Restituire legalità al mercato del lavoro
Diritti violati
Scritto da Veronica Montagnese   

Le migrazioni costituiscono un fenomeno costante nella storia dell’uomo, ma le ragioni dell’abbandono dei luoghi d’origine per raggiungere contesti territoriali, sociali, economici e culturali, a volte diametralmente opposti ai propri, continuano a rappresentare un tema di grande complessità e attualità.

Movimenti massicci di popolazione attraverso le frontiere non sono una novità degli ultimi decenni, tuttavia il fenomeno della globalizzazione ha prodotto un cambiamento qualitativo: in epoche passate i flussi migratori si sviluppavano lungo un numero limitato di rotte fisse, perlopiù originate da precedenti vicende belliche o coloniali, oggi invece, siamo di fronte ad un sistema di mobilità internazionale di complessità maggiore, più difficile da regolare ed orientare, ma portatore di opportunità prima inesistenti. Purtroppo la natura in gran parte inedita delle migrazioni contemporanee e la loro valenza di potenziale risorsa globale faticano ad essere colte dalle opinioni pubbliche e a tradursi in orientamenti politici coerenti. Nelle società economicamente più fortunate continuano, infatti, a prevalere rappresentazioni unilaterali e unidimensionali delle migrazioni, ridotte a semplice “immigrazione” e spogliate della loro complessità per essere viste, a seconda dei momenti e dei contesti, come utile apporto di manodopera oppure come minaccia all’ordine pubblico, ai livelli salariali, al posto di lavoro o all’indennità nazionale[1].
La ricerca del lavoro e della felicità dei migranti si scontra perciò inevitabilmente con grandi problemi pratici, a cominciare da quelli concernenti la disponibilità e la capacità degli Stati destinatari dei flussi di fornire accoglienza e occasioni di impiego[2].
Non solo. Come emerge dall'analisi del Dipartimento Politiche Migratorie della Uil[3], l'immigrazione produce il 9 % del PIL italiano, costituendo da un lato una risorsa per famiglie, imprese e società, dall'altro una fonte di problemi che vanno affrontati.
Bisogna perciò colpire le cause dell'immigrazione irregolare ed una di queste è proprio quell'economia sommersa che non solo produce il 27 % del nostro PIL, ma che funziona anche da elemento di attrazione della clandestinità. Immigrati irregolari lavorano se c'è richiesta: a domanda di lavoro nero, corrisponde offerta di lavoro nero[4]. Questa situazione pone problemi di sicurezza e stimola la nascita di sentimenti di preoccupazione e sfiducia nei cittadini[5]. Il lavoro nero mina la solidarietà nella società e rimette in discussione le conquiste sociali, creando un clima d’incertezza che può favorire atteggiamenti razzisti quali quelli verificatisi in Calabria, a Rosarno, nel gennaio 2010.[6]
Il lavoro nero dunque esiste: problema per alcuni, vantaggio per altri, è comunque riconosciuto come un fenomeno che va contrastato. Il vero quesito è come. Intensificazione dei controlli, abbattimento dei costi fiscali, creazione di strumenti di maggiore flessibilità nel mercato del lavoro, emanazione di provvedimenti che consentano l'effettiva emersione dei lavoratori stranieri costretti all'esposizione a condizioni di grave sfruttamento dalla necessità o dal ricatto, sono alcune delle proposte e dei temi principali che ruotano attorno alle politiche di lotta al lavoro nero. Politiche che, per essere efficaci, richiedono un ampio sostegno sociale soprattutto laddove il fenomeno dello sfruttamento lavorativo si intreccia inestricabilmente con quello della tratta e dell’approfittamento della condizione di irregolarità degli stranieri.
L’introduzione[7] del reato di permanenza illegale dello straniero extracomunitario (legge n. 94/2009) non ha certamente contribuito allo scioglimento di questo legame, ma ha creato nuovi ostacoli nella lotta alla schiavitù e al lavoro nero[8]. La mancanza del permesso di soggiorno e la relativa esposizione dei lavoratori irregolari ai noti provvedimenti sanzionatori costituiscono, ictu oculi, un forte deterrente alla denuncia. Questo, essendo indispensabile la cooperazione delle vittime per un’attività di adeguato contrasto, di fatto, rende maggiormente inaccessibile il fenomeno del lavoro nero.
