Tra gli Appennini e le Ande : Famiglie peruviane al di là e al di qua dell’Oceano Atlantico Stampa
Articoli - Società

di PierVittorio Formichetti

Che cosa pensino gli immigrati della propria esperienza migratoria e della propria condizione è un argomento che, onestamente parlando, non interessa che una minima parte della società italiana, che è molto più sensibile, viceversa, alla descrizione fattane da altri e dall’esterno, da alcuni giornalisti della cronaca che ne parlano per semplice – e magari svogliato – dovere (e quindi non sempre con cognizione di causa) ai politici che, per catturare il consenso, ne riflettono un’immagine deformata, irrealisticamente migliore (come se gli immigrati fossero tutti “santi”) o allarmisticamente peggiore (l’immigrato è sempre e comunque pericoloso per noi). 

 

A questa situazione si aggiunge il fatto che le ricerche sull’argomento, effettuate soprattutto da storici e scienziati sociali, hanno un raggio di diffusione tutt’altro che esteso, per diversi motivi, non ultimo il fatto che le pubblicazioni che ospitano i loro contributi non sono facilmente accessibili al «grande pubblico»; e anche quando i testi sono messi a disposizione su Internet (visualizzabili o scaricabili), essi non possono che rimanere ignorati dal potenziale utente che non sappia dell’esistenza del sito che li propone e non conosca chi potrebbe indicarglielo.

È il caso delle testimonianze delle famiglie immigrate dal Perù intervistate da Leslie Nancy Hernández-Nova, ricercatrice in storia e membro del Seminario Permanente Generazioni dell’Università di Torino, in parte riproposte nel saggio Le generazioni culturali fra alterità ed europeità. Memoria «vieja y nueva» nelle migrazioni attuali dal Perù all’Europa, pubblicato su “Quaderni di Storia Contemporanea”1.    

Ricostruire l’immagine delle relazioni intergenerazionali instaurate dai migranti non è facile – scrive la studiosa – poiché per farlo si deve entrare in contatto con diversi contesti (e anche con diverse memorie collettive), e poiché a ogni ondata migratoria verso un Paese straniero corrisponde una separazione generazionale, tra i genitori che restano e i figli che partono. Nell’attuale mutamento culturale generazionale globale, le migrazioni sono uno degli eventi nel quale interviene con la massima importanza il fattore intersoggettivo della socializzazione.

Identificare la propria posizione sociale e culturale attraverso la formazione, la famiglia, la traiettoria migratoria, la città natale, etc... porta a comporre i frammenti della propria genealogia identitaria in più di una sola forma, che è inoltre sia personale sia collettiva.

C’è dunque una stretta relazione tra memoria individuale e memoria collettiva, che potremmo identificare come una forma di dialogo intergenerazionale; Paul Ricoeur sosteneva che la permeabilità della memoria tra gli uni e gli altri non è comprensibile se non si tiene in conto «la memoria di sé ai più vicini, agli altri»2, come processo di trasmissione di frammenti culturali, esperienze, conoscenze e ricordi. Questo significa che, a sua volta, «la crescita di un individuo può essere considerata anche come un processo di interazione [...] con i diversi sistemi di norme (familiari, etiche, religiose, giuridiche ...) che costituiscono la trama astratta che dà forma a una società»3.

Alma – una delle donne emigrate dal Perù intervistate da Leslie Hernández – descrive una duplice e simultanea posizione generazionale, che può essere semplificata con l’idea di “vivere fra qui e là”: «Adesso ho un linguaggio che si è arricchito in italiano ma non si è arricchito in spagnolo. [...] In spagnolo questo è rimasto bloccato come una fotografia. Quel pezzo rimane lì nel tuo cuore, è tuo e non te lo può togliere nessuno, ma la crescita la fai da un’altra parte». In questo senso, Alma appartiene a una “generazione culturale” fatta di una cultura della migrazione verso l’Europa; è cosciente di avere perso parte della sua crescita culturale come peruviana e, al tempo stesso, di non poterla riacquistare lasciando da parte le altre esperienze (italiane e europee). 

È possibile identificare due successive ondate migratorie dal Perù:

• quella degli anni ’80-’90, la migrazione «de los viejos» (i vecchi);

• quella più recente, degli anni 2000-2010, «de los nuevos» (i nuovi), con un indirizzo più intensamente diretto verso l’Europa.

Nel ricordo degli immigrati e delle immigrate, i viejos sono emigrati per ricercare nuove opportunità, i nuevos per semplice necessità, per bisogno.

Emigrare comporta una separazione, ma proprio per questo, paradossalmente, è un evento condiviso, che presenta caratteristiche uniche e irripetibili, trasmissibile e identificabile come una emozione specifica differente da qualunque altra.

In generale, il tratto comune degli immigrati, viejos e nuevos, è un contesto di partenza di povertà più o meno grave; il profilo del migrante più frequente è quello di una donna giovane senza figli o di una madre single, anche se l’immagine collettiva vorrebbe che arrivino prima le madri, poi i figli con i mariti e gli altri parenti (nonni, nipoti...).

Però le prime arrivate si riconoscono come «vecchie» migranti, non solo perché sono giunte negli anni ’80, ma soprattutto perché il loro progetto migratorio era differente da quello dei «nuovi»: si considerano migranti per motivi non strettamente economici, e pongono l’accento sulla loro precedente presenza in altre metropoli (nel caso dell’Italia Roma, Milano, Firenze...);per questo motivo si sentono migranti transnazionali. 

