Le “primavere” arabe
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Definirla ancora “primavera araba” lascia perplessi. Quei fiori sono da lungo tempo appassiti, spazzati via dal sangue delle guerre civili in cui le “primavere” si sono tristemente trasformate in questi ultimi tre anni.

E altrettanto remoto appare, adesso, quel fatidico 17 dicembre del 2010, giorno in cui Mohammed Bouazizi,

venditore ambulante di Sidi Bouzid, si dava fuoco per protesta contro l’abuso di potere della polizia del dittatore tunisino Ben Alì che gli aveva sequestrato la merce. Quel gesto divenne la miccia che infiammò l’animo di migliaia di persone che scesero nelle strade e nelle piazze in Tunisia, poi in Libia, poi in Egitto. Tutti uniti a urlare contro il potere.

Da allora si è scatenato l’inferno: proteste, rivolte, controrivolte, attentati, carneficine, colpi di stato. Certo è che l’entusiasmo della prima ora è scomparso del tutto: i tre paesi simbolo della primavera araba si trovano oggi in gravissima crisi economica, a rischio di dittatura islamica e teatro di quotidiani e sanguinosi scontri tra islamisti e laici.

Sull’altra sponda del Mediterraneo, oggi, a Torino, mi trovo nell’ordinato e colorato negozietto di frutta e verdura che Mohammed ha aperto 24 anni fa nella zona storica della città. Viene dal Marocco e si è perfettamente inserito nella realtà torinese.

Avresti voglia di raccontare il tuo punto di vista di migrante arabo sull’attuale situazione del mondo arabo?

Premetto che io in Italia ci sto benissimo, e ci stanno benissimo i miei figli e mia moglie. Per come stanno andando le cose in generale, non posso proprio lamentarmi di nulla. Sono tempi duri questi. Ma la situazione nei paesi arabi era più che dura, era drammatica, e durava da tantissimo tempo. Lì esistevano solo due categorie di persone: i ricchi, ricchissimi, e i poveri, poverissimi. Era così in tutti i paesi arabi, senza eccezione. Si può dire che gli arabi poveri fossero abituati a essere sottomessi, sempre comandati da qualcuno che usava il pugno di ferro.

Era così anche in Marocco?

La storia del mio paese è andata un po’ diversamente: in Marocco il cambiamento è avvenuto naturalmente, senza scosse. Quando è morto il vecchio re Hassan II, duro e autoritario, nel 1999, è salito al trono il figlio Mohammed VI, com’è tradizione. Con lui tutto è cambiato: giovane, liberale, di idee aperte, ha subito iniziato un programma di riforme, e così oggi il Marocco è un paese libero, stabile e pacifico. Questo nuovo re è sempre stato socialmente molto impegnato, tanto che i suoi sudditi lo hanno chiamato “il re dei poveri”. Mi fa venire in mente Papa Francesco. è un re molto amato, e il passaggio generazionale è stato positivo, una specie di rivoluzione naturale e pacifica. In Marocco gli occidentali sono ben visti, c’è intesa, e il turismo rappresenta una risorsa economica importante.

In Marocco, quindi, non ci sarebbe spazio per interferenze politiche dall’esterno?

Sì, ci sarebbe posto, perché un punto debole esiste in ogni paese. Anche la Libia, per esempio, era tra i paesi arabi più ricchi. Quindi, non è stata la fame del popolo a provocare la caduta di Gheddafi. Direi piuttosto che dopo mezzo secolo di regime, la gente aveva voglia di un cambiamento. Gheddafi ha sempre fatto una politica favorevole verso i poveri, regalava case ai bisognosi. No, quello che ha dato fastidio a certe frange più estremiste del suo paese è stato il suo riavvicinarsi agli occidentali, dopo che nell’86 Tripoli venne bombardata dagli americani, perché l’accusavano di finanziare i terroristi. Chissà, forse era vero. Ma sicuramente è stato il suo riallacciare rapporti con l’America e l’Inghilterra a farlo cadere in disgrazia”.

E gli occidentali come appaiono?

