Il permesso di soggiorno a punti
Inchieste
Scritto da Paolo Riva   

permesso di soggiornoSi intende con integrazione quel processo finalizzato a promuovere la convivenza dei cittadini italiani e di quelli stranieri, nel rispetto dei valori sanciti dalla Costituzione italiana, con il reciproco impegno a partecipare alla vita economica, sociale e culturale della società"
Questa frase, ricca di apparenti buone intenzioni, è la definizione ufficiale che la Repubblica Italiana fornisce del concetto di Integrazione. È contenuta nell’articolo 47 della legge 94/2009, meglio nota come "Pacchetto sicurezza". Tale articolo va ad integrare l’articolo 4 del decreto legislativo 286/1998, anch’esso più conosciuto come Legge Turco-Napolitano, introducendo una novità rispetto alle modalità di soggiorno in Italia per i cittadini stranieri: quello che da molti è stato definito come il "Permesso di soggiorno a punti". Ma vediamo di cosa si tratta.
La novità introdotta dal Pacchetto sicurezza riguarda l’Accordo di integrazione, una sorta di contratto che il cittadino straniero deve sottoscrivere obbligatoriamente quando richiede il Permesso di soggiorno.
In questo accordo, i cui contenuti precisi sono ancora da definire, sono previsti degli obblighi e degli obiettivi che lo straniero deve mantenere o completare per ricevere dei punti, concessi a seguito di una valutazione da parte degli Sportelli unici per l’immigrazione.
La quota fissata è di 30 punti, da raggiungere nell’arco di due anni, con un eventuale anno di proroga scaduto il quale, se il punteggio non è ottenuto, scatta la revoca del Permesso di soggiorno e l’espulsione immediata dal territorio italiano.
I punti si possono anche perdere, in caso si commettano dei reati penali.
Tra i doveri principali per il cittadino straniero ci sono: la conoscenza della lingua italiana, la conoscenza della Costituzione italiana, l’iscrizione al servizio sanitario nazionale, l’iscrizione dei figli alla scuola dell’obbligo, il possesso di un contratto d’affitto regolare (o di una casa) e una regolare posizione col fisco.
A prima vista la normativa che riguarda questo Accordo di integrazione sembra tutto sommato ragionevole. Introduce una serie di obblighi abbastanza condivisibili e di buon senso: conoscere la lingua e le leggi, andare a scuola, pagare le tasse, cose che chiunque dovrebbe fare. Appunto, chiunque! Con la sola differenza che agli stranieri vengono richieste cose che gli italiani stessi non possiedono, o che si da per scontato che abbiano in maniera automatica per il solo fatto di essere nati in Italia.
Purtroppo, o per fortuna, non è così, e se entriamo più nello specifico della questione, ci accorgiamo che quest’articolo di legge vive in un paese tutto suo, che non ha molto a cui spartire col paese reale in cui vive la gente comune.
Conoscenza della lingua italiana. Certo, un requisito indispensabile per poter comunicare, utile probabilmente più allo straniero per capirci, che non a noi per capire lui. Tuttavia, avete mai notato che ci sono milioni di italiani che la loro lingua non la sanno parlare? E non mi sto riferendo alle minoranze etnico-linguistiche del Südtirol o della Vallée d’Aoste, ma di gente che vive ovunque, da Vicenza a Crotone, da Savona a Taranto. Un fiorire di espressioni grammaticali aberranti, accenti improponibili, congiuntivi sparpagliati a caso. Basta accendere la televisione per incontrare fior fior di professionisti, politici e persino giornalisti che fanno continuamente rivoltare Dante e Petrarca nella tomba. Un italiano su quattro non sa parlare correttamente l’italiano, però lo straniero sarà obbligato a farlo per legge!
Conoscenza della Costituzione italiana. Anche questo è un buon requisito, perché la Costituzione è la legge fondamentale dello Stato, che contiene tutti i diritti e i doveri del bravo cittadino italiano. Ma intanto, se allo straniero viene concesso un semplice permesso per soggiornare in Italia, e non la cittadinanza stessa, non si capisce perché dovrebbe conoscere questi diritti-doveri. Che se ne fa di sapere ad esempio che "Può essere eletto Presidente della Repubblica ogni cittadino che abbia compiuto cinquanta anni d’età" (art.84), oppure che "Ogni cittadino inabile al lavoro e sprovvisto dei mezzi necessari per vivere ha diritto al mantenimento e all’assistenza sociale" (art. 38). Lui mica è un cittadino. E soprattutto, quanti italiani credete che conoscono davvero il contenuto della loro Costituzione? Ne conoscete qualcuno? Complimenti.
