Nel mondo per cambiare un periodo storico difficile è stato necessario che le persone si unissero per fare la rivoluzione contro chi, fino a quel momento, ha condizionato le loro vite. Finché si può si va avanti, ma quando la sopportazione viene meno scatta la molla che tratteneva la rabbia, l’odio e la frustrazione e la violenza diventa la padrona dell’animo umano che si lascia andare ad azioni repressive contro quelli che considera i diretti responsabili del disagio sociale.
Di solito chi agisce così, probabilmente ha dovuto sopportare forme di violenza che io definisco “sottili”, come quella economica, morale e sociale che non lasciano segni evidenti sul corpo ma segnano in maniera indelebile lo spirito. Noi stessi, come popolo, abbiamo sopportato per un ventennio il fascismo e nonostante ciò siamo riusciti a metterlo alle corde, siamo stati sconfitti e abbiamo pagato, per la nostra alleanza con Hitler, un prezzo molto alto. Ribellarsi è giusto ma il modo in cui si agisce è fondamentale per interrompere la spirale d’odio e di violenza che ha segnato la nostra storia di esseri umani. Oggi, anno 2011, il mondo è stato testimone di una crescente violenza al sorgere della primavera araba in buona parte dell’Africa. Queste rivoluzioni sono iniziate con lo spargimento di sangue non solo dei dittatori e dei loro sostenitori ma anche di quelle persone che, stanche di subire, si sono trasformate da vittime in carnefici. L’aver ignorato, rimandato ogni forma di disobbedienza civile è costato molto caro in termini di vite umane ai “ribelli” che hanno preteso il rispetto della propria identità di esseri umani. Sono convinto che se avessero agito tempestivamente di fronte ad ogni ingiustizia oggi, per riconquistare la libertà e la dignità, le armi non sarebbero state necessarie. La Libia, dove anche l’Italia ha fatto la sua parte, è l’esempio, a mio avviso, di una guerra civile molto sanguinosa per la liberazione da un dittatore. Una guerra civile fra tribù, visto che il governo libico non è mai stato un governo condiviso dalle persone ma è nato attraverso un colpo di stato 42 anni fa. In questa guerra gli stati europei hanno dato il loro contributo militare per essere partecipi, anche con il nuovo governo che verrà eletto tra otto mesi, della spartizione delle ricchezze. Non dobbiamo dimenticare che l’Italia con il trattato di amicizia del 2008 si era riservata lo sfruttamento, attraverso l’Eni, delle risorse energetiche quali petrolio e gas. La Francia non è stata da meno e il suo intervento, prima del via da parte dell’Onu, è servito a mettersi in buona luce con il governo di transizione per godere dei privilegi sullo sfruttamento delle risorse libiche in tema di energia. La rivoluzione libica si è conclusa con la morte del dittatore Gheddafi, ma non ha posto fine alla lotta per il prestigio ed il potere e soprattutto non ha posto fine gli accordi che gli Stati europei hanno stretto per ripagarsi degli sforzi bellici sopportati in termini economici. Pensiamo per un attimo a cosa sarebbe potuto succedere se 40 anni fa fosse nata una rivoluzione nonviolenta. È molto probabile che oggi molte persone non avrebbero perso la vita. Che fine faranno, ora che le forze militari dell’Europa e quelle americane hanno lasciato libero il campo, i prigionieri politici? Verranno forse torturati ed uccisi, oppure il governo di transizione, riuscirà a limitare le forme di vendetta sugli sconfitti? Non dovrebbero pensare di essere vincitori con il diritto di vita o di morte verso i vinti, ma tornare nel ruolo di esseri umani con il senso della riconciliazione per tentare di costruire un futuro senza violenza. Certo, è difficile mettere le basi in Libia di una società nonviolenta ove le rivalità interne sono ancora molte e vengono alimentate da alcuni paesi europei come Italia e Francia che vogliono essere partner economici del nuovo stato. L’economia è una forma di espressione della violenza che il nostro mondo non vede, perché tutti i governi si affrettano a mascherarla in ogni modo al fine di evitare che le persone diventino consapevoli dei continui inganni della classe politica e degli imprenditori nei loro confronti, e che decidano di mettere fine allo sfruttamento che questi ultimi mettono in atto a scapito della maggioranza delle persone nel mondo. Noi possiamo dire basta fin da oggi a questa forma di violenza con la disobbedienza civile. Verremmo attaccati facendolo perché dovremmo fare disobbedienza a tutte quelle leggi che soprattutto in questo periodo vengono approvate dal governo senza nessuna opposizione, se non a parole, dalle restanti forze politiche e che eludono i nostri diritti quali quello del lavoro. Testimone di questo è il provvedimento sui licenziamenti facili che il ministro Sacconi si ostina a difendere spacciandolo per un provvedimento che faciliterà le assunzioni in quanto decade il concetto del lavoro stabile. Nella sostanza questo concetto è già caduto molti anni, ma oggi la legge ne ha autorizzato la cancellazione. Noi della Convergenza delle Culture nel 2009 abbiamo promosso la Marcia Mondiale per la Pace e Nonviolenza per mettere fine ad ogni forma di violenza che opprime ogni essere umano e non ci fermeremo finché questo obiettivo non sarà raggiunto. |