Volontariato e/è solidarietà
Società

Rispetto al “volontariato”, proporrei alcune domande. Innanzitutto è necessario chiedersi chi sia “il volontario”; la seconda domanda è simile alla prima, cioè che funzione ha il volontario nella società.

Prima di passare alla terza domanda risponderei alle prime due.

Il volontario è innanzitutto una persona disponibile, solidale e flessibile negli orari. Quale funzione ha il volontario nella società? Be’, il volontario non deve affatto prendere il posto né del medico, né dell’insegnante, né di un qualsiasi altro professionista specializzato in una determinata disciplina. Egli deve essere di supporto a queste persone. Una mano in più per aiutare quella persona o quella fascia di persone per le quali si presentano determinate esigenze.

 

Anche perché il “volontario”, come dice la parola stessa, non è un lavoratore stipendiato, bensì una persona che svolge un’attività gratuitamente, per cui è facile pensare che abbia a sua volta degli impegni lavorativi per potersi mantenere. Poiché nel caso in cui il volontario ricevesse un sussidio per la sua attività svolta, questa cesserebbe di essere un’attività volontaria e diventerebbe una professione.

Quindi, tornando al nostro questionario, il volontario è una persona disponibile, solidale e flessibile negli orari che ha la funzione di supporto, appoggio, accompagnamento. 

E ora passerei alla terza domanda: a chi serve il volontariato? A quale singola persona? E a quale fascia di persone?

Personalmente e istintivamente, io rispondo: serve a me nel momento in cui lo pratico.

La risposta apparentemente estemporanea ha invece radici molto profonde che per comprenderle è necessario conoscere la Costituzione: il primo articolo  dice appunto che  l’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro. Appunto, sul lavoro. La società industriale odierna, orientata verso i bisogni primari, crea individualismo fra i cittadini e di conseguenza vi è un senso di solitudine e di disagio, soprattutto nelle persone emotivamente sensibili.

Questo disagio può portare degli scompensi di diversa natura: psichica (depressioni, esaurimenti, sindromi varie), neurologica (crisi di nervi, attacchi di panico, scompensi nervosi), comportamentale (disorientamento, attaccamento ossessivo a cose o a persone, manie di persecuzione) e spirituale (idolatria, visioni, ricerca affannosa).

Ma il malessere individuale può essere calmato da un qualsiasi gesto di apertura verso l’altro.  Se io ti aiuto, non solo faccio del bene a te, ma lo faccio anche a me stesso.

Se viceversa mi chiudo in me stesso mi sento inutile, vuoto.

Quand’ero bambina, mia madre, per insegnarmi a non stare mai con le mani in mano, mi raccontava la storia del “Michelazzo”. Michelazzo era un bambino assai fannullone che passava le sue giornate stravaccato sui letti. Tanto che aveva preso persino l’abitudine di non mangiare più poiché anche quell’azione gli costava fatica. Un triste giorno si ammalò gravemente. Di inedia. Ma la mamma che non conosceva tale malattia chiamò il dottore, il  quale, come vide il ragazzo, lo avvertì dell’imminente catastrofe che gli sarebbe capitata se non si fosse subito messo in attività. Michelazzo diede ascolto al medico e in poco tempo guarì.

Si tratta per l’appunto di una metafora che fa capire l’esigenza dell’uomo di attivarsi e costruire relazioni intorno a sé.

Andiamo per esempio a consultare le pagine della preistoria. Quando gli ominidi si organizzavano in gruppi e si dividevano i compiti.

Persino nella Genesi notiamo che la disubbidienza dell’uomo è partita da un bisogno di costruire. Qust’esigenza umana di non restare ad aspettare che la manna ci piova dal cielo, ma andiamo a cercarla là, dove sappiamo di trovarla. Perché, si sa che “Chi cerca trova”.

Da questo ragionamento vorrei far comprendere come il volontariato, oltre che essere una dote assai nobile, è al tempo stesso una necessità non solo per chi la riceve, ma anche per chi la svolge.

La miglior medicina utile ad uscire da crisi depressive e altre sindromi simili, è appunto l’attività o l’impegno sociale, ossia il “volontariato”.

Inoltre esso è un’utile rimedio per risolvere le cosiddette piaghe sociali: la piccola delinquenza, la dipendenza, il vizio. Ed è la miglior cura per risollevare il morale di chi ha subito una sconfitta; per questo sarebbe importante che anche la persona che riceve dal volontario si attivi a sua volta per aiutare qualcuno più debole e bisognoso di lei.

In modo tale da realizzarsi una rete di reciprocità che renderebbe la nostra società più adulta, più responsabile, più pronta ad affrontare le problematiche del momento.

Senza investire troppe risorse economiche nelle Forze Armate e nelle Forze dell’Ordine, ma investirle invece nella Sanità e nell’Istruzione.

Meno dibattiti elettorali e più responsabilità politica.

Forse anche all’interno delle fabbriche si potrebbero ridurre le ore di lavoro e dare a quest’ultimo un orientamento diverso, più vicino allo spirito e alla portata di tutte le fasce di persone, anche quelle cosiddette deboli.