L’antifederalista |
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Dialogo fra etnie, confronto costruttivo: presupposti di crescita Ci vuole poco a comprendere come la somma delle culture di popoli diversi sia un valore aggiunto che beneficia tutti i partecipanti. Basta aver presenziato qualche volta agli incontri degli Umanisti aventi lo scopo del dono che si porta agli altri, di qualche cosa che si ritiene valido della propria esperienza, oppure aver visto il susseguirsi di spettacoli presentati in occasione della Festa della Repubblica Multietnica, per capire che ci si arricchisce tutti culturalmente, emotivamente e forse spiritualmente. Non è un banale calcolo utilitaristico inteso in senso limitante, ma è un qualcosa che resta comunque nel campo della razionalità il godere della varietà e delle esperienze che diverse tradizioni presentano. Ciò non ha nulla a che vedere con il rinnegare le proprie origini, la propria cultura, i propri valori, che anzi si integrano o addirittura si rafforzano nel costruttivo rapporto con l’esperienza di altri esseri umani. La presa di coscienza del valore di una tradizione si esalta dal confronto con altre consimili e dico consimili perché, se si sa guardare con animo sgombro da pregiudizi, si ritrova comunque un tratto comune in tutte le manifestazioni del pensiero, della tradizione lavorativa, della vita sociale, fino al senso di limitatezza dell’essere umano nei confronti dell’infinito mistero della vita e del rapporto col trascendente. Focalizzando per un momento quest’ultimo punto, pare a me che il trascendente sia insito nella modalità di percezione o forse della pulsione umana e le religioni, ancorché diverse, sono il frutto della medesima aspirazione. Per una valutazione strettamente personale, esse sono quanto di più alto il genere umano abbia prodotto. Nulla rileva che la religione sia il frutto di un desiderio egoistico di sopravvivere a sé stessi: quando anche la motivazione fosse di tale natura, sarebbe un’aspirazione corrispondente ad un istinto di conservazione , di cui non si deve avere paura né rinnegare. Non è altro che un desiderio di assoluto, che sentiamo senza colpa e che accettiamo come condizione esistenziale. Ma torniamo ai valori limitati della esperienza di vita terrena, quella di umani su un pianeta che abbiamo avuto la sorte di avere come dimora: di questi valori non ci turbi l’accrescimento da qualunque parte provenga. Si potrebbe altresì obiettare che il negativo dipende da una valutazione relativa e non assoluta, ma qui sta il fascino delle avventure del pensiero umano, che si sublima attraverso la ricerca di un livello che si possa accettare come superiore, nel percorso evolutivo che comunque si va compiendo col naturale trascorrere del tempo. Un atteggiamento basilare ottimista ci deve guidare, perché ciò deve essere insito nell’essenza stessa della nostra vita, senza la quale essenza, mineremmo i fondamenti della nostra serenità di umani, in virtù di un utilitarismo che con orgoglio va presentato come non aprioristicamente criticabile. Un tale atteggiamento ottimista ci consente di considerare la possibilità di discernimento di quanto è migliore o peggiore e quindi della relativa scelta di azioni da compiere. Tale azione tuttavia va effettivamente compiuta e con forza. Anzi qui desidero utilizzare tre parole note al vasto pianeta del sentire umanista: pace, forza e allegria. Ne sono la conseguenza applicativa e, senza interpretazione riduttiva, la esplicitazione più immediatamente comprensibile. Non ripeto questa volta che tutti i fenomeni disgregatori all’interno di una unità nazionale o statuale acquisita, vanno nella direzione contraria rispetto a quanto sopra esposto. Era ed è necessario prestare molta attenzione a tali fenomeni, perché i tempi e le difficoltà per ottenere le necessarie correzioni, possono essere di vaste proporzioni. |