La nottata è passata |
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Dal presente numero di Conexión l’antifederalista si congeda dai suoi 15 lettori, per proseguire in altra forma. L’antifederalista è stato dal novembre 2012 titolo fisso del mio intervento su questo importante periodico che benevolmente mi ospita mensilmente. Bene inteso: l’antifederalista ribadisce quanto ha scritto
, in particolare sottolinea che il federalismo per l’Italia dei nostri giorni è stata una scelta sbagliata, soprattutto irrazionale, costosa, pericolosa e disgregatrice del sentimento di unità fra italiani di oggi e di domani. Stride con un fondamento del movimento Umanista: il cammino verso la Nazione Umana Universale, non violenta, integrata e solidale. Per l’Italia è stata l’ennesima disgrazia, dopo una lunga serie di errori da cui deriva l’attuale grave situazione sociale, etica, economica e organizzativa. Il federalismo ha assunto la forma di “iperregonalismo”, cioè di aumento di poteri alle 20 amministrazioni regionali e comprende la sottospecificazione tragicomica detta “federalismo fiscale”. Esso è stato incredibilmente avallato e addirittura sostenuto da tutte le forze politiche e culturali presenti in Italia, con una cecità e un conformismo degni della peggiore capacità amministrativa e politica di tutti i tempi e di ogni paese, tra quelli che si ipotizza perseguano un bene comune.
La regioni a statuto speciale e poi quelle a statuto ordinario, sono state un errore, perchè hanno avviato un processo disgregativo dell’unità nazionale, che a fatica ma con discreto successo, si era sviluppata e rafforzata nei primi 85 anni della storia d’Italia, dal 1861. Il loro costo è stato spaventoso, specie dal 1970 con l’istituzione delle 15 a statuto ordinario; il debito pubblico ha iniziato a crescere smisuratamente, ovviamente per la concomitanza di altri errori. La precedente triade di enti territoriali: Comune, Provincia, Stato era la scelta più razionale e sufficiente. Bisognava semplicemente migliorarne l’efficacia. Dal 1994 le sciagurate istanze federaliste, di default proposte dalla secessionista Lega Nord, hanno molto aggravato la situazione anzidetta, costituendo altresì un vulnus irrecuperabile, almeno a medio termine, del senso di concordia e di solidarietà del popolo italiano. Anche attraverso un fortificato Umanesimo si dovrà rimediare ai guasti prodotti, alle odiose rivendicazioni localistiche, ai ciechi egoismi che da troppo tempo si percepiscono nel dialogo scritto e parlato, violento e rancoroso, in varie parti d’Italia. Come congedo e per la prima volta, l’antifederalista infligge ai suoi restanti 5 lettori un ricordo personale, che vuol essere un omaggio alla memoria dell’unico personaggio politico che abbia capito il disastro del federalismo nella forma assunta di iperregionalismo: l’on. Luigi Preti. Nel 1995 seppi che Preti, già parlamentare e ministro della Repubblica aveva scritto un breve saggio “Regioni Si Regioni No” - ed. Pironti, in cui si ammoniva dai rischi alla spesa pubblica per l’implementazione dei poteri a tali Enti. Ancorché giudicassi timido l’intervento scritto da Preti, non avendo avuto altri appoggi alle mie valutazioni, mi precipitai a Roma il primo sabato successivo; dopo vari colloqui, decidemmo di imbastire un movimento politico in opposizione al federalismo. Tornato a Torino la domenica sera, sbrigai con la massima velocità gli impegni del mio lavoro e il giovedì successivo, utilizzando le ferie, ripartii entusiasta per Roma. Fu sempre a mie spese (dalla politica c’è sempre chi trae lucro talvolta immeritato e c’è chi paga, anche molto, molto più di me). Finalmente avevo trovato una persona con visibilità e che condivideva il mio pensiero. Preti mi mise a disposizione un ufficio nei pressi della Camera, una parte della sua personale segreteria e mi mise in contatto con la pronipote di Giuseppe Garibaldi, di nome Anita, come la moglie dell’Eroe dei due mondi morta nel ravennate nel 1849. Per pochissimi giorni funzionò la collaborazione cui mi dedicai con la passione che mai m’abbandona, ma presto iniziò anche la divaricazione fra Preti e me sulle strategie di comunicazione per il successo del nascente movimento. Mentre io cercavo di imbastire forme legali di autofinanziamento e soprattutto di coinvolgere il dr. Di Pietro, che allora vedevo come speranza per tutti i riscatti che sognavo per il Paese, Preti si spendeva per cercare alleanze e visibilità presso le televisioni del magnate e da poco tempo potente leader politico, il presidente Silvio Berlusconi. Ebbene non ci fu nulla da fare. Capii poco dopo che Preti, da uomo originale, intelligente e onesto, condivideva sinceramente le comuni idee antifederaliste, ma di più tentava un rilancio del PSDI, già schiacciato dai pesanti attacchi dell’effimero ciclone tangentopoli. Egli collocava il rilancio nell’ambito delle alleanze