Cavalli-sforza: le razze… non esistono! [2a Parte] Stampa
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 Nella preistoria è probabile che si siano verificate molte grandi migrazioni, che nel loro succedersi hanno portato all’espansione dell’ Uomo su tutto il pianeta.

Si devono soprattutto a queste migrazioni preistoriche le distanze genetiche tra i continenti, cioè le differenze genetiche tra la popolazione di un continente e quella degli altri. L’Africa emerge come il continente geneticamente più lontano dagli altri; ossia la distanza genetica tra l’Africa e gli altri continenti è la maggiore. Le distanze tra gli altri

quattro continenti sono tutte più piccole: l’Asia è geneticamente più vicina all’Africa di quanto lo siano l’Oceania e l’America, ma più lontana rispetto all’Europa; l’Oceania è più vicina all’Asia che agli altri continenti; relativamente vicini sono l’Asia e l’America. Emerge che la “parentela” genetica tra le popolazioni riflette almeno in parte la vicinanza geografica e, di conseguenza, soprattutto storica, dei continenti tra loro. Nonostante esistano ancora queste differenze, le migrazioni hanno avuto come conseguenza l’incontro tra popolazioni e, tramite le unioni sessuali, lo scambio genetico, che ha alterato le distanze genetiche riducendole tanto più quanto le popolazioni si sono mescolate.

La distanza genetica perciò risulta sempre maggiore e sempre più localizzata in un dato luogo originario man mano che si risale indietro nel tempo, e, al contrario, è sempre minore e sempre più frazionata nell’ avvicinarsi ai tempi più recenti. Infatti è l’Africa, il continente geneticamente più lontano da tutti gli altri, il luogo in cui l’Uomo è nato e da cui è emigrato, dirigendosi probabilmente prima di tutto in Medio Oriente e in Asia circa 100 000 anni fa; nell’Estremo Oriente (Cina) sarebbe giunto circa 70 000 anni fa, in Australia tra i 60 000 e i 35 000 anni fa. L’arrivo dell’Homo sapiens-sapiens in Europa avvenne probabilmente dall’Asia occidentale verso i 40 000 anni fa (provocando l’estinzione dell’Uomo di Neanderthal). L’entrata in America avvenne quasi sicuramente attraverso il passaggio dello stretto di Bering, tra Russia e Alaska, in tempi in cui non era sommerso dall’oceano, tra i 50 000 e i 15 000 anni fa. Le espansioni dunque possono estendersi molto lontano dalla terra di origine e lasciare tracce durature nella «geografia genetica».

Dal punto di vista genetico gli europei sono quasi esattamente intermedi tra gli africani e gli orientali: la mescolanza sembra composta per due terzi da geni di popolazioni dell’Estremo Oriente e per un terzo da geni di origine africana, e dovrebbe aver avuto inizio verso i 30 000 anni fa. La datazione è incerta, come per tutte le espansioni avvenute nel Paleolitico, ma gli scienziati ritengono possibile ricavarla facendo raffronti con le migrazioni e le espansioni più “recenti”, quelle del Neolitico, testimoniate dalla diffusione dell’agricoltura: la presenza del grano è ritenuta uno dei pochi indicatori sicuri perché era quasi del tutto assente in Europa prima di giungervi dal Medio Oriente a partire dal 9500 a.C. circa. Prima dell’agricoltura, la densità di popolazione in Europa era molto bassa; essendo scarse le possibilità di mescolanze, la deriva genetica avrebbe causato differenze elevate da una regione all’altra. Con la diffusione dell’agricoltura, la densità di popolazione aumentò e così anche la mescolanza delle popolazioni immigrate con gli abitanti precedenti. I geni degli immigrati si sarebbero così «diluiti» progressivamente dal luogo di origine verso le aree colonizzate durante l’espansione “a macchia d’olio”.

In questo modo, dunque, i geni vengono influenzati dalle migrazioni e, se se ne hanno a sufficienza, li si può contare ed utilizzare per comprendere meglio la composizione genetica dell’ umanità abitante in un’intera area geografica; più geni si avranno a disposizione, più attendibile sarà il risultato.

Sono state trovate così le tre componenti genetiche principali dell’Europa: la prima riproduce quasi esattamente il percorso del grano e dei cereali ed è dunque mediorientale, e data circa dal 9500 al 5000 a.C.; la seconda è nordeuropea, perché è concentrata soprattutto nella Scandinavia e sembra riflettere l’arrivo di popolazioni dalla Siberia occidentale attraverso i monti Urali, probabilmente molto prima del 2-3000 a. C.; la terza indica un’espansione partita intorno ai 5000 anni fa a nord del Mar Nero e del Mar Caspio, che è verosimilmente anche l’area di origine delle prime lingue indoeuropee.

In Africa vi sono due importanti aree di mescolanza con i «caucasoidi»: il Nordafrica, che ha da sempre avuto contatti con l’Europa tramite il Mar Mediterraneo, e l’Africa orientale o Corno d’Africa, che ha avuto molti contatti con il Medio Oriente e l’Arabia, come attestato da numerose prove storiche (incluso l’Antico Testamento). Sulla costa mediterranea dell’ Africa le popolazioni berbere discendevano probabilmente da  indoeuropei venuti dal Medio Oriente: ancora oggi tra i berberi si trovano individui con gli occhi azzurri. Ai primi abitanti del Sahara, che erano verosimilmente “neri” (come indicano alcune pitture rupestri di almeno 5000 anni fa), si sarebbero aggiunte e mescolate popolazioni “bianche”.

