San Valentino... leggendo Gandhi
Società
Scritto da Roberto Toso   

Oggi è il 14 febbraio e vedo i suoi occhi brillare per il regalo che ha di fronte a sé. Ci amiamo e tutto sembra meraviglioso intorno a noi. Stiamo insieme da due anni e il mondo sembra diverso da quando ci siamo incontrati, la vita ha acquistato un sapore che prima non aveva.

Io faccio le stesse cose di sempre, ma l’amore che ci unisce mi imprime un’energia tale da permettermi di aff rontare con uno spirito diverso ogni situazione della vita. Nel giorno di San Valentino si parla di amore, di quell’amore di coppia che emoziona, appassiona e fa sentire vivi. Al di là della festa commerciale, avere un giorno speciale da dedicare alla persona amata, lo considero un momento in più per manifestare i propri sentimenti. Ho un sogno: mi piacerebbe che tra le persone vi fosse armonia. Un’armonia che mettesse in risalto valori come la nonviolenza, la solidarietà e la reciprocità. Questa armonia può nascere se dall’amore per vita e per tutto quello che ci circonda, ognuno si lasciasse coinvolgere. Niente più guerre, per appropriarsi della ricchezza e del potere, solo condivisione di ciò che abbiamo a disposizione. Nessuno sfruttamento, nessun inganno, nessuna forma di violenza nei confronti di nessuna forma di vita a partire dalle persone, per andare verso il più piccolo essere vivente sulla terra.
Utopia? Forse. Voglio crederci, come ci credeva una persona che ha cercato, nel corso della sua vita, di diff ondere tutto questo attraverso la Satya (Verità) e l’ahimsa (nonviolenza): Gandhi. Per Gandhi l’ahimsa era l’unico mezzo atto a condurci a cogliere la Verità, tanto da considerarle talmente interdipendenti che è impossibile distinguerle e separarle. Sono le facce di una stessa moneta sulle quali, però, non è impressa nessuna fi gura. Tuttavia l’ahimsa è il mezzo e la Satya il fi ne. Non racconterò l’ideologia gandhiana in questo articolo ma cercherò di esprimere, dal mio punto di vista, l’applicazione della nonviolenza nella vita personale e sociale di ogni cultura. L’ahimsa di Gandhi rappresenta le fondamenta della casa che voglio costruire e sulla quale immagino si possa fondare quella che oggi tutti definiscono “società civile”.
Per comprendere meglio i concetti a venire è importante citare ancora due cardini della fi losofi a di Gandhi: sarovodaya (benessere di tutti) e satyagraha (forza della verità). Essi sono, rispettivamente, la realizzazione nelle istituzioni sociali e, nell’azione, della verità e della nonviolenza e sono indissolubilmente interconnessi nella sua concezione mezzi/fi ni. Da questa concezione risulta chiara la necessità, all’interno della strutturazione e organizzazione ottimale della società, di considerare il satyagraha come modalità effi cace di lotta popolare nonviolenta.
Torniamo alla nostra società civile che deve organizzarsi, per il benessere di tutti. Come facciamo? Come applichiamo questi concetti al nostro vivere quotidiano personale e sociale? Considerare la nonviolenza come base dei nostri pensieri e delle nostre azioni è l’unica strada percorribile per non generare soff erenza verso gli altri. Non vedere noi stessi il centro delle nostre azioni ma vederci parte integranti di un contesto sociale, dove operiamo per il benessere di tutti. Per fare tutto questo dobbiamo creare un legame tra il nostro pensiero e la nostra azione, il che ci porterà a essere coerenti, non discriminando gli altri ma trattandoli come vorremmo essere trattati. Le società del mondo basano il proprio sviluppo sulla famiglia e, i politici, desiderosi di potersene occupare, utilizzano strumenti che degradano sempre di più il nucleo sociale sui quali si basa la vita comunitaria, invece di favorirne lo sviluppo, perché non hanno idee diverse sulle necessità delle persone. Si allargano gli orizzonti dall’Italia all’Europa e al mondo quando gli interessi sono economici e il vantaggio dall’unione tra gli Stati rimane ben lontano dal soddisfare il benessere di tutti.
Per fare un esempio di ciò che sta avvenendo, mi riferisco alla rivoluzione sociale della Libia. Era il 17 febbraio, guarda caso tre giorni dopo San Valentino, quando in Cirenaica (una delle tre regioni della Libia) a Bengasi è iniziata una rivoluzione sociale violenta altresì detta guerra civile. Dopo alcune manifestazioni pacifi che, il governo in carica ha pensato di reprimere questo dissenso verso il proprio potere assoluto con la forza. La reazione dei manifestanti è stata dello stesso livello del governo: hanno assalito una base militare per impossessarsi delle armi e partire al contrattacco. Ora il resto del mondo si è messo in una nuova guerra per reprimere la violenza di un dittatore, che dura da più di quarant’anni, come se prima nessuno sapesse nulla e non considerasse la possibilità di aprire un dialogo per far cessare gli abusi sulle persone in modo diverso da un confl itto internazionale. Accettare, di buon grado, che verso un popolo venga commessa violenza perché ci sono interessi economici da gestire, è una modo per dire che il fi ne giustifi ca i mezzi. Per ottenere petrolio e gas siamo disposti - ecco il pensiero di questo tipo di mondo - a tollerare le violenze di un dittatore, finché nessuno di ribella (sperando che nessuno di ribelli).
Questo pensiero si è realizzato, con più forza, nel nostro governo attuale che ha fi rmato un trattato di amicizia, nel 2009, chiudendo entrambi gli occhi, per interessi legati alla realizzazione di un programma politico ed economico che limitasse gli sbarchi di persone a Lampedusa e ci garantisse la fornitura di materie prime per soddisfare il nostro fabbisogno energetico. Oggi il disagio sociale dei libici è sfociato nelle guerra civile anche grazie alla cecità volontaria degli Stati membri dell’ONU che, ognuno per motivi diversi, hanno preferito ignorare e si sono resi complici della violenza del regime di Gheddafi.
Come cittadino del popolo italiano, fatto da persone, di diverse culture e nazionalità, auspico da oggi in poi, il risveglio della nonviolenza nel nostro animo per venire in aiuto, con la solidarietà e la reciprocità, alle persone che oggi fuggono dalle situazioni di violenza e vengono respinti, traghettati come merci di scarso valore in attesa di essere stoccate in un deposito che nessuno vuole off rire. Avremo il compito di contrastare le giustifi cazioni dei governi europei che non vogliono i tunisini, perché nel loro paese non c’è la guerra, come se la violenza dalla quale fuggono non fosse un motivo suffi ciente per off rirgli il nostro aiuto. Oggi off riamo loro la nostra solidarietà e domani insieme potremmo contrastare la stessa violenza economica che, in forme diverse, oggi rende anche a noi la vita difficile.