L’iscrizione dei figli alla scuola dell’obbligo. Anche questa è una buona proposta, utile a integrare le nuove generazioni. Certo, se poi lo stesso governo si lancia in iniziative tipo un tetto massimo del 30% di alunni stranieri per classe, anche in comuni dove c’è una scuola sola, oppure se alcune amministrazioni locali stabiliscono l’accesso alle scuole solo per i figli di immigrati regolari, il tutto diventa complicato. Per avere il permesso di soggiorno lo straniero deve iscrivere suo figlio a scuola; ma per iscriverlo a scuola deve avere il permesso di soggiorno. Non vi sembra che ci sia qualcosa che non torna? Anche se uno fosse onestissimo e determinato a diventare un "buon italiano", secondo voi con questo garbuglio di leggi cosa dovrebbe fare? E non abbiamo neppure parlato di quanti genitori italiani non mandano i loro di figli a scuola.
Il possesso di un contratto d’affitto regolare. Intanto, come per il precedente caso della scuola, se un cittadino straniero vuole affittare una casa deve dimostrare di avere un contratto di lavoro; ma per ottenere un contratto di lavoro deve dimostrare di avere un affitto regolare. Niente casa se non hai il lavoro, niente lavoro se non hai la casa. No, qualcosa continua a non tornare. E poi avete mai sentito parlare degli affitti in nero? Vi siete mai accorti di quanti italiani, per necessità o per furbizia, non hanno contratti regolari d’affitto. Se applicassimo la stessa norma solo agli studenti universitari fuori sede, città come Padova o Bologna si spopolerebbero nel giro di dieci minuti. Senza contare che l’affitto in nero è proposto dal proprietario della casa, che solitamente è italiano.
Sulla regolare posizione col fisco soprassediamo, in rispetto del record mondiale di evasione fiscale che l’Italia possiede.
La nuova legge concepita con l’apparente scopo di aumentare la sicurezza e "italianizzare" a forza i cittadini stranieri che decidono di venire a vivere in Italia, introduce quindi per questi una serie di regole così bizzarre che finiscono per obbligarli ad essere più italiani degli italiani stessi. Si pretende che nel giro di due o massimo tre anni una persona faccia cose che un italiano non fa nell’arco di un’intera vita. Come a dire che se hai avuto il caso di nascere in Italia, puoi dire o fare determinate cose senza rischiare di perdere la cittadinanza. Se hai avuto il caso di nascere altrove, è tutto il contrario, senza calcolare che il posto in cui sei nato mica l’hai scelto!
Non c’è speranza dunque? Come faranno i cittadini stranieri ad integrarsi allora? Semplicemente come fanno ovunque, o come fanno gli italiani che cambiano città, o come fanno i bambini per integrarsi nella società, cioè imitando l’esempio degli altri. E se questo è un cattivo esempio, ci sarà cattiva integrazione.
Se l’italiano medio parla a malapena la sua lingua, non conosce le leggi principali, vive o lavora in nero, non paga le tasse, parcheggia sulle strisce pedonali, riconosce la propria bandiera solo durante i mondiali di calcio e si ricorda delle proprie tradizioni religiose solo in apparenza ma senza sostanza, allora come pensate che lo straniero medio si comporterà? Non è difficile.
Fate un esperimento. Provate ad immaginare di stare ad un semaforo rosso, dove però passano tutti; dopo la quarta o la quinta persona che attraversa lo fareste anche voi in automatico. E vi giustifichereste dicendo che tanto lo fanno tutti. Ma provate anche ad immaginare che arriva un vigile e ferma solo voi, e vi dice: "ah, ma gli altri possono passare colo rosso. Solo lei non può". Non vi sentireste decisamente presi in giro? Discriminati? Maltrattati? Insomma, Stranieri?

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