Facendo la spesa mi è capitato spesso di pensare quale fine facciano gli alimenti deperibili, di cui i supermercati traboccano, una volta giunti a scadenza o non più vendibili perché in cattive condizioni (almeno a livello estetico). Spesso ho pensato che venissero utilizzati come cibo per i maiali (N.D.R. una direttiva EU lo vieta da qualche anno), ma in generale non mi davo una risposta e la mia coscienza non ci pensava semplicemente più.
Qualche tempo fa una notizia è uscita su tutti i principali TG, e poi anche su molti giornali, forse solo perché era una situazione curiosa e anche, a suo modo, divertente. Un inglese di nome Tristram Stuart recuperava dall’immondizia dei supermercati quantità immense di alimenti appena scaduti o di scadenza in giornata. Non si trattava di un clochard o di una persona ai margini della società, ma di uno scrittore ecologista, o meglio “freegan” che portava avanti una sorta di inchiesta paese per paese, uscita poi sul suo libro pubblicato in Italia con il titolo “Sprechi”. Il termine freegan sta ad indicare coloro che seguono uno stile di vita teso a ridurre al minimo l’utilizzo di risorse e il loro spreco; questo avviene recuperando alimenti tra i rifi uti, evitando di avere e utilizzare l’auto, ricorrendo al riciclaggio e aggiustando oggetti rotti piuttosto che buttarli e ricomprarli nuovi. Insomma, uno modo di vivere che si oppone alla cultura consumista, che sempre più si è trasformata in cultura dello spreco. E se penso anche a quanti beni tecnologici vengono continuamente buttati perché costa meno ricomprarli nuovi piuttosto che ripararli, credo che siamo veramente di fronte ad una cultura criminale, creata dall’uomo ma ormai sfuggita al controllo e volta a distruggere l’uomo stesso e le risorse del nostro pianeta. I freegan, diffusi in Gran Bretagna e negli Stati Uniti principalmente, sono un caso “limite”, non so se sarei mai capace di frugare nell’immondizia se non in caso di estrema necessità. Però è quantomeno interessante fermarsi a rifl ettere sui dati relativi allo spreco e trarne qualche insegnamento. Secondo la Coldiretti, solo in Italia 240mila tonnellate di alimenti, per un valore di oltre 1 miliardo di euro, restano invenduti nei punti vendita: il loro utilizzo potrebbe sfamare 600.000 cittadini con tre pasti al giorno per un anno. Intanto, nel mondo, il numero delle persone che soffrono la fame è in continua crescita e per la prima volta raggiunge la cifra record di 1,020 miliardi, ovvero circa un sesto della popolazione mondiale. Ormai anche nei Paesi sviluppati la quota delle persone denutrite quest’anno ha raggiunto i 15 milioni, con una crescita del 15,4 per cento sul 2008. Se poi consideriamo quanto viene sprecato dai ristoranti, dalle famiglie (si calcola circa 600 Euro all’anno di alimenti buttati a famiglia), dagli scarti dei prodotti che non raggiungono gli standard adeguati per essere venduti, ai pasti sui voli aerei, alle mense, solo per fare degli esempi, ci possiamo rendere conto dell’assurdità di questo sistema. Oltre a quello che ognuno di noi può fare per ridurre gli sprechi, anche solo ponendo più attenzione alla spesa (ad esempio, se sappiamo che consumeremo il prodotto nel giro di pochi giorni non dobbiamo necessariamente cercare il prodotto che ha la scadenza più lontana) e mettendo creatività nell’utilizzo degli avanzi (ora su internet si possono trovare innumerevoli idee), ci sono diverse iniziative interessanti anche qui in Italia. Il preside della Facoltà di Agraria dell’Università di Bologna, Andrea Segrè, cura da alcuni anni il progetto “Last Minute Market”, attraverso il quale si mettono in contatto potenziali fornitori come supermercati, negozi e mense, con i possibili fruitori, cioè mense dei poveri e altre situazioni di bisogno. Tramite una rete di organizzazioni no-profit, Comuni e fondazioni il cibo che verrebbe sprecato viene riutilizzato e ritorna ad essere risorsa. E la cosa interessante è che tutti ci guadagnano: i fornitori che riducono i problemi di smaltimento e guadagnano in immagine, i beneficiari che ricevono prodotti gratuiti, gli enti territoriali che riducono i rifi uti e quindi l’impatto ambientale. La rete funziona attualmente solo in alcune città, soprattutto del nord, ma è riuscita a recuperare nel 2009 ben 890 tonnellate di alimenti per un valore di circa 3 milioni di euro. Proprio dall’incontro tra il dott. Segrè e Tristram Stuart è nata l’iniziativa di Trafalgar Square: 5000 pasti dati gratuitamente in una sera grazie al recupero di alimenti presso le catene di supermercati. Altra iniziativa è il Freecycle (www.freecycle. org), una rete di persone connesse tramite mailing-list che scambiano gratuitamente beni di varia natura, dai prodotti tecnologici (che pare siano i più gettonati), ai mobili (soprattutto Ikea), agli oggetti di uso quotidiano. Sempre sulla rete è possibile contattare i “Guerrilla Gardening”, persone che non cercano di ridurre lo spreco, ma tentano di usare il loro tempo libero con l’intento di curare e abbellire spazi comuni lasciati a se stessi, cercando di trasmettere nel contempo una cultura della “cura”. Nottetempo, dopo essersi accordati sul luogo dell’intervento e aver recuperato in modo autofi nanziato piantine e semi, trasformano angoli abbandonati delle nostre città in colorate e pulite aiuole. Non mancherei anche di ricordare i Gruppi di Acquisto Solidale, ovvero gruppi di cittadini che si autoorganizzano, centralizzano le ordinazioni e acquistano direttamente dai produttori, in genere contadini o agricoltori a livello locale. Anche in questo modo si possono ridurre gli sprechi dell’intermediazione e acquistare prodotti di stagione locali e più genuini, risparmiando altresì le spese di trasporto e il relativo impatto ambientale. |