paese da parte della comunità internazionale. La situazione continua pertanto ad aggravarsi e alcuni hanno iniziato ad agitare lo spettro di una possibile degenerazione in una vera e propria guerra civile che troverebbe un terreno fertile nella già multi confessionale società siriana. La Turchia in particolare ha progressivamente assunto toni di condanna nei confronti di Damasco suscitando l’ira del regime che ha parlato di complotto ordito da potenze straniere contro la Siria. E mentre oggi 23 giugno, i carri armati sono ormai visibili dal villaggio turco alla frontiera siriana di Guvecci, qui in Italia continuiamo a chiudere gli occhi. I giornali e i telegiornali rimangono muti o quasi di fronte al grido di libertà lanciato da una popolazione ormai allo stremo, imprigionata tra i carri armati e una repressione sempre più sanguinosa. Nemmeno i video che continuamente i ragazzi siriani pubblicano su facebook sulla pagina “The Syrian Revolution” servono a dare visibilità alle atrocità che ogni giorno le forze del regime commettono contro persone inermi (anche bambini)1. La resistenza di tanti siriani continua anche senza il nostro appoggio, ma forse in questo caso dovremmo davvero aprire gli occhi e avere il coraggio di vedere e non più solo guardare. Per aggiornamenti e approfondimenti: www.hurriyetdailynews.com - www.medarabnews.com - http://ovipot.hypotheses.org/
-------------------------------- 1. Le vittime sarebbero almeno 1.300 attualmente secondo fonti non governative. |