A tempo di musica... nel tempo Stampa
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Un rumore simile a quello di ruote strozzate da una brusca frenata, tradotto in strisce nerastre sull’asfalto rovente. Rumore febbrilmente desiderato. Rumore generatore di speranza. La sua funzione è simile a quella del  tizio rigido e ingessato con lo scettro, il classico annunciatore di ragazzette impettite

al ballo delle debuttanti di una squallida cerchia aristocratica di un’altrettanto squallido telefilm statunitense.

Il suddetto rumore (spero di essere stato chiaro nella descrizione ma, ahimè, scrivere suoni non è cosa facile), in realtà non è che l’assestarsi della puntina sul solco del vinile, un fantomatico trentatré giri, mettiamo. Poco importa quale sia la title-track; la simil-sgommata che partorisce il suono richiama su di sé le attenzioni come un araldo balbuziente che dichiara guerra a nemici invisibili. Il raccoglimento è totale; possiamo trastullarci nella certezza che i primi attimi scanditi dai suoni saranno sottolineati dall’attenzione di tutto l’essere dell’ascoltatore.

La puntina inizia il suo percorso, impervio e privo d’orizzonte (il suo è un monotono curvare, tra l’altro sempre nella stessa direzione).

Nel  frattempo gli anni scorrono come i brani interpretati dalla nostra  assidua puntina: siamo  nei novanta, a fine millennio; adesso ad affiancare la vibrazione scolpita nella materia (dopo la patetica parentesi delle musicassette, la cui resa sonora ricorda abbastanza da vicino quella dei walkie talkie o dei citofoni), spuntano questi fratellini minori chiamati cd-rom e, poco più in là, i primi lettori mp3. Per l’ascoltatore medio la musica si smaterializza e uniforma, quantomeno esteriormente. Dagli scaffaloni  dei negozi musicali si passa ad anonime  cartelle di un pentium qualsiasi in un ufficio qualunque, mentre ad inaugurare la danza concentrica del suono, il ronzio spossato di un lettore cd o il ticchettio del mouse.

Perdita sostanziale di ecletticità e di un certo prolungamento estetico del mezzo artistico; riguadagnato poi solo parzialmente dalla video mania apportata dalla rete col suo youtube.

Quello che è impossibile non constatare è la superficialità dell’ascoltatore medio che strazia il prodotto, magari skippandolo a colpi di mouse e passando convulsamente da un video all’altro. Nel suo mondo la musica è ovunque: brani in macchina, brani alla fermata del metrò, brani per svegliarsi, la sera in discoteca, in piscina, come suoneria, brani per segnalare la cottura del pollo. A quando il primo deceduto sotterrato con l’i-pod, rispolverando l’usanza egizia?

è quindi inevitabile che la musica stessa, vissuta un tempo come momento di raccoglimento e che oggi viene fruita ingordamente, perda in molte occasioni quel dato culturale che la contraddistingueva, almeno qua in Italia (mi riferisco ad un certo cantautorato degli anni ’60-’70, in grado di sollecitare una certa coscienza critica nei confronti della propria contemporaneità).

Certo lo scenario non  è così tetro come lo dipingo io: nonostante non veda un adeguato ricambio generazionale, vi sono realtà molto interessanti dal punto di vista della critica come il teatro degli orrori e le luci della centrale elettrica, per citarne due tra le più conosciute.

Il fatto è che, come detto in precedenza non sono tanto gli artisti ad essere cambiati quanto gli ascoltatori, da sempre i veri protagonisti del fenomeno musica.