Parigi, i bombardamenti 
e la piccola Anna
Articoli - Dal mondo

di PierVittorio Formichetti

Sugli attentati che la notte del 13 novembre 2015 a Parigi hanno causato la morte di più di 120 persone e scioccato i cittadini, e che hanno avuto eco immediata sugli organi d’informazione d’Europa e del mondo, ha già detto abbastanza la cronaca: tutti abbiamo saputo che durante la partita di calcio tra Francia e Germania sono state udite le esplosioni dei kamikaze poco lontane dallo stadio, subito scambiate per petardi (!) o per bombe-carta degli ultras, che hanno fermato per qualche minuto i calciatori; tutti abbiamo saputo dell’eccidio compiuto all’interno della sala concerti del locale “Bataclan”; tutti abbiamo saputo che gli autori della strage sono appartenenti al sedicente Califfato islamico, noto anche con l’acronimo inglese ISIS, o con quello arabo DAESH, e che uno di loro ha “curiosamente” perso il passaporto nel luogo della strage, indicando così di provenire dalla Siria, obiettivo immediato delle bombe sganciate dagli aerei dell’esercito francese pochi giorni dopo. 

 Un articolo su “Conexión”, periodico che deve la sua esistenza all’incontro / scontro tra culture differenti e alla presenza della società multietnica, non può certamente approfondire l’accaduto, né aggiungere dettagli o elementi utili alla comprensione dei fatti, né – naturalmente – pretendere di raggiungere la “verità vera” intorno all’evento, anche perché – scrisse il senatore statunitense Hiram Johnson nel 1917 – «in guerra, la prima a cadere vittima è la verità». Ma l’Europa è in guerra? E precisamente contro chi? 

 

Su queste domande, il 21 novembre scorso il Centro Studi Piero Gobetti ha organizzato “a caldo” un incontro con Luigi Bonanate, professore emerito di Relazioni internazionali all’Università di Torino (anche perché a febbraio del 2016 saranno passati 90 anni dalla morte di Piero Gobetti avvenuta proprio a Parigi, dov’era esule a causa della persecuzione fascista e dov’è tutt’ora sepolto). Bonanate, più che fornire vere e proprie spiegazioni, ha sollevato alcune questioni ineludibili sulla inquietante situazione geopolitica che si profila intorno a ciascuno di noi:

 

• L’Italia è al 9° posto tra i Paesi venditori nel mercato delle armi occidentale (USA, Germania, Francia, Inghilterra...). L’unico Paese extra-occidentale che vende abbastanza armi (ma per ora è più che altro un acquirente) è la Cina.

• La zona del più alto mercato (sia legale sia di contrabbando) di armi, petrolio, droghe ed... esseri umani è proprio tra il Corno d’Africa e il Golfo Persico, dunque intorno all’Arabia Saudita, il Paese più ricco del Medio Oriente e più in affari con gli Stati occidentali.

• I giornali italiani (qui un pessimo esempio [http://www.left.it/wp-content/ uploads/2015/11/bastardi-islamici-parigi.jpg]) sono apparsi tutti piuttosto pilotati nel dare la notizia sulla strage di Parigi. Nessuno di essi, dal punto di vista del bilancio, è in attivo; spendono più di quanto guadagnino dalle vendite, eppure i loro servizi sul terrorismo proliferano, orientando l’opinione pubblica, anziché sulla sostanza dei fatti e sui loro motivi (che cosa c’è nella mente di un terrorista?), su dettagli futili, per esempio da quale ingresso del “Bataclan” sono entrati gli attentatori, o la fotografia della faccia di un terrorista che è cambiata nel tempo. 

(Io ci aggiungerei anche: la capienza di 1500 posti della sala del “Bataclan”; le infinite interviste al fratello di Salah Abdeslam, il principale colpevole dell’attentato, e sulla «radicalizzazione» del suo approccio all’Islam, di cui nessuno pare essersi accorto; il sospetto sulle periferie urbane – rievocando le rivolte violente nelle banlieues [http://www.treccani.it/enciclopedia/rivolta-delle-banlieues_%28Lessico_del_XXI_Secolo%29/] proprio a Parigi pochi anni fa – e sui musulmani in genere, elevato a metodo di indagine sulla propalazione del fondamentalismo (!), senza il minimo dubbio sull’ulteriore effetto di esclusione che questo sguardo può provocare nei residenti, per lo più poveri e immigrati; Valeria Solesin, la 28enne ricercatrice universitaria e volontaria di Emergency, presentata al pubblico come un’eroina nazionale anche e soprattutto in quanto giovane, e per la cui memoria sono state proposte iniziative che vanno dalla medaglia al Valore Civile – come se avesse salvato lei la vita a qualcuno – alla più sensata borsa di studio universitaria). Si tratta dunque di strategie comunicazionali; ma chi c’è “dietro” a deciderle? 

