Mentre scrivo queste parole sulla tastiera del mio PC, da qualche parte, non saprei dire dove, una centrale elettrica brucia il carburante fossile necessario alla generazione dell’energia che mi permette di farlo (o, per essere più precisi, produce la percentuale non rinnovabile di tale energia, la maggior parte). Ciò genera CO2 in eccesso, anidride carbonica, la molecola imputata quale responsabile del riscaldamento globale, effetto che più nessuno nega alla base dei cambiamenti climatici ai quali assistiamo impotenti.
Dall’altra parte dell’Atlantico, in qualche luogo della foresta amazzonica, una pianta cattura anidride carbonica e la utilizza per il proprio ciclo vitale. L’Amazzonia, area priva di industrie, contribuisce a limitare il danno da me provocato per la vanità di scrivere: io sono una sorgente di CO2, la pianta della foresta un pozzo che la elimina. Si obietterà che le molecole di CO2 prodotte dalla mia pretesa di reputarmi uno scrittore potrebbero non essere ‘esattamente’ quelle assorbite dalla pianta sudamericana, ma il risultano evidentemente non cambia: poiché i ‘pozzi’ di CO2 disponibili dalle mie parti non sono sufficienti allo smaltimento, ci sarà comunque una migrazione di molecole verso quei lidi. Con l’atto di scrivere ho generato un bizzarro migrante che si sposterà in Sud America. Il pozzo che utilizzo per la riduzione del gas serra, la foresta, ha necessità di nutrienti, elementi chimici senza i quali le piante non potrebbero sopravvivere, ad esempio fosforo e ferro. Poco male, si dirà, le piante assorbiranno dal terreno ciò di cui hanno bisogno: non è forse vero che la foresta pluviale è un ambiente ubertoso ricchissimo di piante? Vorrà ben dire che questi nutrienti ci sono ed anche in quantità sufficiente, lo dice la logica, altrimenti gli alberi non potrebbero sopravvivere. In realtà, la logica impone che i nutrienti ci siano, ma non dice da dove arrivino, né è scontato che il terreno locale li possieda. La foresta pluviale, contrariamente a quanto pensano in tanti, è un ecosistema fragilissimo, caratterizzato da un elevato tasso di dilavamento del terreno (piove in continuazione e le piogge convogliano verso il mare gran parte dei nutrienti disponibili) e da un sistematico riutilizzo delle sostanze scartate dalle piante. Sarà vero che il terreno locale sia in grado di fornire tutto ciò di cui la foresta ha bisogno? No. Sorprendentemente, gran parte dei nuovi apporti minerali necessari alla sopravvivenza della foresta arrivano dall’esterno e li porta il vento: il sostentamento giunge da lontano ed è costituito da polvere, quasi tutta proveniente dalla depressione del Bodelé, in Ciad, un’area pari a circa lo 0,2% della superficie di tutto il deserto del Sahara. Ma guarda un po’, che la mia pretesa di battere sui tasti debba passare attraverso l’opera di un altro bizzarro migrante, qualche granello di polvere che il vento solleva da una piccola e remota area dell’Africa per trasportarlo, dopo un viaggio di circa una settimana, dalla parte opposta del grande oceano affinché la pianta che consumerà le molecole di CO2 prodotte dall’attività delle mie dita possa svolgere il proprio mestiere, eliminandole (*). Sì, che ci piaccia o meno, il funzionamento del mondo – il nostro mondo di occidentali disattenti – si basa sull’opera incessante di questi bizzarri migranti impensabili, viaggiatori modesti e trasparenti alla nostra attenzione come coloro che risolvono giornalmente gran parte dei nostri problemi spiccioli, servendo il nostro caffè nei bar, cambiando il nostro pannolone di vecchi incontinenti, passando dodici ore al giorno sui ponteggi dei nostri palazzi in costruzione. Non li notiamo, certo, ma per nostra scelta precisa, come non vediamo le molecole di CO2 che migrano in Amazzonia né la polvere del Ciad che si sposta in sudamerica, eppure esistono, altrettanto reali e importanti nel determinare la qualità della nostra vita: i camerieri, le badanti, i muratori, i raccoglitori di pomodori. Ce ne accorgeremmo immediatamente se improvvisamente sparissero, naturalmente, costringendoci a cacciare le mani negli scarti non propriamente piacevoli del nostro metabolismo o a faticare a venti metri di altezza, ma per intanto non ci preoccupiamo: finché il vento continua a portare la polvere del Ciad in Amazzonia e la necessità di sopravvivere a condurre i migranti umani nel nostro paese, continuiamo pure a scrivere, a bere il caffè al bar ad ignorare le morti dei muratori, così testardi da pretendere di violare sistematicamente la legge di gravità (reato tanto grave da meritare, giustamente, la pena di morte!). Del resto, nessuno obbliga la polvere a viaggiare tanto lontano, né gli alberi a mangiare la CO2 o i migranti a cadere dai ponteggi mentre lavorano in nero: se si comportano così avranno la loro bella convenienza, no?
(*) Sul bizzarro migrante africano che permette la sopravvivenza del maggior pozzo di CO2 del mondo, si veda ad esempio il link: http://iopscience.iop. org/1748-9326/1/1/014005/fulltext/ |