Turchia: il discorso di Ocalan avrebbe dato il via alla pace Stampa
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Tutto ebbe inizio nel marzo del 2013 quando il fondatore del PKK (movimento separatista del Partito dei Lavoratori), Abdullah Ocalan, in un discorso di fronte a un milione di persone, chiese ai suoi guerriglieri curdi e alla milizia turca il cessate il fuoco per iniziare a parlare di pace. La lotta continuava, secondo il discorso di Ocalan, letto da due politici curdi, ma diventava democratica in modo da far nascere, un Nuovo Ordine promotore di una società che possa tenere insieme modelli e culture diverse.  I primi passi verso la pace sembrano uscire allo scoperto e sono da attribuire alla dichiarazione del capo militare del PKK il quale il 21 marzo ha dichiarato che i ribelli obbediranno all’appello; per non essere da meno, il governo turco è pronto a lasciare che i miliziani abbandonino il paese senza problemi verso la regione autonoma curda del Nord Iraq, dove il presidente Massoud Balzani ha loro garantito posti nella pubblica amministrazione e un percorso di inserimento nella società. Le milizie curde concluderanno la loro migrazione nel mese di agosto. 

La strada verso la pace sembra essere costellata di successi se si considera che, nei mesi successivi, la Turchia rinuncerà alla incursioni nel Nord Iraq, messe in atto per indebolire le cellule più pericolose dell’organizzazione che si trovano sulle alture di Kandil. Il premier turco Erdogan ha pronunciato queste parole perché spera in una reazione positiva del governo, e qui entra in gioco la politica interna, in quanto il successo della trattativa con Ocalan gli aprirebbe la strada alla corsa per la Presidenza dell’anno prossimo. Il piano di Erdogan prevede anche la costruzione di una nuova Costituzione orientata verso un presidenzialismo forte che, grazie all’appoggio del partito curdo in parlamento, potrà non tenere conto delle richieste dell’opposizione più laica. Il tempo passa, e ciò che è stato diventa storia e nella storia restano le tracce della violenza generata per conservare il potere politico, economico e la supremazia religiosa verso la popolazione civile che spesso non ha voce in capitolo sulle scelte dei politici. Erdogan ha vinto contro l’opposizione laica  che ha mal sopportato le regole da dittatore imposte dal premier facendo nascere non dal nulla la primavera turca.

Ogni rivoluzione è pensata, studiata e nasce da quelle generazioni che ancora credono in un futuro dove i diritti non debbano essere violati a favore del pensiero unico di un dittatore. Ed è così che la lotta che doveva rimanere democratica è tornata ad essere armata, anche se fino ad adesso le armi sono solo in mano alla polizia che difende Erdogan. Come se questo non bastasse i rapporti diplomatici tra Turchia e Siria, mai troppo distesi, vengono alimentati da una nuova tensione a causa degli attentati avvenuti lungo il confine tra i due paesi nella città di Reyanhanli, dove sono rimaste uccise 46 persone e ferite un centinaio. Tenete presente che la tensione tra i due paesi è alta anche perché la Turchia ha già accolto oltre 300.000 rifugiati in fuga dalla Siria che sono per lo più accampati lungo il confine siriano. Oltre alla situazione politica tesa, anche i rapporti tra le persone dei due diversi paesi non sono migliori: i turchi mal sopportano la presenza dei siriani e si lasciano andare ad atti di violenza aggredendoli, perché ritenuti i responsabili delle autobomba, e ad atti di vandalismo sfasciando le auto dei profughi, con l’intenzione di mandare il chiaro messaggio che non c’è posto per loro e devono andarsene. Come se questo non bastasse, Erdogan sta attuando una politica di censura verso i mezzi di informazione locale ed estera senza nessuno scrupolo, arrestando, picchiando e torturando i giornalisti. Sicuramente ricorderete il caso, uno tra i tanti, del fotoreporter italiano, Daniele Stefanini, che prima di essere arrestato dalla polizia turca è stato picchiato e ferito. Le tv locali vengono oscurate e multate se osano mandare in onda la protesta. Solo alcune resistono e riescono a mandare in onda le testimonianze della rivolta, come la tv via web Capul Tv (tv saccheggio, dalla definizione sarcastica di saccheggiatori da parte di Erdogan, dei manifestanti) e la Halk Tv (la tv del popolo) collegata al partito socialdemocratico, e riescono a trasmettere le informazioni sulla protesta fin dagli esordi dei primi di giugno. È scandaloso e inverosimile come giornali e tv estere della portata della Cnn e Bbc raccontavano esclusivamente degli scontri, mentre erano solo le piccole tv locali a dare un’informazione capillare e dettagliata. Questo loro impegno è stato pagato a caro prezzo: i giornalisti e i capi redattori ora sono senza lavoro oppure viene loro impedito, sotto minaccia, di fare il loro mestiere. Le persone si ribellano e grazie a Twitter il giornalismo diventa affidabile, anche con l’aiuto di cittadini dotati di smartphone. La libertà di informazione è bloccata e controllata da un dittatore di nome Erdogan che ha multato quattro emittenti per aver trasmesso le immagini della protesta; la motivazione: secondo il giornale on line Hurriyet, le emittenti avrebbero minato lo sviluppo fisico, morale e mentale di bambini e giovani.

Intanto la comunità mondiale non si muove, non agisce in alcun modo per bloccare le violenze del governo, anzi il nostro ministro degli esteri Emma Bonino dichiara che se si vuole influenzare il percorso democratico e riformista della Turchia, l’Europa non può e non deve congelare i negoziati. Certo i negoziati non vanno congelati con la Turchia perché ciò andrebbe a svantaggio dei rapporti economici tra i nostri due paesi. Basti pensare che la società turca in campo edile e alberghiero Tasyapi è intenzionata a rilevare lo scalo di Levaldigi in provincia di Cuneo per farne il terzo polo per la Costa Azzurra, considerata la saturazione di Nizza e Cannes. La ditta ha pronti 19 milioni da investire per rilanciare lo scalo ed arrivare a un milione di passeggeri l’anno. Tutto questo ad oggi non è ancora partito perché il nostro ministro per lo sviluppo economico non ha dato il benestare all’inizio della trattativa. Se mai i turchi arriveranno speriamo che siano meglio di Marchionne nel rispetto dei diritti dei lavoratori perché non vorrei poi sentir loro dire “mamma li turchi”.