La questione meridionale e i problemi mai risolti
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Il sud, il sole, la pasta e la musica, i profumi della buona cucina, il mare. E ancora: il carattere gioviale, le canzoni napoletane conosciute da tutti gli italiani, canticchiate nelle feste popolari, la tarantella, i fichi d’india, le orecchiette... una vera meraviglia!

I telegiornali raccontano un’altra storia: immondizia, costruzioni abusive, ignoranza, superstizione, mafia, camorra, n’drangheta,

dissesto geologico. Il Sud o il Meridione, il “Mezzogiorno”, sono tutti termini utilizzati per definire il territorio che si sviluppa in fondo allo Stivale italiano. Si parla di “questione meridionale” per la prima volta nel 1873, definizione data dal deputato radicale lombardo Antonio Billia sottolineando la disastrosa situazione economica del Mezzogiorno in confronto ad altre regioni dell’Italia unificata. I problemi attuali hanno un’origine antica, risalgono al periodo dell’unità d’Italia. Il Piemonte di Cavour era guidato da un’élite liberale che impresse una radicale accelerazione, con lo scopo dichiarato di confrontarsi con le maggiori potenze europee. Si costruirono strade e ferrovie in Piemonte, favorendo il commercio verso gli Stati europei; si ridussero i dazi del 10%, si intensificò l’agricoltura nella pianura Padana; il canale Cavour, iniziato nel 1857, rese fertilissimo il territorio di Vercelli e Novara. Il Piemonte possedeva metà del chilometraggio di ferrovie dell’intera penisola, la galleria del Moncenisio permetteva il raggiungimento di Parigi in una sola giornata. Dopo il 1860 nacquero le prime fabbriche in Piemonte e Lombardia. Tutti questi cambiamenti portarono ad ingenti spese pubbliche e una profonda depressione finanziaria.

Ma il sud come reagì a tutto questo? Prima dell’unità d’Italia 8 dei 22 milioni di abitanti erano occupati nell’agricoltura, contro i 3 milioni occupati nell’industria e nell’artigianato. Oltretutto, circa l’80% di questi erano donne occupate solo stagionalmente. La proprietà della terra era concentrata tra pochi possidenti che la tenevano a latifondo, valevano ancora diritti feudali di decima e di fruizione pubblica di terreni comunali. La vita dei braccianti era misera: la malaria, i briganti e la mancanza d’acqua costringevano le popolazioni ad ammassarsi in villaggi che distavano anche una ventina di chilometri dalle zone in cui esse lavoravano. L’analfabetismo era pressoché completo, la disoccupazione era diffusa, il contadino del sud guadagnava la metà del suo equivalente del nord. Inoltre, gli aristocratici proprietari dei terreni trovavano disdicevole occuparsi della loro gestione; di conseguenza non avevano interesse a migliorare le tecniche produttive o ad investire in colture più redditizie come l’ulivo e i frutteti, che potevano diventare produttivi anche dopo una decina di anni, preferendo la coltivazione annuale del grano. Al contrario il nordest del paese aveva acquisito nuove tecniche di lavorazione in campo agricolo, sovvenzionate dai capitali delle città, inoltre l’intensa canalizzazione dell’acqua permette la coltura del riso. In Piemonte e Lombardia nascono le prime industrie tessili, tessitura meccanizzata, ed esportazione di lana e seta lombarda. Purtroppo in queste industrie lavoravano tanti fanciulli sotto i dodici anni, per la maggior parte bambine che lavoravano dodici e persino sedici ore al giorno. Il sud non era privo di industrie, i cantieri navali di Castellammare di Stabia, la ferriera di Mongiana, in Sicilia l’estrazione dello zolfo utilizzato per la polvere da sparo. Nel sud venne preferito il trasporto marittimo, non si investì in strade e ferrovie, ma nacquero la prima nave a vapore e il primo ponte di ferro. L’unità d’Italia accese nuove speranze in una vita migliore, in una nuova riforma agraria, in una quotizzazione delle terre demaniali. Ma il nuovo governo non voleva perdere l’appoggio dei borghesi e dei liberali, pronti a combattere per non perdere i privilegi e gli incarichi remunerativi acquisiti. Il popolo oppresso dalla fame, sconvolto dalle nuove tasse e dai prezzi sui beni primari, costretto alla leva obbligatoria che portava via braccia all’agricoltura e alla famiglia, si ribellò. Nacquero bande di briganti a cui aderirono braccianti disperati ed ex soldati borbonici, ex garibaldini e banditi comuni. Una vera e propria guerra civile, che costrinse lo Stato italiano a impiegare 120000 soldati per reprimere la ribellione. I ribelli saccheggiavano i paesi, l’intervento dell’esercito portò a un ulteriore saccheggio alla ricerca dei collaborazionisti, alla distruzione degli edifici, a esecuzioni sommarie e alla dispersione dei sopravvissuti. I briganti ovviamente godevano dell’incondizionata simpatia delle masse rurali, veri eroi che combattevano per la giustizia contro i soprusi dei ricchi. I proprietari dei latifondi pretendevano in alcuni giorni dell’anno l’opera gratuita del lavoratore, e spesse volte lo pagavano con prodotti della terra, difficili da esportare per mancanza di vie di comunicazione, invece di retribuirli con cereali e denaro. Nei mesi di giugno e luglio molti lavoratori si recavano nelle Puglie per raccogliere il grano per guadagnare due lire e un tozzo di pane. Oltre agli stenti e alle spese per viaggi disastrosi, tornavano a casa malati a causa della malaria. In molti paesi i bambini erano dediti all’accattonaggio o, peggio ancora, venivano ceduti a vili personaggi che lucravano sugli innocenti. Tutte queste sono le cause alla base del brigantaggio.

