“La rava e la fava”; un vecchio modo di dire italiano, che talvolta si sente ancora nella parlata di qualche nonno, oppure di qualche persona di mezza età. Questa semi-arcaica espressione assume due significati sostanziali che mi piace riassumere in questo modo: – rava è una variante (per lo più settentrionale, vedi anche “RAVanello” o “RAPanello”) di rapa. Qui fa rima con “fava” (“rapa e fava” non farebbe lo stesso effetto). “La rava e la fava” quindi significa qualcosa come “lungo e largo” e come simbolo è stato quindi scelto un oggetto grande (rapa-rava) e uno piccolo (fava) per illustrare che si vuole parlare sia “in genere”, ma anche in modo dettagliato;
– la rava, quindi la rapa è quella “da cui non si può cavare sangue”, poiché sta sottoterra. La fava invece è sopra. Molti quindi usano questa espressione per dire: “Non sto a raccontarti la rava e la fava, cioè “non vado nei dettagli”. Riassumendo, se ci si esprime dicendo: “vieni che ti racconto la rava e la fava”, l’espressione assume il primo significato; mentre se si dice: “non vorrai mica che ti racconti la rava e la fava”(?!?) l’espressione assume il secondo significato, che per inciso è nettamente in contrasto con il primo. Ho portato ad esempio questo modo di dire per stigmatizzare il fatto che di norma, utilizzando il “politically correct” nel discorrere, per forza di cose si è “volutamente costretti” ad usare sempre “due pesi e due misure” per dirimere le questioni contingenti. Vedi per esempio i vari “inciuci” . Questo metodo non potrà quindi produrre chiarezza nell’interlocutore, poiché la vera “posizione” dell’oratore del momento non sarà mai chiara, ma invece dissimulata in base agli interessi del momento. Il “politically correct” è quindi un astratto stratagemma creato ed esportato in commistione, a mio avviso, dai vertici del potere (la prima volta che io sentii questa formula, del resto pressoché giornalistica mass-mediatica, fu assistendo ad una seduta del parlamento italiano alla TV) per poter tenere “i piedi in due scarpe ” – altro modo di dire popolare, che spiega in sostanza che non è possibile camminare con una ciabatta nel piede destro e uno scarpone da montagna nel piede sinistro. uno scarpone da montagna nel piede sinistro. Quantomeno si zoppicherebbe molto vistosamente. Tra l’altro, la sintassi di “politically correct” è rigorosamente in forma anglosassone, poiché nel periodo della grande globalizzazione di massa, bisogna derubricare per forza ed in ogni modo anche la lingua locale; in italiano la stessa risulterebbe: “politicamente corretto”. Molto probabilmente questa forma lessicale non avrebbe avuto sufficiente spinta emozionale, falsificata forse da un “marketing politico” creato e manipolato fine a se stesso; bensì con la definizione più chiara in italiano avrebbe potuto avere il significato che meriterebbe, se la stessa politica fosse realmente corretta e senza secondi fini. Questa interpretazione distorta che deriva dal mondo politico e dai suoi interessi, inesorabilmente si riflette nella società reale e nelle cose di tutti i giorni. Ricordo una notizia di parecchio tempo fa, letta in un quotidiano nazionale, la quale riportava un fatto alquanto strano ed insolito: in una scuola elementare in Trentino Alto Adige le maestre, in accordo presumibilmente con la direzione, nell’allestire la consueta recita Natalizia (usanza culturale nazionale) per spirito “politically correct” decisero di derubricare il nome “Gesù” dal testo della canzoncina per i bimbi, sostituendolo con il termine tecnico, forse universalista “Virtù”. Questo fu deciso per la presenza di alcuni bimbi le cui famiglie appartenenevano ad altre fedi religiose. In sostanza in una delle principali feste cristiane non si sarebbe potuto pronunciare il nome di Colui che anche altre religioni importanti riconoscono quantomeno come profeta. Ricordo che lì per lì anche le famiglie non cristiane rimasero alquanto sorprese ed incredule di fronte alla plateale abdicazione culturale perpetrata! Una vera ed appropriata convergenza di culture mai avrebbe successo senza uno scambio realmente “politicamente corretto” che non travalichi i diritti sacrosanti di ciascuno, per carità, ma che nemmeno abbia paura o timore di affermare le radici che ritiene essere sue, naturalmente rifiutando qualsiasi tipo di fondamentalismo ed estremismo che ne snaturerebbe i veri significati. La scelta migliore per un vero scambio sia culturale sia religioso “politicamente corretto” sarebbe quindi quella di organizzare una festa nella quale tutti i bimbi, in totale condivisione, possano inserirsi nei festeggiamenti di tutte le religioni o anche culture presenti, per poi sviluppare autonomamente un loro personale senso critico e decidere crescendo se “aderire a questa o a quella” oppure lasciarle tutte per una vita laica. Naturalmente senza costrizioni di nessun tipo da parte della famiglie o parenti, che molte volte vorrebbero entrare a “gamba tesa” nelle scelte che a loro non competono. Un altro esempio, un po’ più “burocratico”: in questi giorni è nato il governo tecnocratico voluto dalla Presidenza della Repubblica; tale governo è scaturito da una progressiva caduta di stile del precedente esecutivo. Il “comandante in capo” di tale “Armata Brancaleone” consegnò al Presidente Giorgio Napolitano la lettera di dimissioni e scelse la porta sul retro per uscire dal Quirinale. In sostanza la “nuova creatura” istituzionale ma tecnica, nascendo al di fuori di un confronto democratico, assume pienamente lo status di “tecnocrazia” che subentra alla “democrazia” sospendendo, a mio avviso, a tempo indeterminato quest’ultima; senza spiegare al popolo italiano quali saranno le vere conseguenze. Si può quindi denotare molto facilmente il famoso “salto della quaglia” o “volo pindarico” dei principali partiti politici italiani che, suonando il loro “de profundis” ora possono finalmente mostrare la loro vera faccia (o feccia) in una enorme “grande ammucchiata”, che nasce già morta, poiché senza il mandato della popolazione che, per inciso, è l’anima elettiva (che nonostante la legge elettorale “porcellum” persiste ed esiste all’atto del voto). Concludendo, il “politically correct”, se vissuto “in lungo e in largo”, può essere utile per politicizzare, umanizzando sensibilmente ed in senso positivo la società, poiché consentirebbe di affrontare senza paura gli argomenti (anche i più gravi ed urgenti) sia in senso generale che in modo dettagliato, nell’unica forma possibile della democrazia delegata. Diversamente... ma che cosa sto raccontando??? La rava e la fava, forse??? |