Nella prassi amministrativa e giudiziaria, infatti, accade che il lavoratore straniero e irregolare che denunci il proprio sfruttatore sia comunque sottoposto ad una sanzione penale[9] con un procedimento davanti al Giudice di Pace[10] in parte mutuato dal rito direttissimo e in parte dalla disciplina del giudizio immediato.[11] Dall’altro lato l’azione penale relativa al denunciato sfruttamento lavorativo segue il proprio lungo ed incerto corso, potendo anche risultare archiviata a seguito della avvenuta esecuzione dell’espulsione dello straniero. Non solo. Sussiste anche un drastico divario tra il numero dei procedimenti penali e dei provvedimenti amministrativi connessi alla condizione irregolare di soggiorno da un lato, ed il numero dei procedimenti penali a carico dei datori di lavoro per occupazione illegale di lavoratori privi di permesso di soggiorno dall’altro.
È chiaro dunque che in una situazione, quale è quella attuale, il tentativo di reagire per vie legali venga percepito dalle vittime come un sforzo non solo irragionevole, ma anche dannoso perché espone l'interessato a danni ulteriori e persino maggiori di quelli già subìti.
Occorre però rilevare che la sentenza della Corte di Giustizia Europea del 28 aprile 2011[12] ha comportato notevoli cambiamenti nel nostro ordinamento in materia di espulsioni.
Con tale sentenza la Corte di giustizia dell’Unione ha statuito, in risposta a un quesito pregiudiziale di interpretazione sottopostole dalla Corte d’Appello di Trento, che “la direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 16 dicembre 2008, 2008/115/CE, recante norme e procedure comuni applicabili negli Stati membri al rimpatrio di cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare, in particolare i suoi artt. 15 e 16, deve essere interpretata nel senso che essa osta ad una normativa di uno Stato membro, come quella in discussione nel procedimento principale, che preveda l’irrogazione della pena della reclusione al cittadino di un paese terzo il cui soggiorno sia irregolare per la sola ragione che questi, in violazione di un ordine di lasciare entro un determinato termine il territorio di tale Stato, permane in detto territorio senza giustificato motivo”. La criminalizzazione dello straniero irregolare che non abbia osservato l’ordine di allontanamento sottrae risorse preziose allo Stato che potrebbero essere invece investite per perseguire direttamente l’obiettivo del rimpatrio, rivelandosi anzi, come sottolinea la Corte, disfunzionale rispetto ad esso; per di più, con un costo, in termini di sacrificio del diritto fondamentale alla libertà personale dello straniero, del tutto sproporzionato rispetto al pur legittimo scopo perseguito.
Accanto al lavoro interpretativo della giurisprudenza italiana ed europea occorre altresì una più stringente e severa verifica in sede di accertamenti ispettivi che favorisca un più ampio e favorevole esercizio dei poteri discrezionali attribuiti alle questure ed all'autorità giudiziaria ai fini della concessione del relativo titolo di soggiorno.
Non basta più dunque, non può più essere sufficiente, applicare più severamente e in maniera più efficace i reati dei datori di lavoro che sfruttano i migranti, occorre avere chiaro quale sia il fine delle norme, quale bene giuridico si vuole tutelare. Se il bisogno di pena nasce dall’esigenza di garantire il rispetto dell’ordine pubblico, sicuramente violabile dai flussi incontrollati di stranieri, meritano la medesima repressione le condotte tanto di chi favorisce l’ingresso e la permanenza o offre lavoro allo straniero irregolare quanto di chi entra nel territorio. Se, invece, l’obiettivo politico è quello di combattere il condannabile fenomeno dello sfruttamento di individui in condizioni di bisogno non ha più senso punire il clandestino. In tale senso, dall’Europa, ma anche dalla giurisprudenza italiana provengono segnali di cambiamento, segni di una effettiva e concreta volontà di operare per sconfiggere il fenomeno dello sfruttamento lavorativo, e non per punire lo straniero per il solo fatto di essere tale.
Bisogna però saper cogliere questi richiami e agire affinché non restino isolati.
E poi bisogna sviluppare politiche sociali adeguate, prevenire, promuovere la cultura della legalità affinché le vittime dello sfruttamento lavorativo non debbano più vivere in condizioni che le inducano ad una pur involontaria omertà nei confronti dei datori di lavoro, spesso rafforzata proprio nelle situazioni in cui sono più pesanti le condizioni del loro sfruttamento.
