Quando i morti camminano - La leggenda del vampiro
Società
Scritto da Fabrizio Arvat   

Tutto si scambia con il sangue, il sangue con la vita, la vita con il sangue. Un filo cremisi scorre in rivoli lungo la storia di una leggenda che ha la dimora nell’inconscio dell’uomo, un mito che teme la luce, ma che ad essa inevitabilmente aspira. Entri il vampiro sul nostro palcoscenico!

sul nostro palcoscenico! Il mito del vampiro è antichissimo e trasversale, si agita in diverse forme in tutte le culture, come il timore atavico del ritorno del rimosso, del sepolto; persino in alcuni cimiteri contemporanei all’ingresso appare la scritta “dona loro il riposo eterno o Signore”: si badi bene, non la “vita eterna”...
Legato a filo doppio al tema del contagio e della malattia, in epoche in cui mancava la conoscenza sulla causa di sintomi e di inspiegabili decessi per consunzione, a capro espiatorio era eletto il cadavere di una figura vista, in vita, con sospetto dalla comunità. Quando, dissotterrata, mostrava unghie e capelli orribilmente cresciuti, il sangue inspiegabilmente fluido, la decomposizione sospesa, il sospetto diventava certezza, soprattutto quando il paletto trafiggeva il cuore provocando un rantolo sommesso. Distrutto il corpo la comunità poteva illudersi di aver finalmente trovato rimedio alla sventura, venivano così “curate” varie pestilenze tra cui la tubercolosi. Il vampiro era di solito più un demone, che pur permanendo nella tomba fisicamente, assorbiva le energie vitali dei vivi senza una diretta connessione con il sangue.
Nel corso del sovrapporsi di tradizioni etniche, il Vampiro moderno trova la sua codifica definitiva nel capolavoro romantico dell’irlandese Bram Stoker del 1897, che lo toglie alla sua dimensione popolare investendolo di un blasone aristocratico, colorandolo di una dimensione squisitamente politica. La rivoluzione Francese ha scosso equilibri millenari, Napoleone è caduto da un pezzo, ma il tentativo di Restaurazione del vecchio potere aristocratico in Europa non ha avuto pieno successo, la borghesia industriale assurge ormai al ruolo di classe dominante. In Inghilterra la monarchia costituzionale, riconosce all’aristocrazia storicamente un ruolo rappresentativo ma svuotato del potere, accettando di buon grado la sua vena parassitaria in nome dell’identità nazionale. La borghesia assetata di capitali accetta di buon grado il commercio con la decrepita nobiltà; Harker parte per la Transilvania ai confini estremi dell’Europa per vendere al misterioso conte Dracula numerosi immobili a Londra, ma scopre suo malgrado che il nobile non solo è un non-morto ma mira a lasciare il suo tetro maniero, allettato dal tentativo di riattualizzarsi, prendere la ricca borghese Mina sua fidanzata come principessa e farsi di nuovo monarca per succhiare di nuovo il sangue al terzo stato. Intrappolato Harker, il mefitico conte parte via nave per Londra come Freud farà anni dopo per New York cioè per “portare la peste”. Ma il nuovo potere ha i suoi anticorpi contro-reazionari, Van Helsing, filosofo e cacciatore di vampiri, farà terra bruciata dei suoi nascondigli londinesi e lo inseguirà fino ai Carpazzi per emendare il mondo dalla sua maledizione.
Il vampiro acquisisce tutta una serie di prerogative determinanti: non si riflette negli specchi, simbolo di una mancanza di autocoscienza e memoria; è immortale perché rifiuta la morte a costo di una malinconica ed infelice decadenza: la storia avanza, mentre lui permane. Ha una forte natura animale, può trasformasi in lupo o pipistrello o ratto, ma a differenza del licantropo, che libera l’animalità contro la repressione sociale, il vampiro la sottomette e la sublima in senso quasi sciamanico. Non a caso un morbo come la rabbia è associata al vampirismo, la bestiale sete di sangue una volta soddisfatta nel suo bisogno incontrollabile, permette il riacquisto dell’autocontrollo e di un barlume di coscienza ed umanità necessaria a dissimularsi.
