L’Italia dal boom economico ai nostri giorni [2a parte]
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Nella prima parte del mio articolo ho accennato allo sviluppo e al miglioramento delle condizioni di vita della popolazione tra il 1950 e il 1962. Le famiglie spendono per mobili, abitazioni, istruzione e spettacoli, trasporti e comunicazioni. Le autovetture tra il 1931 e il 1951 contavano 240 mila unità, nel decennio 1951-1961 ci si avvia verso la motorizzazione di massa. La diffusione di beni di consumo durevoli quali automobili ed elettrodomestici rappresentano non solo un elemento trainante per l’economia, ma un fattore di profonde trasformazioni sociali e culturali. Dai lunghi viaggi estenuanti, per raggiungere località a volte dietro l’angolo, con i percorsi disseminati di piccole vetture Fiat, Lancia, alla ferrovia con mezzi sempre più evoluti e veloci. Le massaie alleggerite dai lavori pesanti con la nascita delle lavatrici, il frigorifero per la conservazione dei cibi, i prodotti e gli alimenti per l’infanzia.

L’incremento dei consumi era stato reso possibile dalla continua crescita dell’occupazione e quindi dei salari che dal 1950 al 1960 erano aumentati del 142%. In particolare, i redditi da lavoro dipendente erano passati da 4503 a 8977 miliardi di lire. Una massa imponente di risorse la cui manovra e le cui modificazioni, derivate essenzialmente dalla politica dei sindacati, influisce piuttosto notevolmente sull’intero sistema economico. In questi anni si espande un nuovo stile di vita: “il tempo libero”, dal 1956 al 1965 raddoppiano le presenze negli alberghi e i campeggi aumentano di quattro volte. Le vacanze diventano simbolo del boom, e si assiste alla nascita di sport come lo sci nautico. Tuttavia, la cultura popolare tipica del mondo contadino, certi valori e rituali tradizionali, influenzano i costumi e la psicologia collettiva. I legami di parentela, le reti di solidarietà famigliare, la raccomandazione del parroco del paese o del notabile di turno, il controllo sociale esercitato dai vicini, continuano a segnare un’ epoca per i modelli di comportamento individuali. La penisola affronta una trasformazione straordinaria e per certi versi rivoluzionaria, ma conosciuta sul piano culturale e sociale. Se gli anni ’60 sono per il “boom economico”, gli anni ’70 sfociano in un periodo chiamato “autunno caldo”. Una massiccia ondata di scioperi, di violenza e di attentati verso uomini dello Stato. La crisi petrolifera del periodo 73-76 somiglia al quadro economico del Paese; la dipendenza della nostra economia dagli idrocarburi rivela tutto il suo costo e la sua pericolosità. Si tenta una programmazione industriale, ma alla fine si arriva al salvataggio di imprese e banche in crisi. L’intervento di sostegno alle imprese si caratterizza, per una forte componente “assistenziale”: viene coinvolta principalmente la chimica di base (Montedison, Sir e Luiquichimica finiscono all’Eni). Lo Stato spera in un ritorno economico e nelle entrate percepite nel settore elettrico, purtroppo l’Enel entra in una crisi finanziaria di tale gravità che impone, nel 1973 la costituzione di un fondo di datazione. A seguito della prima crisi petrolifera tutti i paesi industrializzati, cercano nuove fonti energetiche, per ridurre la dipendenza dall’estero. L’Italia che è il paese con la massima dipendenza tra tutti quelli industrializzati, vara una serie di piani energetici, che prevedono ambiziosi programmi nucleari. Ma come al solito tutto rimane sulla carta. Si dà avvio alle cosiddette domeniche “ecologiche”, in cui tutti vanno a piedi, le targhe alterne anche nei giorni lavorativi. Con i cali dei consumi dovuti all’inflazione crescente, gli imprenditori iniziano la fuga verso altri Stati, dove la manodopera è a basso costo, e il quadro politico solido, senza intrighi e logge massoniche, come la “P2” scoperta nel 1982 dai due magistrati Giuliano Turone e Gherardo Colombo. La lunga lista degli affiliati ci lascia sconcertati: magistrati, politici, giornalisti, alti funzionari direttori dei principali quotidiani dell’epoca, tutti riuniti per acquisire notorietà, potere economico e sociale, degno di un racconto medievale. Speculazione economica, crollo della moneta