Porta Palazzo, sabato mattina ore 9.30. Io, Daniela, Luisa, e Alberto stiamo allestendo il nostro spazio pubblico per esporre Conexion e distribuirlo alle persone che vengono a fare la spesa al mercato. Abbiamo il permesso per occupare il suolo pubblico con due tavoli, un gazebo e una panca. Abbiamo anche l’autorizzazione del comune per raccogliere fondi perché siamo tutti volontari (senza stipendio), ma le spese ci sono a partire dal giornale sul quale io stesso scrivo.
Siamo qui tutti i sabati per parlare con le persone che popolano questa città. Che cosa avremo mai da dire? Parliamo di diritti umani, di solidarietà, di reciprocità e di uguaglianza tra le persone e non solo nei diritti. Essere persone significa avere le stesse esigenze di vita in questa città e nel mondo. Siamo tutti esseri umani con gli stessi diritti. Diritti che oggi tutti cercano di non rispettare. Non siamo a Porta Palazzo per lamentarci o per dire cose ovvie che tutti sanno. Siamo qui per esprimere un punto di vista e per ottenere quello in cui crediamo con l’aiuto delle persone che vivono intorno a noi. Non sarà facile ma noi abbiamo fiducia nella possibilità che il nostro messaggio passerà da una persona all’altra giorno dopo giorno. Crediamo nella nonviolenza in ogni ambito di vita delle persone. Nella coppia, nella famiglia, sul lavoro, nelle relazioni personali e in quelle sociali (il rapporto con le istituzioni pubbliche e private fautrici di servizi, con i politici e le istituzioni che coordinano per rendere semplice l’usufruire dei propri diritti.). Siamo consapevoli che tutto questo ancora non esiste ed ecco perché abbiamo deciso di seguire la strada che ci porta a costruire un mondo nonviolento. Abbiamo il diritto di essere trattati con rispetto in ogni ambito della vita e dobbiamo avere il coraggio di riconoscere a tutte le persone questo diritto. Le persone che discriminano, lo fanno spesso attraverso azioni violente e non solo attraverso le parole riescendo con l’arma delle diplomazia a metterci in difficoltà, distogliendo l’attenzione da ciò che hanno commesso. A volte sembra possibile che per giustificare azioni discriminatorie verso una categoria di persone sia sufficiente additarli come violenti e predisposti a commettere un reato (violare la legge). Non voglio parlare degli immigrati o dei rom o di qualunque altra persona di cui i quotidiani ampiamente scrivono, ma rivolgerò il mio discorso alle persone che sopportano identiche condizioni di vita, almeno in apparenza Parlo senza generalizzare e senza cadere in luoghi comuni (almeno questo è il mio obiettivo) delle donne. Esseri umani di nazionalità diversa popolano il nostro paese da lungo tempo, tanto da amare il luogo che è diventata la loro nuova casa. Qui però molto spesso devono affrontare i pregiudizi della politica italiana che confeziona leggi per mettere al bando la loro stessa origine etnica. Avete mai pensato a quale disagio, a quale sofferenza viene sottoposta una persona che viene discriminata perché la sua origine non è italiana? Quale può essere la condizione di una persona che non riesce a vivere le proprie tradizioni perché questo sono il simbolo di una cultura diversa che preoccupa? La paura, si sa, è una cattiva consigliera. Le donne sono una parte delle persone obbligate ad affrontare le politiche del partito dal dito medio alzato e del partito del fare. Ogni donna che lo vuole, ha il diritto di essere madre e la costituzione favorisce e agevola questa condizione. Le leggi però non seguono questo principio, sia quelle dei governi passati, sia quelle del governo Monti. Avete presente le dimissioni in bianco che secondo l’Istat hanno sottoscritto almeno due milioni di persone tra lavoratori e lavoratrici? Si tratta di firmare al momento dell’assunzione, se si vuole essere assunti, un documento senza data, che fa perdere il lavoro quando l’azienda vuole. Un ricatto in piena regola che penalizza il 60% delle donne e il 40% degli uomini. Questa prassi viene utilizzata maggiormente dalle aziende, sotto i 15 dipendenti, che propongono un contratto a tempo indeterminato e a farne le spese sono, molto spesso, le donne dopo il periodo di maternità che hanno difficoltà a riprendere il ritmo di lavoro come prima di essere madri. In Italia esiste solo una legge, la 1204 del 31 dicembre 1971, che tutela le lavoratrici madri fino all’anno di età del bambino. Le aziende approfittano di questa assenza di tutela del posto di lavoro per porre in essere il ricatto. Una cosa buona il governo Prodi l’aveva fatta con la legge 188 del 17 ottobre 2007. Quella legge, fatta di un solo articolo, imponeva che le dimissioni fossero presentate su un unico modulo identificato da un codice progressivo con validità non superiore ai 15 giorni dalla data di emissione. La legge purtroppo venne approvata all’inizio del 2008 poco prima che venissero sciolte le camere. L’annuncio di sanzioni previste all’interno della legge funzionò da deterrente contro le dimissioni in bianco. Il primo provvedimento del governo Berlusconi fu quello di ripristinare l’illegalità abrogando questa legge ad opera del ministro Sacconi. Il ritorno incondizionato di questa forma di ricatto a fatto sì che le condizioni delle donne dopo la maternità, degli immigrati e di chi lavora nell’edilizia peggiorassero, aggravate dal fatto che le persone coinvolte non possono accedere né alla indennità di disoccupazione né ad altro tipo di ammortizzatore sociale. In attesa che il ministro Fornero faccia qualcosa di concreto per combattere questa forma di violenza si deve denunciare ad una organizzazione sindacale l’accaduto, scrivendo una raccomandata con ricevuta di ritorno, in cui si dichiara di essere stati costretti a firmare le dimissioni in bianco pena la non assunzione. L’organizzazione custodirà, senza aprirla, la vostra raccomandata fino al momento del licenziamento e la aprirà solo per mostrala ai consulente del lavoro che comprenderà la truffa che avete subito e nella maggior parte dei casi vi reintegrerà nel posto di lavoro. Questo è solo un esempio degli argomenti di cui parliamo con le persone che si fermano per conoscerci quando ci vedono a Porta Palazzo. Il confronto diventa interessante, sotto il profilo della nonviolenza, quando si è convinti, senza forzature, che le persone abbiano gli stessi diritti e che sia necessario essere uniti sia per mantenere quelli che si hanno, sia per conquistarne di nuovi. |