politiche di Berlusconi. Suggerii anche di prendere contatti con alcuni testimonial che ritenevo adatti al caso, ma non se ne fece nulla. Sono tuttora convinto che la strategia di Preti fosse clamorosamente errata (e i fatti mi hanno dato ragione perché il suo movimento, da cui ormai mi ero allontanato, non prese mai il volo). Tuttavia riconosco amaramente che fu l’unico che tentò un’opposizione al più pericoloso attacco e vulnus perpetrato in quegli anni all’unità d’Italia, alle finanze dello Stato e al buon modello organizzativo e amministrativo dell’Italia risorgimentale. Pur con le divergenze anzidette ricordo con affetto Preti che mi diede per pochi giorni almeno, la speranza di fermare il disastro imminente e che continuò a manifestare la massima stima per me. Di quell’esperienza, oltre che il ricordo e la delusione finale, conservo in archivio il manifesto che con la sig.ra Anita si era preparato e che sull’immagine di Giuseppe Garibaldi recitava: “ho combattuto per unificare la nazione: italiani, non traditemi col federalismo”. Per completezza di racconto riferisco che tentai ancora in proprio di contattare Di Pietro, con due lettere inviategli all’indirizzo di Montenero di Bisaccia e non scrissi solo di federalismo. Non ne ebbi risposta. Sottolineo che negli anni vicini al ’95 Di Pietro aveva un potenziale di consenso nel popolo italiano che valeva a mio modesto parere almeno il 30%, solo fosse stata la sua immagine bene incanalata. Dopo un messaggio scritto consegnatogli di persona alla GAM di Torino, senza risposta, avviai infine ancora una collaborazione con la nascente IDV alla fine del 1999 e per oltre sei lunghi mesi, lavorando nelle ore serali e notturne, ai temi del federalismo, alla mia proposta in economia ed ecologia, all’incompletezza del progetto Euro e problemi finanziari italiani (l’attività era allora coordinata da Elio Veltri e dal punto di vista informatico dall’infaticabile Rita Guma). Ma il tutto ebbe uguale e inutile sorte. Ma ho detto che la nottata è passata e l’alba di un nuovo giorno potrebbe ancora illuminare il nostro futuro. Penso di continuare a trattare di federalismo, ad esempio per i danni all’attività di promozione turistica del Paese in questo basilare settore economico: con 49 siti ufficialmente dichiarati patrimonio dell’umanità dall’Unesco, con un complesso storico e artistico sterminato e con risorse naturali di ogni genere, non riusciamo ad occupare i primi posti al mondo per incoming turistico, come potremmo e dovremmo fare, soprattutto diffusamente, dalla Testa Gemella Occidentale a Lampedusa. Ma presentandoci ai consessi internazionali di promozione turistica in modo sparso disperdiamo energie e restiamo spesso inosservati dagli increduli operatori professionali. Ma se avrò forza e capacità allargherò lo specchio dei miei temi. Esordisco quindi brevemente con un discorso di non violenza di natura particolare, da molti ignorato, sottaciuto, erroneamente sottovalutato: l’aumento e la diffusione del rumore, che da anni si estende in vari ambiti urbani e non, sempre di più “24 h”. La musica, talvolta accompagnata da schiamazzi, risse, urla è sempre più diffusa, all’aperto e con noncuranza dei diritti di chi la subisce. Il rumore è una forma grave di violenza. Il disturbo della quiete pubblica, che può in fretta giungere alla deprivazione del sonno costituisce una lesione alla salute e all’integrità della persona. In molte zone dove l’attività musicale si svolge all’aperto danneggia anche le specie animali ivi stanziali. Anche nelle ore diurne il rumore distoglie dalla concentrazione per studio e per lavoro, disturba il riposo di un convalescente o da chi svolge un lavoro notturno. Ciò si verifica più frequentemente a causa dei musicisti da strada, ridotti con demagogica tolleranza alla mendicità in aree urbane frequentate e abitate. Ora, sufficientemente sfiduciato nelle capacità della nostra classe politica, mi affido alla protezione del Dio dell’Universo e, laicamente, in memoria della professoressa Margherita Hack, riprendo una celebre invocazione alla Luna, il più prossimo fra tutti i corpi celesti da ella studiati. Richiamo i bei versi di Felice Romani per la Norma di Bellini. Sono conscio che mi attirerei la critica del grande Umanista rinascimentale Pico della Mirandola, mirabile propugnatore di un ecumenismo filosofico e religioso, posizione che mi stimola intellettualmente, se la sua grandezza si occupasse del mio ininfluente pensiero. Il credere all’azione di un corpo celeste sull’uomo configge con il libero arbitrio e la dignità dell’uomo propugnati da Pico. Ma qui mi si conceda di veder la Luna solo per l’armonia e per il mistero del movimento infinito degl’infiniti astri e galassie e nebulose e via e si accondiscenda alla dolce poesia che spesso accarezza e riposa le nostre stanche menti. Casta Diva che inargenti Tempra tu de’ cori ardenti, |