Sembra ormai diventato l’unico modo per far sentire la propria voce: dai lavoratori che rischiano la disoccupazione, agli immigrati che reclamano il permesso di soggiorno, agli studenti che chiedono una scuola degna di questo nome. Salire sopra un tetto, una gru o una torre, occupare un monumento o una ex prigione su un’isola. Tutte proteste legittime e dettate dal desiderio di vivere con dignità, cioè con i diritti che sia la Costituzione italiana, sia la Dichiarazione universale dei diritti umani aff ermano essere fondamentali per ogni essere umano.
Eppure le voci che dicono: “bisogna protestare nei limiti della legalità, questo tipo di protesta è inaccettabile!” non sono poche. Ma come si può protestare nella legalità quando qualsiasi tipo di protesta viene ignorato, quando qualsiasi confronto viene evitato, quando non c’è altro modo per provare a reclamare un diritto che viene negato e calpestato. Ma soprattutto occorrerebbe ragionare su che cosa signifi ca “legalità”. Se legalità signifi ca sottomettersi a qualsiasi decisione presa da altri e non esprimere opinioni diverse, e credere che sempre e comunque ciò che viene deciso venga fatto “per il nostro bene”. Oppure se stare nella “legalità” signifi chi pensare con la propria testa, avere dignità, informarsi e farsi un’opinione, non uniformarsi a ciò che viene deciso solo perché siamo in una democrazia (vera o presunta) e quindi già le leggi nascono (o dovrebbero nascere) da un confronto tra diversi pensieri. Gandhi stesso diceva che una legge non è un qualcosa a cui bisogna sottostare ad ogni costo, ma che è dignitoso e coraggioso lottare contro una legge quando la riteniamo ingiusta. Piuttosto occorre protestare in modo nonviolento, e tutti questi tipi di protesta lo sono. Forse i nostri politici preferirebbero che le persone esasperate andassero per le strade picchiando il primo che incontrano per sfogare la propria frustrazione, oppure che facessero atti di ancora più estrema violenza? Gli immigrati che sono saliti sulla gru a Brescia e quelli che, in solidarietà e per gli stessi motivi, hanno occupato la torre di via Imbonati a Milano, erano esasperati, stanchi e sfruttati, e si sentivano truff ati da una sanatoria che negava loro il diritto di regolarizzarsi. Sembra che chiedere di poter vivere regolarmente sul territorio sia qualcosa di illegale e di cui vergognarsi. Si sta, nella pratica, dicendo che è giusto e legale che queste persone continuino a lavorare in nero e in condizioni di sfruttamento. Questa sarebbe la legalità? Dal sito dirittipertutti capiamo meglio i motivi della protesta. “La sanatoria del 2009 poteva aiutare alcuni di noi, ma è stata studiata e gestita non per permetterci di uscire dalla forzata clandestinità, ma per far trarre il massimo benefi cio alle casse dello Stato. Siamo stati truff ati due volte: dallo Stato, e dai parassiti che in un paese come questo traggono dall’alto l’ispirazione per i loro loschi comportamenti, sicuri della propria impunità [quelli che hanno speculato sulle spalle di immigrati bisognosi]. Inoltre, alla truff a si sta aggiungendo la presa in giro: molti di noi hanno visto rifi utarsi il permesso di soggiorno perché erano stati precedentemente trovati senza documenti e dunque macchiati del reato di “clandestinità”, oppure perché alla data di presentazione della domanda, più di un anno fa, avevano un contratto a tempo determinato (cosa che ci accomuna alla stragrande maggiornaza degli italiani che trovano lavoro in questi anni di precarietà diff usa) che ora, grazie alle lungaggini delle questure, sta per scadere e dunque non viene considerato “valido” per ottenere il permesso”. Ora il sipario mediatico sulla vicenda è calato e più nulla o quasi si sa della sorte degli immigrati che hanno osato protestare per la loro dignità. Ma le proteste di questo tipo crescono sempre di più e non potranno continuare ad ignorarle. |