Licantropi
Società
Gran parte dei mostri di quel fenomeno che è il gotico hanno in comune di essere dei non morti, qualcosa di marcescente e rimosso che però, sfuggito alla tomba dell’oblio, gratta il legno del coperchio della sua bara e scatena l’orrore quando si apre la via del ritorno. Tutti tranne uno. E mentre i suoi artigli strappano le nostre carni e le sue fauci ci dilaniano, l’ultimo pensiero che ci viene paradossalmente in mente, è che ciò che spaventa veramente ma anche, ironicamente, diverte e affascina del licantropo è che in qualche modo, innegabilmente, sembra ben più vivo di noi.

Il lupo, che cos’è un lupo? Non è forse il residuo del cane che resiste all’addomesticamento? Oppure è quel residuo di noi che resiste all’addomesticamento da parte del cane e della società? Gli etologi non si sono mai decisi in merito, ma certo il fascino del suo concorrente tra gli animali da compagnia, il gatto, è proprio quello di non concedersi mai totalmente, di mostrare una resistenza irriducibile al branco, alla vita sociale.

Ma noi non abbiamo mai veramente voluto essere gatti, bensì lupi, e quando guardiamo il bosco, ci prende la nostalgia di una vita altra, di una sconosciuta libertà, di lune piene e di ululati selvaggi e dionisiaci. Se il filosofo Thomas Hobbes, sosteneva acutamente nel suo pessimismo antropologico che ogni uomo è lupo per l’altro, la nostra intuizione è che nella profondità della foresta lontano dal dominio dello stato, ogni lupo possa diventare uomo per l’altro lupo. Anarchia lupesca?!

Ma perchè abbiamo demonizzato il lupo fino a farne un mostro? Non fu sempre così, anzi, finché l’uomo fu cacciatore, esso fu considerato animale sacro e totemico, il cui spirito era chiamato dallo sciamano al fine di fornire supporto “tecnico” ad un animale umano ben meno dotato. Nella tradizione nordica e barbarica i Berserker erano guerrieri che si trasformavano in lupi o orsi diventando combattenti temutissimi. Ma poi con la nasciata dell’allevamento, il nostro giudizio sul nostro antico compagno spirituale cambiò, o lo mutammo  in cane oppure divenne il nostro più acerrimo nemico. Ma quel legame antico è ancora parte di noi, sepolto sotto pelli umane sempre più glabre e levigate, uno strato oscuro e selvaggio che abita ancora la nostra interiorità come una pelliccia che si è rovesciata all’interno, negata e rimossa, ma che proprio perché repressa è destinata a riemergere, ricrescere e riconquistare la sua libertà, naturalmente a nostro scapito.

La leggenda dell’uomo lupo affonda le sue radici nella cultura europea e non solo: sono numerosissime le cronache di condanne al rogo di persone accusate di licantropia, associate sempre di più con il consolidarsi del Cristianesimo ad influenze stregonesche e sataniche. Si nasconde dietro non solo una repressione sociale dell’animalità, ma il timore del ricorso al cannibalismo come risorsa contro le frequenti carestie alimentari che contrassegnarono tutta l’era medievale fino alla modernità. La licantropia veniva quindi ritenuta una maledizione voluta o meno che colpiva un soggetto, ma che non poteva essere veicolata ad altri tramite il morso contagioso analogo alla rabbia, come la tradizione cinematografica tenderà a codificare. Non è nemmeno così vero che la tradizione associ il fenomeno della trasformazione in lupo mannaro rigidamente al plenilunio, ma semmai questa dimensione ciclica deve essere ritenuta una forma di razionalizzazione che si salda con la tradizione carnevalesca. Proprio il carnevale è lo sfondo della licantropia, in quanto questa festa di antichissima tradizione ha lo scopo di normalizzatore sociale, cioè una temporanea sovversione totale delle regole civili al fine di perpetuarle attraverso lo sfogo ciclico di quelle pulsioni che, se totalmente represse, porterebbero al dissolvimento della società e delle sue gerachie. Allo stesso modo il licantropo, una volta soddisfatta la sua natura selvaggia e cannibalica durante il plenilunio, può tornare umano fino la prossimo ciclo lunare, perpetuando una maledizione individuale e collettiva insieme.

Con la sua codifica romanzesca e cinematografica la licantropia assume le forme a noi note, e l’argento diventa l’arma più efficace contro il licantropo per i tradizionale effetti ritenuti battericidi, ma quello che si consuma è la dimensione demonica del lupo mannaro. Complice l’industrializzazione dell’allevamento e la parziale estinzione del lupo e del suo habitat, il cinema compie nel corso del tempo una nascosta riabilitazione culturale di questa figura. Consegnato alla tradizione del gotico, il lupo che abita l’uomo diventa la perfetta espressione del disagio della civiltà di matrice freudiana che allontana sempre più l’umanità dalla sua natura felice di animale, ed in cui la mutazione simbolica finisce per diventare un atto di rivolta nevrotica e violenta da reprimere, ma anche tacitamente comprensibile. Il dilemma per il sistema socio-economico allora diventa come imbrigliare tale forza libidica e carnivora per metterla al servizio della produttività. Non è un caso che Karl Marx individui non solo nel vampiro, ma anche nel licantropo l’incarnazione simbolica dell’attività predatoria del capitalista “vorace di pluslavoro”. La natura lupigna dell’uomo, allora, non solo si rivela positiva, ma addirittura diventa la caratteristisca vincente del top manager delle grandi corporation. Un manifesto molto acuto è il film “Wolf la belva è fuori” con protagonista Jack Nicholson che interpreta un direttore di una casa editrice americana che, ormai logoro e poco aggressivo, viene messo da parte da un collega più giovane ed intraprendente; l’esito sembra scontato finché il morso di un provvidenziale lupo mannaro gli causa una lenta metamorfosi che lo trasforma nella perfetta incarnazione ideale del manager contemporaneo rovesciandone la sorte. Ritrovando il lupo dentro di sè e trasformandosi sempre più in esso come da tradizione, la componente sciamanica viene riattualizzata nelle nuove forme di lotta sociale, di gerarchia amministrativa di branco, di ferocia competitiva e di un nuovo cannibalismo dello sfruttamento in nome del denaro. Il capitalismo riesce nell’impresa titanica fallita dalla vecchio ordine socio-religioso di domare ed addomesticare ciò che ancora di selvaggio giace nel fondo dell’uomo, trasformando il vecchio licantropo, nel perfetto dirigente “metrosexual”, curatissimo, salutista e depilato perché è nell’attività lavorativa che può metaforicamente mostrare il suo vero carattere mostruoso ed ibrido di uomo-lupo.

Come non sospettare allora di ideologie vegetariane fino al fanatismo, di un rifiuto etico ma anche modaiolo della carne e della natura onnivora dell’uomo, che è anche lupo? Non è forse questo lupo che si reprime fino al parossismo perché o è sublimato nella perfomance agonistico dirigenziali oppure esplode in una violenza incontrollata ed insensata? La lezione è che se si può e probabilmente si deve rinunciare alla carne, in riconosciemento del lupo che ci abita sarebbe saggio che anche il vegano una volta l’anno, di plenilunio, consumasse il suo fiero pasto di carne cruda.