Occorre invertire questa spirale perversa, per restituire legalità al mercato del lavoro e soprattutto per garantire un minimo di diritti e di dignità ai lavoratori migranti[13] ai quali spetta il godimento di tutti i diritti inviolabili, attribuiti ex articolo 2 Cost. all'uomo e non al cittadino.
Occorre potenziare i controlli sul lavoro avvalendosi di possibilità concrete di regolarizzazione successiva offerta agli immigrati che denuncino i datori di lavoro che li sfruttano, soprattutto nei settori dell'agricoltura e dell'edilizia maggiormente affetti da queste problematiche.
Occorre indignarsi di fronte a inaccettabili situazioni sintomo grave arretramento politico e sociale sul piano delle libertà e dei diritti fondamentali della persona.

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[1] PASTORE F., Dobbiamo temere le migrazioni?, Laterza, 2004.
[2] Sul tema dell’immigrazione in Italia, COTESTA V., Sociologia dei conflitti etnici: razzismo, immigrazione e società multiculturale, Laterza, 2001; IRACI FEDELI L. Razzismo e immigrazione: il caso Italia, 1990; SERGI N. (a cura di), L’immigrazione straniera in Italia, Edizioni Lavoro, 1987.
[3] www.uil.it/immigrazione/Pacchetto-Sicurezza-UIL.pdf
[4] Direttiva 2009/52/CE: Considerando n. 2 “Un fattore fondamentale di richiamo dell'immigrazione illegale nell'Unione europea è la possibilità di trovare lavoro pur non avendo lo status giuridico richiesto. È quindi opportuno che l'azione contro l'immigrazione e il soggiorno illegali comporti misure per contrastare tale fattore di richiamo."
[5] “Situazioni che innescano meccanismi pericolosi, alimentando dinamiche di sfruttamento e favorendo l’insorgere di conflitti razziali tra immigrati e italiani che vedono minacciati i propri posti di lavoro e i propri privilegi sociali.” CENTONZE S. (a cura di) Diritto penale dell’immigrazione Aspetti penali e sostanziali, Giappichelli, 2010.
[6] Dossier Rosarno in Narcomafie n. 2/2010. Una Stagione all'inferno, Rapporto sulle condizioni degli immigrati impiegati in agricoltura nelle regioni del Sud Italia. A cura di Medici Senza Frontiere.
[7] Ex lege 94/2009.
[8] Come si legge in un recente documento ASGI del 09.01.2010, La tolleranza della schiavitù in Italia deve cessare,in www.asgi.it.
[9] Vi è infatti il rischio che in presenza di straniero sprovvisto di un titolo di soggiorno il pubblico ufficiale o l’incaricato di pubblico servizio ritenga di trovarsi di fronte ad uno straniero che ha commesso il reato punito dall’art. 10 bis T.U., il che comporta l’obbligo di denuncia ai sensi degli artt. 331 e 332 c.p.p., la cui omissione sarebbe altrettanto punita come reato dagli artt. 361 e 362 c.p.
[10] L’art. 10 bis fa espresso riferimento agli artt. 20 bis, 20 ter e 32 bis del D.Lgs 274/2000
[11] Il giudizio a presentazione immediata si configura soprattutto come speciale rito direttissimo, nel quale le due distinte tipologie di celebrazione si presentano ribaltate rispetto alla previsione del codice di procedura penale: poiché la flagranza è sganciata dall’arresto, assume prevalenza la forma della citazione nei quindici giorni successivi, rispetto al tipico procedimento di convalida e contestuale giudizio entro 48 ore, al quale, invece, si correla con le dovute differenze, la forma residuale della conduzione immediata all’udienza nel caso del soggetto sottoposto a misure limitative o restrittive della libertà personale.
[12] Corte di Giustizia dell'Unione europea, sent. 28 aprile 2011, Hassen El Dridi, causa C-61/11 PPU (direttiva rimpatri e inosservanza dell'ordine di allontanamento dello straniero)
[13] A. MANGANO Gli africani salveranno l’Italia. Tra la rivolta di Rosarno e razzismo quotidiano, la resistenza delle mafie dei lavoratori stranieri. In un’Italia che tollera ormai troppo, il valore irriducibile di chi non accetta le regole del sopruso. E che può cambiare il Paese. BUR, 2010.