Invece, le migranti «nuove» non hanno avuto la possibilità di costruirsi un progetto “cosmopolita”; Alma – una di loro – dice che il gruppo dei «vecchi» era il soggetto di una «migrazione colta», intendendo dire anche che le famiglie dei migranti «vecchi» potevano permettersi di sostenere le spese del viaggio; invece l’emigrazione dei «nuovi» è una «emigrazione di bisogno», un bisogno «disperato» perché «economico, sociale, culturale, politico». 

Nel gruppo dei viejos, l’evento dell’emigrazione viene elaborato ed espresso, con una tendenza alla mitizzazione, da alcune protagoniste che si descrivono come «la prima emigrata del Perù» o addirittura «di tutto il Sudamerica», come dice Magdalena. Si presentano come “anziani”, “fondatori” dell’esperienza migratoria nella loro comunità.

Un vissuto cardine dell’esperienza dei migranti (in questo caso le nuove generazioni culturali tra Perù e Italia) sono le sensazioni di radicamento e di sradicamento nel Paese d’arrivo. 

Secondo l’antropologa Vanessa Maher (autrice di Genitori migranti, Torino 2012), l’emigrazione provoca un processo di rovesciamento dei ruoli tra genitori e figli, che «non è uniforme e può essere considerato lungo un continuum, da situazioni dove l’autorità dei genitori è conservata a quelle dove invece è minata da diverse lacune di acculturazione». 

Nella comunità peruviana presente in Italia, al di là della distinzione tra viejos e nuevos, si incontrano generazioni successive, i figli riunificati e quelli nati invece in Italia, che appaiono quindi “mescolati” tra loro, indistinti.

Alma dice: «Sono un cittadino di questa città [Torino], sono una cittadina peruviana perché le mie radici sono peruviane, ma nel mio Paese io non sto facendo niente. Sì, lo sto facendo per i miei connazionali, quindi mettendo insieme questi due pezzi, ma io sono questi due pezzi. Dopo un po’ ti rompi le palle di sentirti dire “straniero”». Dunque si sente molto inserita nel contesto del Paese che la ospita, ma allo stesso tempo parla di sé come se avesse due menti in due mondi differenti, uno intimo e l’altro collettivo. Acquisendo consapevolezze differenti, si interroga sulla mancanza di frammenti culturali che facciano da trait d’union, non solo nella sua memoria, ma anche nel suo protagonismo individuale e collettivo.

I migranti possono sentirsi parte di una «nuova famiglia, che non c’entra niente con il consanguineo», partecipando ad attività tipiche della comunità peruviana, come la processione religiosa del Señor de los milagros (il Signore dei miracoli) o ad alcuni balli come La Marinera (La Marinaia); questo è un ballo tipico della costa nord del Perù, danzato da una coppia (uomo e donna) in costume locale ed è stato eseguito anche durante l’annuale Festa della Repubblica Multietnica (organizzata dal gruppo Convergenza delle Culture di Torino) il 2 giugno 2014, da una coppia di danzatori adulti e, prima di loro, con divertente maestria dagli allievi della signora Ana Cecilia Ponce-Paredes.  

Dal punto di vista della lingua, si impone per forza di cose il bilinguismo; per esempio, il figlio di Alma ha fin da piccolo potuto imparare anche l’italiano attraverso la «tata» italiana.

Un adolescente nato a Biella da padre italiano e madre peruviana, che oggi vive in Perù con la madre dopo la separazione dal marito, descrive la propria mentalità come il prodotto di «una cultura che si forma dentro un’altra cultura», una visione di sé che considera possibile in entrambi i Paesi. Ha un senso di appartenenza multipla: è un italo-peruviano nato in Italia e radicato in Perù, ma sente che la propria appartenenza può sempre accoglierne di nuove.

Julián, figlio della peruviana Magdalena e di padre italiano, per ricostruire la propria identità culturale si serve anche delle esperienze migratorie dei genitori: la madre dal Perù a Biella, il padre dalla Calabria a Torino.

Queste visioni di sé da parte delle famiglie migranti fanno riflettere sul fatto che «le nuove generazioni culturali» si formano grazie a una diversificata trasmissione delle memorie culturali, soprattutto, ma niente affatto esclusivamente, tra genitori e figli. Si tratta sia di memorie, sia di esperienze dirette, che danno ai migranti una «visione bifocale» o di «coesistenza culturale». In queste esperienze di dualità della memoria, esse trovano la difficoltà di risolvere differenti identificazioni in una sola identità. Sembra che, allo stesso tempo, non vogliano e non possano confinarsi in una sola appartenenza.

In questo senso la nozione di «cittadinanza» valica i consueti e limitativi confini giuridici, e si può parlare dell’esistenza di «cittadinanze culturali».

(Per leggere il saggio completo: www.isral.it/web/web/pubblicazioni/qsc_53_09_hernandez.pdf).  

 

Note bibliografiche:
1. “Quaderni di Storia Contemporanea” N° 53/2013, Generazioni - Istituto per la Storia della Resistenza e della Società contemporanea in provincia di Alessandria.

2. Paul Ricoeur, La memoria, la storia e l’oblio, Milano 2003, p. 87.  

3. AA. VV., Uguali e diversi. Il mondo culturale, le reti di rapporti, i lavori degli immigrati non europei a Torino, Torino, Istituto Ricerche economico-sociali del Piemonte, 1991, p. 15.