Oggi in Libia al potere ci sono gli integralisti. In Tunisia, fatto fuori Ben Alì, si sono piazzati al governo gli integralisti. Stessa cosa in Egitto, dove hanno vinto i Fratelli Musulmani. Morsi è in carcere, Mubarak è appena uscito. Regna il caos più totale. Secondo me, gli occidentali stanno cercando di porre rimedio ai loro stessi errori. Da una parte hanno vinto perché hanno tolto di mezzo i personaggi che anche loro volevano eliminare, dall’altra hanno perso perché sono andate al potere le persone sbagliate, e così è peggio di prima. Prendiamo ad esempio, l’Iraq: ogni giorno si contano centinaia di morti, l’anarchia è assoluta.

Sempre per via delle irreconciliabili differenze tra sunniti e sciiti?

In Marocco siamo tutti sunniti, e questo facilita la vita comunitaria del paese, ma dove ci sono gli sciiti, come in Siria, Iran, Iraq, Libano, ci sono dei grossi problemi. Il capo del partito estremista Hezbollah libanese, Hassan Nasser Allah, riceve notoriamente finanziamenti dall’Iran, il paese capobanda di tutti gli sciiti, i più belligeranti”.

L’attacco al centro commerciale in Kenya come si collega agli ultimi avvenimenti?

In Kenya, i moujahidin somali di El Shabab sono andati a Nairobi in spedizione punitiva: l’attacco al centro commerciale mi sembra una chiara intimidazione perché il Kenya stava aiutando la Somalia a liberarsi dagli integralisti.

Come vede il mondo arabo l’intromissione degli occidentali nelle questioni interne arabe?

Il sentimento che prevale, a parer mio, è quello che il mondo arabo non vuole più essere sottomesso agli occidentali. è una verità. Gli occidentali hanno sempre avuto degli obbiettivi economici, ovvero impossessarsi il più possibile delle ricchezze arabe. è sempre stato così. Però oggi l’arabo si è svegliato, e non accetta più questa sottomissione unilaterale. In questo senso si può parlare davvero di primavera araba. Abbiamo tante ricchezze nel mondo arabo, purtroppo succede ancora troppo spesso che i proventi finiscano nelle tasche degli occidentali. Parlo anche del Marocco.

La Russia che ruolo occupa?

Anche la Russia ha enormi interessi economici in questo gioco. Hezbollah compra armi dalla Russia, l’Iraq compra armi dalla Russia, la quale a sua volta non può certo perdersi il mercato siriano proprio adesso. Dall’altra parte, gli Stati Uniti hanno appena ammesso di armare i ribelli della Siria. Insomma, c’è di mezzo un immenso giro di denaro.

E l’Islam?

L’Islam con tutto ciò non c’entra nulla, la democrazia la vogliono gli occidentali, anche gli arabi s’intende, ma quanto questo genere di democrazia sia davvero praticabile dal mondo arabo rimane il problema reale. La mentalità araba sta cambiando, è vero, c’è più disponibilità alla convivenza con altre mentalità e altre religioni, disponibilità che prima non c’era.

Quello che è importante ricordare è che non bisogna confondere i mussulmani con gli islamisti radicali, che hanno delle cose sbagliate nella testa. L’Islam non ha mai detto di uccidere perché qualcuno non la pensa come te. L’Islam è la religione del perdono, dell’aiuto ai poveri, della fratellanza tra i popoli.

E come si pone in quest’ottica il problema Israele?

Israele è ovviamente in pericolo, gli americani stanno prendendo tempo. Nel mondo arabo c’è stato chi ha addirittura minacciato di radere lo stato di Israele al suolo, e la verità è che l’Iran non avrebbe nulla da perdere. Una cosa è chiara: i popoli arabi non vogliono più essere sottomessi a europei o americani.

E ai russi?

I russi hanno perso troppo terreno e stanno cercando di recuperare, anche se loro lavorano di nascosto, ben diversamente dagli americani. Ma l’arabo non si lascia più ingannare, né dai vecchi imperialisti americani, né da quelli che vorrebbero diventare i nuovi capitalisti, cioè i russi.