Nella seconda metà dell’Ottocento emersero famiglie organizzate su base regionale che sarebbero poi diventate Cosa Nostra in Sicilia, la Camorra in Campania, la Sacra Corona Unita in Puglia e la N’drangheta in Calabria. Queste organizzazioni criminali incisero in modo negativo sullo sviluppo socio-economico del territorio meridionale. Il gioco d’azzardo, la prostituzione, la droga, ma soprattutto intrallazzi con politici corrotti, aiutarono queste famiglie nella gestione di appalti, veicolarono l’immondizia pericolosa nei terreni campani, disboscarono per costruire in zone protette e archeologiche, ultimamente gestiscono la tratta degli esseri umani, provenienti da Paesi in difficoltà o in guerra. Sul finire degli anni trenta il fascismo si impegnò economicamente per accrescere i consensi verso il regime. Principalmente, la bonifica del territorio paludoso per debellare la malaria, la costruzione di strade, ferrovie e canali, i porti di Napoli e Taranto, la costruzione dell’acquedotto del Tavoliere delle Puglie. Il Regime non volle però risolvere la questione dei terreni agricoli: i contadini richiedevano l’acquisizione di terreni bonificati, ma il fascismo non voleva mettersi contro i vecchi proprietari, per non perdere il loro appoggio. L’Italia fascista fece ricorso a strumenti illegali per combattere ogni forma di malavita organizzata, quali tortura e leggi speciali: la mafia non fu del tutto sradicata, ma tenuta sotto controllo “al confino”. Nel 1943 gli Alleati stavano preparando lo sbarco in Sicilia per invadere l’Italia e trovarono un alleato nella mafia operante negli Stati Uniti, che si offrì di fornire informazioni strategiche in cambio del controllo del sud Italia. Il comando alleato accettò e così le zone via via conquistate passarono sotto il comando dei vari clan mafiosi.

Dopo la guerra il governo italiano destinò fondi allo sviluppo del Mezzogiorno, creando pure un istituto finanziario chiamato “Cassa del Mezzogiorno”. La mafia dal canto suo investì i propri proventi illeciti in attività legali. Troppo spesso gli investimenti statali vennero utilizzati male e troppo spesso servirono a creare stabilimenti industriali da parte dei grandi gruppi pubblici e privati del nord, in aree mal servite dalle infrastrutture, con la sede dirigenziale situata spesso lontana dagli impianti di produzione, ma che tuttavia approfittavano degli ingenti capitali pubblici stanziati. Le grandi aziende che aderirono a questi progetti e i partiti politici che li promuovevano approfittarono del contesto disagevole in cui operavano facendo ricorso a prassi clientelari nelle assunzioni, senza favorire produttività e dare il giusto valore alle attività imprenditoriali sul territorio. Fino alla metà degli anni ‘70 ci fu nel sud una costante crescita economica che lo avvicinò ai livelli del nord, grazie alle grandi industrie del nord e alla richiesta di manodopera dal Mezzogiorno. Gli emigranti con l’invio dei guadagni alla famiglia contribuirono a migliorare il tenore di vita delle popolazioni del sud. Lo Stato finalmente si prodigò nell’attivare dei servizi essenziali, e a partire dagli anni Ottanta l’organo giudiziario si focalizzò sulla criminalità organizzata. Attualmente ci sono problematiche da affrontare: carenze di infrastrutture, debito pubblico accumulato dalle amministrazioni precedenti, e soprattutto l’infiltrazione della malavita organizzata nella vita politica ed economica, fattore che rappresenta il principale freno alla crescita economica meridionale.

Bisogna evitare l’emigrazione di tanti giovani come nell’esperienza del passato; la valigia dovrebbe essere simbolo di viaggi e vacanze, di divertimento e non di ricerca di un bene essenziale quale il lavoro. Facciamo in modo che la valigia di cartone, legata con lo spago, e le navi dirette in America siano un ricordo del nostro tempo andato.