 

• Manuel Valls, il premier francese, ha evocato di nuovo il pericolo delle armi chimico-biologiche [http://www.lettera43.it/apire-notizie/francia-la-minaccia-armi-chimiche-in-5-punti_43675224044.htm], dopo che già erano tristemente “apparse” prima della guerra degli USA in Iraq nel 2001. Ma perché i terroristi, se le hanno davvero, non le usano mai veramente per distruggere l’umanità?!

 

Tutto sembra rientrare in una precisa strategia di comunicazione orientata a far pensare il pubblico in un certo modo. Hanno contribuito a questa situazione anche “sedicenti profeti” come Samuel Huntington negli USA e Oriana Fallaci in Italia, che hanno presentato l’Islam demonizzandolo, anche quando nel 1992 – quando scriveva Huntington – non c’era l’emergenza del terrorismo islamico.

Si comprende perché – ha raccontato Luigi Bonanate – una volta il noto conduttore di talk show Giovanni Floris gli telefonò per un dialogo con lui su questi temi, e alla fine gli disse: «Molte delle cose che lei dice mi rovinerebbero la trasmissione!».

L’incontro con Bonanate ha visto anche la presenza di Marco Revelli – noto politologo e figlio del celebre partigiano e scrittore Nuto Revelli – che ha commentato con passione civile e umorismo gli avvenimenti successivi agli attentati a livello geopolitico: 

«I governi tendono a dire ai cittadini: “Fidatevi di noi, che bombardiamo il nemico!”. Era incredibile la faccia, anzi gli occhi di Valls,
mentre diceva che l’Europa è in guerra, per non parlare del presidente Hollande, che con il suo aspetto da travet dichiarava l’intenzione di bombardare. Almeno il generale De Gaulle avrebbe avuto le physique du rôl !

 

I mass media tendono a dire al pubblico: “Basatevi sull’emotività anziché sulla ragione, non cercate di sapere!” Il contrario del motto latino “Sapere aude!” (Osa conoscere!) che Kant aveva fatto proprio. Oggi anche la politica si fa con i tweet, come fa spesso il nostro premier...! Politica e informazione agiscono come se le persone dovessero assuefarsi al fatto che il mondo non è governabile da parte di tutti (democrazia), ma soltanto da una classe dirigente alla quale dovremmo dare fiducia quasi a priori, anziché esercitare la critica e servirci del dubbio».

Il terrorismo è dunque invincibile, poiché strumentalizzato (e forse incoraggiato) dai Paesi euro-atlantici? La conclusione di Luigi Bonanate è stata improntata insieme al realismo e alla speranza: per le sue stesse caratteristiche, soprattutto il fatto di colpire civili inermi e di essere in sé soltanto distruttivo (invece la guerra provoca sempre una successiva ri-costruzione), il terrorismo non può vincere, come infatti non ha mai vinto in passato. Ma il mondo, in questa situazione, rischia davvero di entrare in una fase di «anarchia globale» che come esito non potrebbe non avere una guerra. 

 

Concludo in modo insolitamente più personale. Proprio nella settimana tra la notte degli attentati e la mattina di queste riflessioni, ho incontrato per la prima volta Anna, una bambina nata a Torino il giorno in cui c’era stato un nubifragio con una violentissima grandinata, il 4 settembre. Era su un pullman, ma non abbiamo potuto conoscerci meglio perché dormiva beatamente tenuta in braccio da sua mamma Serena, una mia Amica che ha sempre, e che sempre suscita, sentimenti opposti a quelli che portano una parte dell’umanità a correre verso il caos o verso l’ennesima guerra. 

 

Alla piccola Anna, apparsa come una piccola luce tra tante tenebre morali e geopolitiche, dedico l’articolo, sperando che quando sarà più grande, i kamikaze in nome di Dio e i bombardamenti aerei saranno soltanto eventi di anni lontani, in cui era troppo piccola per poter ricordarsene.