Sylvia Plath Stampa
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Oh never try to knock on rotten wood / or play another card game when you’ve won / never try to Know more than you should.» Bellissimi versi di Sylvia Plath, tratti dalla sua poesia Admonitions, i quali ci dicono di dare valore a quello che abbiamo, senza cercare altrove, senza pensare all’impossibile. In effetti, il suo talento nella scrittura, già scopertosi precoce, dall’età di otto anni, non era solo per il sapere scrivere, ma per la capacità di usare la lingua esprimendo una sensibilità innata, fuori dal comune, considerata anche la giovane età dell’autrice. Ma purtroppo, ciò che fece la sua fortuna, fece anche il suo dramma. Questa sua sensibilità la fece entrare nel tunnel della depressione, poi diagnosticata, in seguito a ricovero, come disturbo bipolare, fino a che morì suicida a soli trent’anni. Non sono in molti a conoscere questa autrice, è per tale ragione che invito i lettori ad andare a curiosare tra i suoi scritti. E così troverete un’altra poesia, molto originale anche per la particolarità di avere associato in un continuum titolo e verso iniziale. Si tratta di I am vertical, cioè  Io sono verticale, il cui primo verso, originalmente, è il proseguimento logico di questo titolo: «But I would rather be horizonthal», ossia «Ma preferirei essere orizzontale».
 Il verticale si innalza verso l’alto, il cielo, fa pensare a qualcosa che conduca al divino. Per essere così, bisogna possedere una sensibilità fuori dal comune, troppo accesa per venire compresa e anche accettata. Ecco perché è meglio essere orizzontali. Ossia livellati, standardizzati, uguali a tutti gli altri esseri viventi, così da non soffrire, vivendo nell’amalgama generale e incolore pena la propria vita.

Sylvia Plath era nata nel 1932 a Boston da genitori immigrati, padre tedesco, professore e entomologo, e madre austriaca. Entrata allo Smith College grazie a una borsa di studio, proprio durante questo percorso, tenta il suicidio per la prima volta. Tale avvenimento, la spinge a scrivere il romanzo The Bell Jar, in parte autobiografico, poiché descrive la vita di una studentessa sofferente di disturbi psichiatrici. Nella realtà quest’opera è stata pubblicata sotto lo pseudonimo di Victoria Lucas.

Studia all’Università di Cambridge, dove conosce e sposa il poeta inglese Ted Hughes, con cui ha due figli, intervallati da un aborto, che troverà in seguito largo spazio come argomento nelle sue poesie.

Siamo nel febbraio del 1963. Separatasi dal marito e trasferitasi a Londra, non era passato che un mese da quando The Bell Jar era stato pubblicato, e Sylvia tragicamente decide di farsi morire per avvelenamento da gas inserendo la sua testa nel forno. Ciò che colpisce, a parte la lucidità e premeditazione di questo atto, anche perché prima di arrivarvi, si era preoccupata di chiudere tutte le porte e le finestre, di preparare la colazione per i due figli e persino di scrivere ancora una poesia, è la crudeltà inflitta a se stessa per il modo in cui aveva pensato di morire, assolutamente agghiacciante.

Nel 1982 vince il Premio Pulitzer, ed è stata la prima poetessa a vincerlo postumo, per la raccolta The Collected Poems.

Come già accennato, si tratta di una autrice poco conosciuta dal pubblico, ma a cui anche il mondo della cultura ha dedicato molto poco. Nel 1980 in Italia venne trasmesso lo sceneggiato televisivo Nella vita di Sylvia Plath, e nel 2003 uscì il film Sylvia con Gwyneth Paltrow nel ruolo della protagonista. Infine…

«How I wish I had a Sylvia Plath / I wish I had a Sylvia Plath». Questi sono i versi di una canzone, SYLVIA PLATH, contenuta nell’album Gold del 2001, del cantante statunitense Ryan Adams. Da ascoltare, perché può dirvi qualcosa…