In Asia le espansioni furono probabilmente molte, la maggior parte delle quali avvenne nella preistoria; la più importante dell’ era neolitica fu probabilmente quella dei pastori nomadi indoeuropei del Caucaso e della zona del Mar Caspio, circa 5000 anni fa, che hanno lasciato tracce genetiche riconoscibili, ma sempre molto diluite perché, anche se forti militarmente, queste tribù erano piccole numericamente.

Tutte le grandi migrazioni avenute negli ultimi 100 000 anni hanno permesso all’Uomo di occupare quasi tutte le terre emerse del pianeta, e le loro tracce genetiche si ritrovano chiaramente nelle mappe delle componenti genetiche principali; ogni espansione ha prodotto gradienti di diversa importanza, ma ha sempre avuto come risultato una graduale mescolanza con le popolazioni vicine. E dato che ne sono avvenute molte, che si sono in parte sovrapposte, sarebbe molto difficile isolarle senza l’analisi delle componenti principali. È probabile che le più elevate di queste ultime siano le più antiche, poiché nei tempi più antichi la densità demografica era minore ed era quindi più probabile che la deriva genetica producesse differenze più marcate. Sembra dunque che l’ordine cronologico ipotizzato per le espansioni demografiche coincida con l’ordine decrescente delle componenti genetiche. Abbiamo visto che i rapporti genetici tra i continenti sono molto diversi, e l’Africa emerge sempre come il più lontano da tutti gli altri e dunque il più antico; diverse ricerche hanno indicato che la separazione tra africani e non africani può risalire ai 150 000 anni fa; un risultato più recente (1997) ha indicato una data tra i 74 000 e i 99 000 anni fa. Le datazioni genetiche dunque coincidono abbastanza con le datazioni dei fossili nell’indicare i 100 000 anni fa come data di separazione tra africani e non africani, e l’ Africa come luogo di origine dell’Uomo moderno; come scrive scherzando Cavalli-Sforza, Adamo ed Eva dovremmo immaginarli con la pelle nera. Se la nostra specie non si fosse espansa, cambiando per adattarsi ai vari climi del pianeta e, in seguito, rimescolandosi incrociando le popolazioni in cui si era frazionata, saremmo stati tutti “negri”!

Le conclusioni degli studi di Cavalli-Sforza rivelano dunque che i caratteri somatici e antropometrici non sempre convergono con i dati genetici, e possono illustrarci soltanto in quali condizioni ambientali una popolazione ha vissuto nei millenni più recenti. Il colore della pelle è largamente influenzato dall’intensità solare e dal clima in generale; per esempio, gli africani e gli aborigeni australiani sono simili tra loro per i caratteri somatici, mentre dal punto di vista genetico presentano la massima divergenza (abbiamo visto infatti che tra l’Africa e l’Oceania c’è la maggiore distanza genetica e dunque cronologica). I caratteri esteriori ci mostrano dove una popolazione ha vissuto nel suo periodo più recente e quindi come si sia differenziata dagli altri gruppi; indicano soltanto una parte della storia evolutiva della razza umana. Il patrimonio genetico ne è invece un testimone più fedele, indicando la mescolanza dovute alle migrazioni preistoriche e antiche; dunque, non solo siamo stati tutti negri, ma anche tutti nomadi come gli zingari!

Ai nostri giorni la situazione genetica dell’Uomo, secondo Cavalli-Sforza, è assai poco interessante: al livello attuale di densità demografica mondiale, la deriva genetica – cioè la sopravvivenza di una linea genetica isolata – è quasi completamente «congelata»; al contrario, a causa delle migrazioni la mescolanza si sta facendo continua e complessa. Alla fine di questo processo, l’umanità sarà composta di individui sempre più simili somaticamente, ma sempre più eterogenee geneticamente. Il tasso di riproduzione dei vari gruppi umani è molto diverso: mentre in Europa è tendenzialmente stabile, tra le popolazioni del «Terzo Mondo» sta aumentando a grande velocità; la mescolanza di queste popolazioni con quelle dell’Occidente avrà quindi come effetto la riduzione relativa dei tipi biondi e di pelle chiara. Ironia dela sorte, sarà proprio il tipo esaltato dal Nazismo come dominatore quello destinato a ridursi! Inoltre questa mescolanza genetica “planetaria” dovrebbe dare alla specie umana anche la possibilità di elevare la propria resistenza alle malattie infettive, la fecondità e anche l’intelligenza, poiché sia tra gli animali che tra gli umani vige la legge biologica del «maggior vigore degli ibridi».

L’ esatto contrario di quanto scriveva lo stesso Hitler nel Mein Kampf , cioè che «la Natura è aristocratica e ama poco i bastardi», che sono destinati a «crollare» perché fisicamente e psicologicamente più deboli!

Dalle ricerche di Cavalli-Sforza impariamo che le razze non esistono, che tutti noi siamo un po’ negri, un po’ immigrati e un po’ nomadi, e che la mescolanza tra le diverse etnie ci migliorerebbe sia dal punto di vista biologico che da quello culturale. Non avremmo mai pensato di dover ringraziare un signore novantenne per averci dimostrato che in fondo siamo tutti un po’ “bastardi”!

[Luigi Luca Cavalli-Sforza, Geni, popoli e lingue, Milano, Adelphi, 1997, 354 pp.]