"A me la parola tolleranza non piace. Se tu devi tollerare qualcuno non c’è il senso di uguaglianza." (tratto da: "Il vento fa il suo giro" film girato in Val Maira - Piemonte)
Quando si parla di incontro fra culture pensiamo immediatamente a persone provenienti da luoghi lontani, nel nostro immaginario esotici. Che parlano lingue diverse dalla nostra, talvolta incomprensibili e che mangiano piatti speziati dai nomi evocativi. Non è sempre così. In Piemonte, a ridosso delle alpi sud occidentali, ci sono luoghi che preservano un patrimonio linguistico e culturale a noi molto vicino seppur poco conosciuto. Questi luoghi prendono il nome di Occitania. L’Occitania è un territorio la cui estensione è piuttosto vasta, essa comprende la catalana val d’Aran sui Pirenei, le regioni della Francia meridionale e l’area sud occidentale delle alpi italiane. In Piemonte sono 107 i comuni fra Torino e Cuneo che fanno parte di questo territorio, in tutta l’area si parla prevalentemente la lingua occitana. Gli abitanti di queste zone vivono in una condizione di diglossia poiché le due lingue, italiano e occitano (o provenzale come preferiscono alcuni), convivono e vengono utilizzate dai parlanti in maniera alternata a seconda delle circostanza e degli interlocutori. C’è da sapere che quello che alcuni chiamano semplicemente patois o dialetto è stato riconosciuto dalla legge 482/99 come lingua minoritaria e per questo è tutelata dallo stato italiano. La storia di questo popolo è molto antica, già nel XII secolo l’organizzazione in feudi delle regioni della Francia meridionale e di alcune zone delle Alpi italiane permisero un relativo benessere. Fra in XIII e il XVIII secolo l’esperienza di autogoverno con la Repubblica degli Escartons (che comprendeva 51 comuni dell’alta Val di Susa, l’alta Val Chisone, la Val Varaita e le regioni d’oltralpe di Queyras e Briançon), permise la formazione di forte senso di autonomia dei popoli occitani. Bisogna anche dire che l’Occitania è stata storicamente luogo di insediamento di nuovi popoli, nel medioevo vi si stanziarono alcune comunità religiose poi violentemente perseguitate dalla chiesa fra il XVI e il XVII secolo, fra questi vi furono i Catari e i Valdesi e questo giustifi ca la presenza della più grande comunità Valdese proprio qui in Piemonte. Nonostante circa tredici milioni di persone abbiano utilizzato questo idioma per lungo tempo la presa di coscienza circa l’appartenenza ad un’unica comunità risale a epoche diverse per i francesi e gli italiani. In Francia infatti, sull’onda dei movimenti romantici del XIX secolo, viene fondato nel 1854 il movimento letterario felibrige che pone alla base delle proprie idee la riscoperta delle identità locale e la valorizzazione della lingua occitana come patrimonio culturale. Utilizzando la lingua dei poeti trobadorici Frédéric Mistral, premio nobel nel 1904 e fondatore del movimento, compose splendide opere inneggianti l’amore e la bellezza dei suoi territori. Così mentre negli anni ’60 del novecento in Francia veniva fondato da Francois Fontan il Partito Nazionale Occitano che rivendicava il diritto all’autodeterminazione dei popoli, una parte degli italiani ignoravano completamente lo status della propria cultura. E’ infatti solo dalla prima metà degli anni ’80 che si diff onde nel nostro paese la convinzione che lingua e cultura occitana siano un patrimonio da preservare, prima di allora la lingua parlata dai giovani e dagli anziani delle valli piemontesi era semplicemente defi nita il nosto modo, cioè la parlata alla nostra maniera. Oggi le organizzazioni che si impegnano a preservare questo patrimonio sono numerose, nel 2008 per esempio l’associazione piemontese Ch’ambra d’Oc con il sostegno degli enti pubblici ha organizzato una lunga marcia a piedi (di circa 1700 km) attraverso i territori occitani, dalle Alpi piemontesi fi no ai Pirenei, per far conoscere le ricchezze della lingua e della cultura occitana e per rivendicarne la tutela UNESCO come patrimonio dell’umanità. La regione Piemonte attraverso l’uffi cio di promozione e tutela del patrimonio culturale e linguistico, organizza ogni anno manifestazioni musicali e corsi di lingua nelle scuole perché i bambini fi n dai primi anni di vita possano avere uno strumento di comunicazione in più, che li avvicini alla tradizione e renda più naturale la comunicazione con i nonni. Sempre nel 2008 Naoko Sano, ricercatrice e linguista dell’università di Nagoya (Giappone), ha lavorato come autrice al libro “Viaggio di una giapponese nelle Valli Occitane in Italia”. Questo, per quanto curioso possa sembrare, è la dimostrazione più evidente di come essere guardati con occhi diversi dai propri possa essere un modo per conoscersi meglio e di quanto culture diverse possano arricchirsi vicendevolmente confrontandosi e dialogando. Quello che voglio dire è che le genti dei territori occitani sono stati in grado non soltanto di preservare le proprie tradizioni e ne sono un esempio formidabile le festa della Baìo che ogni anno in Val Maira, Grana e Stura (ma solo ogni cinque a Sampeyre in Val Varaita), ripropongono una rappresentazione rituale dei molti aspetti della vita di montagna di un tempo, ma anche di rinnovarsi con il cambiare delle epoche. Oggi per esempio la musica occitana ha un pubblico vastissimo, è stata ripresa e riproposta in chiave rock da gruppi celebri come i Lou Dalfi n ma anche i Ramà, i Lou Seriol e sono tanti i musicisti che suonano gli strumenti tradizionali, la ghironda, i fl auti, le cornamuse e lo fanno ricercando nuove sonorità, più vicine al panorama musicale di oggi. Esiste anche una radio, radio Beckwith, che trasmette dalla Val Pellice ed off re utili servizi e intrattenimento ai suoi ascoltatori ma lo fa utilizzando la lingua della comunità, l’occitano. Proprio questo ci spinge a rifl ettere sul binomio modernità e cultura, non è l’avvento dei nuovi media infatti a far morire la lingua e non è la commistione dei popoli a distruggere tradizioni secolari, il pericolo è rappresentato dalla percezione che abbiamo di noi stessi. Se non diamo valore alle nostre tradizioni fi niremo per perderle adeguandoci a coloro che consideriamo dotati di una cultura più prestigiosa senza considerare l’unicità di ciascun popolo. |