La nottata è passata
Articoli - Società

Il mondo globalizzato in modo predatorio
ha vaste aree di povertà vecchia e nuova
e rischia di trascurare i grandi temi ecologici

Partiamo dal barracuda. Nei mari del nord-mediterraneo da alcuni anni sono presenti specie marine, tra le quali alcune tra le tante tipologie di quella anzidetta, che si ritiene siano tipiche di acque tropicali o al più del sud-mediterraneo. Un fenomeno del genere non va trascurato, per amore di conoscenza e per un principio generale di prudenza.

La presenza del barracuda è solo un sintomo, ma importante di un mutamento nella temperatura dei mari e degli oceani. Allo stato attuale degli studi più accreditati, si suppone che il riscaldamento globale sia un fenomeno reale e le proiezioni a medio e lungo termine indicano cambiamenti e seri problemi per le condizioni di vita sulla terra dell’uomo e delle altre specie animali e dei vegetali.

Ma facciamo un passo indietro per affermare con forza che i problemi economici non devono fermare la ricerca sui temi ecologici.

Come a tutti è noto, a partire dal 2007 si sono accentuati in parte del mondo occidentale, segnatamente in alcuni Paesi tra cui l’Italia, i segni di una crisi economica antica, con ulteriore aumento di precarietà lavorativa, disoccupazione, sottoccupazione, calo diffuso dei redditi e dei patrimoni.

Per l’Italia la congiuntura resta oggi ancora fondamentalmente debole, benché si preveda a breve-medio termine una discreta ripresa.

Questa crisi non è mai stata di matrice finanziaria, ma ha sempre avuto in modo evidente le caratteristiche di una crisi economico-strutturale, del tipo specifico di sovrapproduzione mondiale. Per vaste aree a competitività minore si sono aggravate le difficoltà economiche e conseguentemente quelle finanziarie e patrimoniali. Ad esse si è data una risposta tipica e sono accaduti i fatti consueti di tali circostanze: spinta ulteriore ad alcune attività di marketing, purtroppo solo o prevalentemente di promozione, riduzione a volte brutale di costi, peggioramento delle condizioni lavorative, disoccupazione, delocalizzazione, nonché un turnover di manager e imprenditori spesso stranieri, con esiti incerti. Per i vincoli dovuti ai trattati internazionali sui debiti e deficit pubblici, sempre per le aree più deboli tra cui l’Italia, la mano pubblica ha avuto poco spazio di manovra per politiche espansive, salvo i benefici indotti dalla politica d’indirizzo della liquidità, provvidenzialmente effettuata in anni recenti dalla Banca Centrale Europea.

La tentazione è forte: prima affrontiamo i problemi dei redditi, della disoccupazione, della miseria, poi verrà forse il tempo dell’ecologia. La risposta è semplice: si deve agire su entrambi i fronti e i rimedi più sani non porteranno alcuna divaricazione.

Si consideri che contemporaneamente alla crisi economica è emersa una circostanza d’importanza assolutamente primaria: di anno in anno si manifestano le caratteristiche di una crisi entropica relativamente all’equilibrio ambientale e ciò accade per la prima volta nella storia dell’umanità; ovviamente questa seconda crisi ha labilissimi confini per gli effetti che produce, confini che tendono a zero.

Assistiamo alla mutazione dell’equilibrio di fondo fra presenza dell’uomo sulla terra e le risorse di cui il pianeta dispone. Tale tema fu già ampiamente trattato in passato da economisti e studiosi. Tra questi mi limito a citare il torinese dr. Aurelio Peccei, fondatore del Club di Roma. Peccei e le analisi promosse dal Club di Roma sono ancora attuali e andrebbero molto rivalutate e prese nella massima considerazione, con gli aggiornamenti necessari.

Ancorché attanagliati dai problemi economici e finanziari, da risolvere con la massima razionalità, il dibattito politico mondiale dovrà spostarsi su questi nuovi orizzonti perchè se si vive di passato per le esperienze, le competenze e le tradizioni, si deve agire per il presente e il futuro col dovere morale di salvaguardare la vita per noi e per le generazioni a venire.

Gli uomini di buona volontà, direi compresi e in primis gli Umanisti, dovrebbero promuovere queste nuove culture e prassi, in armonia e sinergia con uno dei cardini del Movimento Umanista: la collaborazione, il reciproco rispetto, l’integrazione fattiva fra etnie e culture di matrice diversa, la visione mondiale dei temi in argomento, la naturale propensione all’internazionalismo ben rappresentato dall’aspirazione alla Nazione Umana Universale. Per rendere piena l’integrazione, ci vogliono tuttavia obiettivi comuni.

A problemi globali si dovrebbero per logica contrapporre soluzioni di provenienza globale, ma oggi è ancora necessario che i singoli Stati si impegnino fattivamente, anche in presenza di organizzazioni internazionali.

Abbiamo già esempi di concrete attività nel senso di tali sensibilità. Per brevità ne cito uno tra i tanti. In accordo e in totale sintonia con la Costituzione della Confederazione Svizzera del 1999 (Preambolo, art. 2 c. 4, artt. 74, 75), nella primavera del 2012 si è approvata nello splendido Paese con noi confinante, un’integrazione che limita al 20% il numero delle seconde case per ogni comune (Cost. art. 75 b). Ciò s’inserisce nel piano di salvaguardia del territorio, del suo utilizzo e benché la norma non abbia ovviamente valore retroattivo per i progetti già approvati, rappresenta un significativo freno all’utilizzo incontrollato del suolo e alla sua cementificazione.

Per l’Italia, chiamata dagli errori di un cinquantennio a gestire soprattutto emergenze, non coltivo illusioni siffatte entro il medio periodo, ma almeno auspico si inizi a diffondere una nuova cultura verso l’utilizzo di strutture ricettive aperte al pubblico, per i fini turistici, termali, ricreativi, culturali: hotel, villaggi, residence, case-vacanze, camping, bed & breakfast, ecc. Per quanto riguarda l’immenso patrimonio immobiliare esistente mi auguro altresì vigore alla leva giuridica e fiscale della manutenzione, della conservazione, della messa in sicurezza. In altri termini, dalla prassi delle nuove costruzioni si dovrebbe gradualmente passare a una magica parola: manutenzione. Ci sarebbe lavoro assicurato per decine di migliaia d’imprese edili e ciò per tanti, tanti anni. Naturalmente il tutto andrebbe supportato dalla eliminazione radicale degli incredibili principi che reggono tuttora in Italia i contratti di locazione, principi nefasti che portano al disastro in termini di conservazione del patrimonio immobiliare, della sua manutenzione e, ove utile, trasformazione o integrazione. Ma sono ben conscio di avere nel nostro demagogico e iperconformista Paese, solo aperto il libro dei sogni.

Per i miei 5 lettori: il resto, spero, alla prossima puntata.