Scriveva Giorgio Gaber nel 1972 (quando io nascevo) nella sua canzone “La libertà”: “Vorrei essere libero, libero come un uomo / come un uomo che ha bisogno di spaziare con la propria fantasia / e che trova questo spazio solamente nella sua democrazia / che ha il diritto di votare e che passa la sua vita a delegare / e nel farsi comandare ha trovato la sua nuova libertà / La libertà non è stare sopra un albero / non è neanche avere un’opinione / la libertà non è uno spazio libero / libertà è PARTECIPAZIONE”
Io sono una cittadina comune che da parecchi anni sperimenta la partecipazione. E mi rendo conto che non è un’esperienza comune, lo è solo per una piccola parte della popolazione. La mia generazione è nata e cresciuta nella democrazia e la considera qualcosa di scontato, cosa che ovviamente non è. È scontato che si vada a votare qualcuno che decida per noi, oppure che non si vada “perché sono tutti uguali”, rinunciando anche a questa piccola illusione di democrazia, ma senza, per contro, mettere in atto altre iniziative. Credo che illudersi che basti eleggere qualcuno per considerare di vivere in una democrazia sia un’ingenuità o una soluzione di comodo. Come possiamo pensare di affi dare la nostra vita, il nostro presente e il nostro futuro, a qualcuno scelto sulla base di campagne elettorali sempre più fi nte, vere e proprie vendite di “prodotti”, e di programmi elettorali fi ttizi e sempre disattesi? Ma anche quando non fosse così, non credo in assoluto nel meccanismo della delega. La delega, nel grande come nel piccolo livello, è spesso sinonimo di disinteressamento; ci si nasconde dietro il fatto che qualcuno, che forse hai scelto ed è più preparato di te, si stia interessando al posto tuo. Con questo non sto dicendo che la delega non debba esistere, è sicuramente necessaria. Ma deve essere accompagnata e controllata dalla partecipazione, il che significa sforzarsi di:
- informarsi, possibilmente da più fonti diverse, e quindi farsi un’opinione;
- condividere le proprie idee/informazioni con altri, confrontandosi;
- socializzare le problematiche che si vivono, superando il pensiero che il problema è solo mio, e quindi interessarsi anche di quelle altrui.
Immagino che il primo pensiero dopo questa lettura sia la “pesantezza”, la fatica, che questo interessamento richiede. Credo invece che la vera fatica sia aff rontare da soli le situazioni che la vita ci pone di fronte; trovarsi soli signifi ca sentirsi abbandonati e impotenti e sentire crescere un sentimento di rabbia, se non addirittura di un senso di persecuzione. Ogni questione personale è anche una questione sociale e cercare di risolverla insieme ad altri può modifi care la società. In questi giorni ho sentito una frase che suona più o meno così: “cercare di risolvere un problema per se stessi è avarizia, cercare di risolvere il proprio problema per la comunità è politica”. Ma c’è un altro aspetto della questione che mi sta a cuore e che traspare sempre nelle parole di Gaber. La libertà è “farsi gli aff ari propri”? La libertà è disimpegno e divertimento a tutti i costi? In questa società dove il “tunnel del divertimento”, per dirla alla Caparezza, è un valore o addirittura un dovere, sembrerebbe proprio di sì. Io sono fermamente convinta del contrario. Battersi per una causa, farsi carico di impegni e di altre persone, sentirsi partecipi e costruttori della società: queste sono cose che danno libertà. Liberano la creatività, ci fanno sentire utili e aumentano la stima in noi stessi. In altre parole ci danno senso. E questo succede al di là del risultato che si ottiene, il senso sta nel percorso che si fa, nelle relazioni che si mettono e nel sentire che il proprio contributo ha importanza. Alcuni avvenimenti degli ultimi tempi mi rincuorano e danno forza alle mie convinzioni:
- il movimento “Se non ora, quando?”;
- le donne si organizzano per reclamare dignità e rispetto;
- la campagna per il sì ai referendum del giugno scorso – che ha funzionato grazie all’impegno personale di ognuno nella diff usione, con l’aiuto della tecnologia;
- il movimento NO TAV – una realtà di auto-organizzazione e difesa del territorio che continua da oltre 20 anni, senza mai perdere forza nonostante le indubbie diffi coltà. I presidi NO TAV sono diventati degli spazi di democrazia diretta, di condivisione, di discussione, dei laboratori di idee;
- gli immigrati auto-organizzati;
- le loro battaglie per la difesa dei diritti di tutti gli immigrati attraverso iniziative nonviolente.
Tutte queste realtà sono contraddistinte dalla nonviolenza e dalla consapevolezza che ognuno di noi è un mondo, che può esprimersi al meglio solo grazie al confronto con altri e prendendosi la piena responsabilità della propria vita personale e sociale.
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