Possiamo ancora chiamarci umani? Stampa
Articoli - Società

Conosco, anzi conoscevo un bel negozio, dove di tanto in tanto andavo per comprare qualche scampolo di stoffa. Così feci anche prima di Pasqua, un pomeriggio

“cavalcai” il 18 sino a Porta Palazzo per poi proseguire a piedi sino a destinazione. Arrivai e suonai il campanello, mi venne aperta la porta, entrai e dissi: “vorrei comprare qualche scampolo”, “prego da questa parte”, mi rispose il proprietario. Mi venne incontro anche il suo cane e dopo, neanche a farlo apposta, andò ad infilarsi proprio sotto il banco dove erano sistemate le stoffe. Espressi tutto il mio timore ed il mio disagio.

 

Non credo affatto che sia una colpa avere paura di un animale che possiede denti ben aguzzi e che potrebbe usarli quando neanche uno se lo aspetta, come infatti mi capitò da bambina. Come d’altronde può testimoniare il personale medico che lavora al Pronto Soccorso e come d’altronde ci riporta la cronaca. La reazione da parte mia è stata un qualcosa di evidentemente, inaccettabile al punto tale che mi venne detto con estrema chiarezza che sono preferibili gli animali ai clienti. Naturalmente non potei non mostrare tutta la mia costernazione per un’affermazione del genere. Servì a poco. Il negoziante, andando avanti con la conversazione ribattè ancora il disumano concetto ed aggiunse in maniera ancora più diretta: “preferisco gli animali alle persone”. Mi sentii raggelare, quell’uomo fece ricorso a tutta la sua  disumanità, del tutto gratuita ed estremamente offensiva. Ovviamente mi mise in condizioni di abbandonare quel luogo il prima possibile.

È stato un episodio a dir poco spiacevole, per non dire amaro o addirittura crudele. Uscii dal negozio con il gelo nel sangue e con una certa (l’ennesima), amarezza nel cuore.

Mi rimase addosso la sensazione che se fossi entrata nel negozio senza velo, il proprietario non sarebbe stato così spietato, né con le parole né con l’atteggiamento: mi avrebbe trattata “meglio”. Invece con me, che probabilmente, fra l’altro, mi pensava non italiana e con l’intenzione di spendere solo pochi euro, non aveva assolutamente nulla da perdere. Sia perché faccio parte di quella identità che a causa di un’ininterrotta, sempre più pressante, negativizzante e infinita campagna mediatica, viene ancora vista con sospetto. Sia perché il mio modesto acquisto (cinque o dieci euro al massimo), non era di certo un grande introito per un negozio da gente borghese. Come interessante non sono risultata, evidentemente io: né come persona né come individuo. In quel momento la dignità di un essere umano è stata del tutto calpestata. Senza, non solo, il benché minimo riguardo nei confronti dell’altro, ma anche con la totale assenza di educazione e rispetto da parte di un uomo verso una donna.