Le donne contro la violenza conquistano i diritti
Società
Scritto da Roberto Toso   
Si parla molto spesso della violenza contro le donne per denunciare come, soprattutto in Italia, in seno alla famiglia, nel 2012 siano state uccise 112 donne. Ogni forma di violenza va denunciata, ma non basta bisogna insegnare alle persone a combatterla prima che sfoci in azioni violente.

Preferisco parlare delle azioni che le donne compiono, contro la violenza, portando come esempio il comportamento nonviolento che va oltre la denuncia. A sostegno di questa mia idea vi parlerò di Ela Gandhi che lottò contro l’apartheid al fianco di Nelson Mandela. Ela è anche la persona che ha saputo superare nel 1993 l’uccisione di un figlio attraverso il perdono, per fermare la spirale di vendetta prima che questa iniziasse e per trasformare, il cuore degli assassini e sradicare la violenza dal mondo. Quando si è presi come modelli le nostre azioni sono un modello di riferimento e possono fermare la violenza.

Queste idee mi fanno venire in mente alcune parole del Mahatma Gandhi: se vogliamo coltivare un vero spirito di democrazia non possiamo permetterci di essere intolleranti. In Italia siamo ancora molto lontani, così come nel resto del mondo, dal poter tener fede a queste semplici parole. Averle sempre presenti e mostrarle agli altri, con le nostre azioni, può servirci per seminare amore al posto della violenza.

Nel nostro paese esistono movimenti di donne che lottano contro chi commette l’atto di violenza e non contro la violenza stessa. Vogliono che il colpevole venga punito severamente e da questo ne hanno la giusta soddisfazione, ma dopo non vanno oltre, o perlomeno non rendono noto questo loro agire alla maggioranza delle persone. Sapere invece che vi sono movimenti di donne ma non solo che fanno azioni puntuali contro la violenza che alberga nel cuore umano è molto utile per sradicarne da ogni comunità umana il seme.

Una donna che ha fatto della nonviolenza la sua bandiera e che ancora oggi si adopera per la difesa dei diritti umani è Aung San Suu Kyi che fondò il 27 settembre 1988 La Lega Nazionale per la Democrazia. Per darvi un cenno breve della sua storia vi racconto che neanche un anno dopo finì agli arresti domiciliari su condanna del regime militare che aveva preso il potere. Nel 1990 il regime militare decise di chiamare il popolo alle elezioni, e il risultato fu una schiacciante vittoria della Lega Nazionale per la Democrazia di Aung San Suu Kyi, che sarebbe quindi diventata Primo Ministro, tuttavia i militari rigettarono il voto, e presero il potere con la forza, annullando il voto popolare.

L’anno successivo Aung San Suu Kyi vinse il premio Nobel per la Pace, ed usò i soldi del premio per costituire un sistema sanitario e di istruzione, a favore del popolo birmano. Per capire meglio quella che io considero una persona da prendere come esempio bisogna conoscere qualcosa della sua vita prima del 1988 e più precisamente l’influenza che i suoi genitori ebbero su di lei.

Figlia del generale Aung San (capo della fazione nazionalista del Partito Comunista della Birmania, di cui fu segretario dal ’39 al ’41) e di Khin Kyi, la vita di Aung San Suu Kyi è stata travagliata fino dai primi anni. Suo padre, uno dei principali esponenti politici birmani, dopo aver negoziato l’indipendenza della nazione dal Regno Unito nel 1947, fu infatti ucciso da alcuni avversari politici nello stesso anno, lasciando la bambina di appena due anni, oltre che la moglie, Khin Kyi, e altri due figli, uno dei quali sarebbe morto in un incidente. Dopo la morte del marito, Khin Kyi, la madre di Aung San Suu Kyi, divenne una delle figure politiche di maggior rilievo in Birmania, tanto da diventare ambasciatrice in India nel 1960. Aung San Suu Kyi fu sempre presente al fianco della madre, la seguì ovunque, ed ebbe la possibilità di frequentare le migliori scuole indiane e successivamente inglesi, tanto che nel 1967, presso il St Hught’s di Oxford, conseguì la prestigiosa laurea in Filosofia, Scienze Politiche ed Economia. Continuò poi i suoi studi a New York dove lavorò per le Nazioni Unite e dove incontrò il suo futuro marito, Michael Aris, studioso di cultura tibetana, che sposò nel 1971 e col quale ebbe due figli, Alexander (nato nel 1972) e Kim (nato nel 1977).

Certo bisogna aver avuto una buona base per scegliere di vivere non solo per se stessi ma anche per gli altri tanto che neanche quando, nel 2003, ebbe dei problemi di salute che le fecero affrontare un intervento e diversi ricoveri, non ha mai mollato e oggi da donna libera guida il suo paese verso la libertà, il rispetto dei diritti umani e la nonviolenza.