nazionale, logge, terrorismo, tutto questo lascia ripercussioni sugli anni seguenti. L’Italia si risolleva, e negli anni ’80 ritorna il boom economico, il secondo, ricchezza diffusa piccole e medie imprese in un tessuto industriale e produttivo. Un periodo di prosperità che durerà un decennio. Gli anni ’90 sono caratterizzati dalla stagione giudiziaria “mani pulite” i partiti tradizionali sotto inchiesta a Milano, le accuse al leader del psi Bettino Craxi. Nonostante questo quadro infausto, Giuliano Amato vara una pesante manovra economica. Viene istituita un’odiosa tassa, l’ICI, nata per il primo anno come ISI (imposta straordinaria sugli immobili e poi denominata imposta comunale sugli immobili). Questa nuova tassa rientra nel progetto “diminuzione del debito pubblico”, impegno preso con la Comunità Europea il 7 febbraio 1992 con il cosiddetto Trattato di Maastricht, avvio verso una moneta unica e un’unità politica Europea. La manovra finanziaria del Governo Amato oltre all’introduzione dell’ICI fu particolarmente pesante ed ammontò alla somma di 90 mila miliardi di lire in un solo colpo. Incomincia la privatizzazione di aziende pubbliche, banche e industrie, ma anche Telecom ed Autostrade diventano private. Attualmente la rete autostradale del nostro Paese appartiene a banche straniere, così come la Telecom. Gli anni ’80 segnano la sconfitta del terrorismo, i responsabili delle stragi nere assicurati alla giustizia, purtroppo gli anni ’90 sono caratterizzati da un fenomeno altrettanto grave: la criminalità organizzata non è più simbolo di regioni differenti mafia (Sicilia), ’ndrangheta (Calabria), e camorra (Campania), ma più un unico gruppo compatto. La grande quantità di denaro proveniente dal traffico internazionale di droga negli anni ’80, viene utilizzato negli anni ’90 e investito in attività lecite. Il campo più ambito è l’edilizia, in alcune zone del mezzogiorno in tempi recenti, l’intera microeconomia risulta gravemente condizionata  dalla criminalità organizzata. Con questa forza economica il crimine organizzato non si accontenta più di fare il lavoro sporco, ma decide di entrare nelle istituzioni. In Sicilia, Campania, Calabria, è necessario sciogliere centinaia di amministrazioni comunali per infiltrazioni e collusioni con la criminalità organizzata; esponenti politici di nuove fazioni rappresentano il clan del candidato direttamente in questo o quel partito. Il debito pubblico, il collasso economico di buona parte delle nostre industrie, la riforma del mondo del lavoro che diventa usa e getta, la flessibilità e i contratti a termine, le privatizzazioni e la ciliegina sulla torta:  “la moneta unica, l’euro”. Cambio infelice. Il debito pubblico non è più nelle mani degli italiani ma degli investitori istituzionali e di stati emergenti che comprano titoli di altri governi, la Cina ha dichiarato di possedere una grande quantità di titoli di Stato degli USA. La competitività tra gli Stati per la produzione di beni e servizi, la globalizzazione acclamata come benessere mondiale porta manodopera a basso costo, perdita dei diritti lavorativi, chiusura di industrie superate da produttività di scarso livello. L’Italia perde i suoi marchi migliori, la fama acquisita nel tempo di territorio unico per capacità in ogni campo, di bellezza, svalutata e venduta al migliore offerente. Le industrie emigrano in altri Stati emergenti, pressate dalle tasse e dal costo delle materie prime, le piccole attività, i negozi abbassano le loro serrande per gli stessi motivi. Ma gli Italiani in tutto questo guazzabuglio cosa fanno? Poco. Accettano con rassegnazione il taglio dei servizi, la chiusura degli ospedali, i licenziamenti, la precarietà, la nascita di treni ad “alta velocità” pagati dai contribuenti, le scuole fatiscenti, le baracche dove sono costretti a vivere da anni dopo i vari terremoti. Rassegnati, qualche volta decisi a far valere i propri diritti in modo drastico e plateale in qualche trasmissione televisiva, o mettendo fine alla propria esistenza lontano da tutti. Mentre la commedia dell’arte continua a scorrere sui nostri teleschermi, con le sue litigiosità politiche, in combutta con sindacalisti privi degli idealismi iniziali, sotto lo sguardo indignato degli Italiani.