Il fine non giustifica i mezzi
Società
Scritto da Roberto Toso   

In questi mesi, nel mondo, sta avvenendo una rivoluzione per la libertà e il diritto alla vita. Questo mondo confina con noi e si trova al di là del Mediterraneo; è un mondo di persone normali, semplici che non hanno mai avuto a che fare con il terrorismo economico dei dittatori che li hanno governati fino a ieri e che in alcuni casi non vogliono mollare lo scettro del potere.

La nostra complicità, per alcuni scambiata per amicizia, ha mantenuto il potere di un dittatore libico che oggi fatica ad accettare che il suo stesso popolo non lo voglia più e massacra i suoi oppositori anche con l’utilizzo dei mercenari.
Per lui vale il detto il fine giustifica i mezzi.
Non è il solo ad avvalersi di questo detto: possiamo trovare, infatti, il governo italiano, che rappresenta gli interessi economici dell’Eni e delle oltre 1500 aziende che operano in territorio libico, dare battaglia a questo dittatore almeno sulla carta. Gli aerei italiani, volano sul cielo libico non per difendere i civili che vogliono essere liberi di scegliere chi dovrà occuparsi del loro presente, ma per garantire il dominio economico, energetico, politico e istituzionale di chi lo fa da sempre. Nulla deve cambiare, chiunque salga al governo, e noi, attraverso il governo Berlusconi, torneremo ai vecchi accordi non appena la guerra civile sarà finita. Dov’è la diplomazia dei paesi che si definiscono democratici? Cosa aspettano ad intervenire senza l’uso delle armi? Se vogliamo rispettare quelle persone, che da una parte e dell’altra, non partecipano alla guerra civile dobbiamo esprimere in maniera forte che non riconosciamo più il potere temporale di Gheddafi. Non possiamo accettare che lui, e le persone che rappresenta, riportino la finta pace che già esisteva prima del 17 febbraio di quest’anno e che ha portato allo scontro armato per uscire dalla dittatura. Una dittatura che all’Italia e agli altri paesi europei ha sempre fatto comodo sostenere per evitare, tra l’altro, che le persone migrassero, alla ricerca di una vita migliore.
Veniamo un attimo in Italia e vediamo che anche da noi ci sono persone che pensano che il fine giustifichi i mezzi. Per raggiungere il loro scopo attuano ricatti alle persone (vedi Fiat con i nuovi contratti di lavoro), facendoci credere che è il mondo stesso del lavoro a chiederlo per essere competitivi e non soccombere bisogna sacrificarsi. Gli operai, per produrre ricchezza agli imprenditori come Marchionne e agli azionisti che lo controllano, devono sacrificarsi lavorando di più e guadagnando di meno; devono ridurre le pause, aumentare i turni di lavoro, non fare sciopero e rinunciare alla pausa pranzo, a meno che questa non sia a costo zero per l’azienda (fatta dopo l’orario di lavoro). Accettare passivamente che la conservazione del mio posto di lavoro mi sottoponga a questo tipo di ricatto è come subire una violenza verso me stesso e verso quelli che, da sempre, sono i miei diritti di essere umano. Posso accettare ogni condizione mi venga posta, a patto che questa non sia vessatoria nei miei confronti e in quelli delle persone accanto a me. Il mondo del lavoro, a cui la Fiat si è appellata, per giustificare il ricatto, è sotto il suo monopolio visto che non vi sono altre case automobilistiche, in Italia e nel mondo, in grado di competere con questo colosso automobilistico alleato del governo americano.
Non finisce qui, perché il nostro stesso governo e il nostro stesso parlamento non sono da meno nel considerare valido il fine che giustifica i mezzi. Dicono di appoggiare i cittadini che li hanno eletti, di fare il loro interesse, portando avanti il programma presentato in campagna elettorale; l’unico problema che all’interno di un paese non vi sono solo gli elettori, rappresentanti una classe economica benestante, ma vi sono tutti i cittadini, anche quelli che non hanno dato il loro voto al partito, che oggi ha la responsabilità del benessere delle persone presenti sul territorio italiano.
Come possiamo fermare questa violenza diplomatica dei politici? Con la disobbedienza civile e la solidarietà. Disobbedire alle leggi ingiuste perché opprimono e annullano la dignità delle persone e la solidarietà verso le persone che disobbediscono, anche se la legge alla quale si ribellano, non riguarda la nostra vita quotidiana. Solo così possiamo iniziare una rivoluzione civile nonviolenta. Certo disobbedire ad una legge vessatoria per la nostra dignità e il rispetto di noi stessi può comportare battaglie legali, azioni sociali di protesta e referendum per l’abrogazione della legge, ma ne varrà sicuramente la pena, perché il risultato sarà l’affermazione dei nostri diritti e il mantenimento degli stessi. Per fare tutto questo occorre avere una coscienza comune, che ci porti ad interessarci degli altri e non solo di noi stessi. Dobbiamo agire, solidali, con chi si impegna per il rispetto e l’affermazione dei propri diritti. Una società solidale potrà fermare la violenza economica che oggi stiamo subendo e che nessuno sembra contrastare. Potremo aiutare anche le persone che oggi vengono dall’Africa, perché stanchi delle diverse dittature, nei loro paesi di origine, offrendo loro ospitalità e solidarietà nel costruire un nuovo futuro ovunque abbiano scelto di vivere. Questo esempio darà una lezione di umanità a tutti quei politici che vogliono difendere i civili con le armi, nascondendo il vero obiettivo: proteggere gli interessi economici delle aziende che hanno il monopolio dell’energia.