Mi capita spesso di pensare che se fossi in un altro paese, dove non sono nato, dove non ho giocato con gli altri bambini e le persone mi guardassero con diffidenza, mi giudicassero per chi sono e non per cosa ho fatto e mi chiudessero in un centro di identificazione ed espulsione (CIE) ne soffrirei. Se poi migrassi in un paese dove il governo mi perseguita, perché sono povero, anche se il paese da cui provengo è ricco di petrolio, di gas e di manodopera a basso costo da sfruttare nelle campagne dagli “imprenditori” affiliati alla ‘ndrangheta, capirei di essere arrivato in Italia.
Qui, i diritti per le persone come me sono pochi e le conquiste sui diritti sono spesso combattute nel silenzio e nell’indifferenza delle persone di questo paese, in apparenza meraviglioso, ma dove le persone non lottano efficacemente per il rispetto di se stessi e degli altri. Cerco solo un vita migliore lontano dalla guerra, dalla sofferenza, perché voglio vivere come un essere umano e nessuno può negarmi questo diritto. Purtroppo ho scoperto che non è così. Ho scoperto che essere straniero in questo paese significa finire in un CIE perché non si ha il visto di ingresso o il permesso di soggiorno rinnovato. Per 18 mesi mi viene negata la libertà. La vita, che volevo migliorare, peggiora. Certo, nessuno può sapere e forse neanche immagina che cosa significa restare qui, chiuso in una baracca con un letto per dormire, senza poter fare quelle piccole cose semplici che sono la vita di tutti giorni. Non avrei mai creduto che mi potesse mancare il camminare per strada, prendere il te, pregare o qualunque altro gesto come facevo prima. Sono operazioni semplici che le persone fanno e che sono parte integrante del vivere quotidiano. Quando uscirò da qui il mio futuro sarà tornare nel paese dal quale sono fuggito per sopravvivere alla violenza e alla fame. Ho trovato altra violenza sulla mia strada. Riuscite a capire come mi sento? Non lo so, ma temo che molti di voi neanche riescono ad immaginare cosa provo o, se ci riescono, fanno finta di nulla perché comprendere la mia sofferenza, percepirla, fa stare male. Oh certo, è la legge, la vostra legge che mi ha messo qui, io ho commesso un reato e ora sono qui in attesa, come tanti, di un provvedimento di espulsione. Ma l’unico, ripeto l’unico, reato che ho commesso è quello di essere straniero, di essere nato nel posto sbagliato, cioè non in un ricco paese occidentale. Le vostre leggi si fanno sempre più dure con le persone senza documenti in regola, ma quale futuro possiamo costruire noi, esseri umani come voi, se in nessun luogo ci è concesso di vivere in pace? Un futuro di isolamento, sofferenza, disagio e sfruttamento. Eh sì, perché essere senza documenti validi per lo Stato italiano, ci porta spesso ad essere fuori legge; a volte lavoriamo in nero anche se preferiremmo, come tutti, avere un contratto regolare, a volte commettiamo reati per sopravvivere, a volte finiamo nelle mani delle organizzazioni criminali che in questo Bel Paese controllano fino ai posti di potere della politica, contando sulla vostra indifferenza, sulla vostra ignoranza, sulla vostra paura o sulla vostra convinzione di impotenza. Io sono solo, non ho amici, non ancora, parenti, qualcuno a cui affidarmi e a cui chiedere aiuto. Forse, dietro le finestre nelle case lontane che vedo dalla “mia” stanza del CIE, qualcuno guarda verso questo carcere e pensa a come vivono le persone in questo luogo. Qualcuno pensa a tutte le persone come me che vivono qui, alla nostra umanità e forse si chiede perché siamo qui. Nasce spesso in me la voglia di fuggire e ribellarmi a tutto questo, di violare questa legge ingiusta che non ferma la violenza delle organizzazioni criminali che ci sfruttano, ma punisce solo chi cerca una vita diversa. Ho conosciuto molte persone in questo posto, persone che la vostra legge definisce irregolari, perché gli manca l’autorizzazione scritta a restare in Italia. Hanno perso il lavoro e, con esso, la possibilità di vivere in questo paese. Esistono le leggi e vanno rispettate. Questo mi ha detto l’avvocato, e per quello che ho capito tutte le vostre leggi che si occupano di noi non mirano all’accoglienza ma al controllo, pronti ad agire su di noi per rispedirci nel nostro paese di origine. A quale futuro ci destinate mandandoci via, ci avete mai pensato? Le persone nascono libere, sono altre persone che le rendono schiave con le loro regole. Questo capita anche a voi. Da quando vivo qui, il tempo per pensare non mi manca e ho capito che fuori di qui tante persone sono in difficoltà, perché perdono il lavoro e quando ce l’hanno il datore dei lavoro, piccolo o grande che sia, cerca di approfittare di loro. Tutti noi siamo considerati ricattabili perché senza lavoro non si guadagna denaro e senza denaro non si può vivere con dignità. Spesso accettiamo soprusi come quello di lavorare a 4 euro l’ora, in nero, pur di poter sopravvivere. Sotto forme diverse e con leggi diverse noi - “il popolo sovrano”, come ci definiscono i politici per comodità, per illuderci che contiamo qualcosa, - veniamo discriminati e manipolati. In tutto il mondo sta succedendo questo, oggi. Gli speculatori regolano tutto, persino la politica, perché molti politici non hanno scrupoli a speculare sulle persone. Abbiamo il dovere di ribellarci a tutto questo e possiamo farlo se agiamo insieme all’interno di una rivoluzione nonviolenta. Se riusciremo a vivere la nonviolenza nel pensiero e nelle azioni sorgerà una società interrazziale fondata sulla libertà di tutti (Martin Luther King). |