L’Italia dal boom economico ai nostri giorni Stampa
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La musica si diffonde nell’aria, io rimango ad ascoltare una vecchia canzone. Le parole colpiscono la mia mente, prendono vita come acquerelli, episodi messi su tela. La canzone racconta di americani appena andati via , della vita che ricomincia dopo la guerra, tutto questo nel 1950. L’Italia da ricostruire, un paese ridotto a brandelli e tanti problemi da affrontare: carenza di servizi pubblici, di scuole, di ospedali e di altre infrastrutture civili. Una nazione sconfitta e occupata da eserciti stranieri, ma in una posizione invidiabile, paese cerniera fra l’Europa occidentale, la penisola balcanica, l’Europa centrale e l’Africa settentrionale, che permette di ottenere degli aiuti economici consistenti da parte del “Piano Marshall”, valutabili in circa 1204 milioni di dollari dell’epoca.

Si erano poste, così, le basi di una crescita economica spettacolare, destinata a durare sino alla crisi petrolifera del 1973. Un ruolo fondamentale lo giocarono le industrie: la loro nascita trasformò il Bel Paese sottosviluppato e dall’economia prevalentemente agricola in una nazione competitiva. La scoperta del metano e degli idrocarburi in val Padana, la realizzazione di una moderna industria siderurgica sotto l’egida dell’IRI, permise di fornire alla rinata industria italiana acciaio a prezzi sempre più bassi. La guerra in Corea (1950-1953) ed il relativo fabbisogno di metallo e di altre materie lavorate, pur nella sua negatività, portarono avanti la crescita della nostra industria. Uno sviluppo tecnologico e una diversificazione produttiva consentirono l’ingresso dell’Italia nel Mercato Comune. Il settore industriale, nel solo triennio 1957-1960, registrò un incremento medio della produzione del 31,4%. Assai rilevante fu l’aumento produttivo nei settori in cui prevalevano i grandi gruppi: autovetture 89%, meccanica di precisione 83%, fibre tessili artificiali 66,8%. Ma va osservato che il “miracolo economico” non avrebbe avuto luogo senza il basso costo del lavoro. La disponibilità di manodopera, dovuta agli alti livelli di disoccupazione, determinò le prevedibili conseguenze sull’andamento dei salari. In questo periodo i sindacati non avevano un grande potere, non si opposero ad un aumento di produttività, e quindi di prolungamento dell’orario e del salario non adeguato. Grande importanza assunsero industrie come la Olivetti e la Fiat. Tutto questo al nord del Paese, mentre il sud continuava a vivere di agricoltura, piccole imprese familiari caratterizzate da scarsa produttività, ai margini della sussistenza, prive di rete e collegamenti con i mercati e di forme associative. La povertà, la decrescente natalità e l’alta mortalità, l’analfabetismo, di conseguenza la mancanza di preparazione lavorativa, determinarono la decisione di migrare verso il nord. Inoltre la scarsa fertilità del terreno e la riforma agraria del dopoguerra, che aveva espropriato i latifondisti e aveva suddiviso la proprietà terriera in lotti troppo piccoli, la polverizzazione della proprietà fondiaria, indussero la popolazione ad abbandonare il luogo natio.

L’occupazione al nord rappresentava un’attrattiva fortissima, tanto da superare una cultura secolare ostile a quelli migrazioni. Gli spostamenti interni accentuarono il livello di concentrazione demografica nelle città, aumentata dal 33,2 al 41,6%. Anche le zone montane subirono il progressivo spopolamento. Gli anni del boom economico furono teatro di straordinarie trasformazioni che riguardarono lo stile di vita, il linguaggio e i costumi degli italiani, accompagnati da un deciso aumento del tenore di vita delle famiglie italiane. La sicurezza di poter contare su di uno stipendio, un posto di lavoro stabile, indussero ad acquistare beni di consumo durevoli, le prime lavatrici e frigoriferi (la cui produzione era svolta soprattutto da piccole e medie imprese italiane). Anche le automobili cominciavano a diffondersi sulle strade italiane con le Fiat 600 e 500, in produzione dal 1955 al 1957. Si costruirono nuove autostrade, quella dei Laghi, la Firenze mare, la Milano-Napoli e l’autostrada del Sole. Le nuove vetture e lo sviluppo delle strade portarono gli italiani a programmare vacanze estive e invernali, sulle spiagge e sulle montagne, con i primi ingorghi e incidenti stradali.

Tuttavia, nessuno strumento ebbe un ruolo così importante, nel mutamento delle abitudini della società, quanto la televisione. Impose un uso del tempo libero a scapito delle relazioni di carattere familiare e collettivo. Le trasmissioni della RAI iniziarono il 3 gennaio 1954. Un televisore economico costava circa 200mila lire e, dato il costo il loro acquisto era limitato: le folle si radunavano nei bar per vedere Mike Bongiorno e il suo “Lascia o raddoppia?”. Ancora attualmente il televisore determina mode, cambiamenti culturali, di linguaggio, usi e costumi. Con i suoi personaggi, gli attori, i cantanti, e con la “commedia all’italiana” che diventò un genere cinematografico, espressione e specchio di una società in evoluzione fra il vecchio mondo e il nuovo. L’Italia conosceva il consumismo, ma rimaneva ancorata a vecchie tradizioni e convenzioni, rincorrendo tutto ciò che era moderno. Cominciava l’era dello spettacolo, dei cantautori e dei concerti rock.

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