Alla rabbia è anche associata l’ipersensibilità all’aglio, mentre quella al sole, il legame con la porfiria. Essa è una malattia genetica che presenta notevoli tangenze con i sintomi del vampirismo (urine e denti rossi, estrema fragilità cutanea in presenza di luce solare e possibile demenza.) e si alleviava bevendo fluido ematico animale.
Il timore della croce ha un aspetto ovviamente legato al timore della repressione religiosa, ma ancora più importante, simbolicamente rimanda ad una immortalità trascendente rispetto a quella puramente immanente e quindi degenerata del non-morto. Il paletto nel cuore non basta a ucciderlo, ma esso deve trafiggere il corpo e conficcarsi nel terreno per risaldare il vampiro con il tempo, ed è questo il motivo per cui il vampiro torna cadavere e mostra allora sua vera età. Ma una volta estratto il paletto esso ritorna in vita, solo la luce solare diretta può realmente annientarlo, privandolo dell’oscurità notturna come manto necessario alla trasgressione dell’ordine naturale e mettendolo a contatto diretto con la Verità.
Non va dimenticata nemmeno la sua natura erotica, magnetica ed ammaliatrice ma che in una tradizione dimenticata in modo sospetto, è anche piuttosto casta. Il morso e la suzione del sangue provocano godimento orgasmico e desiderio, ma sono entrambi malati di una sterilità che è il rovesciamento perverso del ciclo vitale.
Ciò che tragicamente va colto, nelle pieghe del romanzo Stokeriano è il sospetto che uccidere il vampiro non basti; esso è portatore di un contagio insidioso, il morso trasmette la maledizione e genera altri vampiri, come ogni agente virale si adatta e si modifica, se il singolo vampiro è vettore legato inesorabilmente al proprio tempo, esso è la marionetta di un contagio che non ha questo vincolo, perché è il lato oscuro della vita stessa, che si conserva e si espande e si trasforma nutrendosi di altra vita.
La borghesia che si è liberata dai vecchi vincoli feudali e religiosi, si scopre a sua volta infettata dal morbo e proprio Karl Marx usò la metafora del vampiro per definire il suo dominio patronale sul proletariato. Ma nemmeno il quarto stato è immune all’infezione, ed una volta liberatosi istituisce la sua dittatura a sua volta, perché la storia umana è la storia del vampirismo e il tentativo disperato di liberarsene. Natura e cultura, biologia e politica sono l’articolazione di rapporti di sfruttamento di una catena alimentare imperitura, di cui il vampiro è manifestazione immortale, incosciente e regressiva, mentre l’uomo come ha sostenuto Pascal è una canna pensante, totalmente mortale, ma ha il sua enigmatico senso e stupefacente dignità nella sua consapevolezza morale, è la vita che si scopre vampira è insegue la sua redenzione.
Nella luce crepuscolare (Twilight) che non permette di distinguere il bene dal male, i vampiri hanno tragicamente vinto venendo addirittura ideologicamente nobilitati. Questo perché vampiri siamo diventati tutti, tutti siamo sfruttati e tutti sfruttiamo, ognuno si nutre del sangue di un altro. La nostra è ormai la civiltà dei nosferatu, della dimenticanza, dove gli specchi sono aboliti, dove perdura un eterno presente e la morte come parte della vita è negata. Alla vita preferiamo la non-vita degli undead, aspiriamo ad una immanente immortalità che la tecnica dovrebbe consegnarci e su cui tutto domina l’alta finanza ed i valori incontestabili del mercato, cioè la forma pura, disincarnata e trionfale del Moloch di cui tutti siamo funzionari e mera risorsa.
Nel 1954 l’americano Richard Matheson pubblica un romanzo (che avrà tre incarnazioni cinematografiche) che cambia la prospettiva, è smaschera la situazione attuale immaginando un mondo in cui tutti sono diventati vampiri e solo uno è rimasto umano. In “Io sono leggenda” chi si oppone alla logica dello sfruttamento capitalista è l’equivalente di ciò che era un vampiro nei tempi andati, un reietto, che lotta e vive nascosto, perennemente sotto assedio, ma sopratutto un mito. Rovesciamento paradossale, perché se oggi sei umano, se disperatamente sei vivo e resisti, per i vampiri la leggenda sei tu.