“Ambasciator non porta pena”, è un antico modo di dire che viene ancora usato per indicare che non ha alcuna colpa colui che accetta di comunicare delle cose spiacevoli che altri hanno deciso al posto suo, a dispetto delle ideologie, delle politiche, delle usanze e credenze vigenti. I detentori del potere ci narcotizzano e ci fanno credere che i loro comportamenti sono buoni e giusti, anche quando sono altamente violenti. Fortunatamente eistono molti enti e persone che denunciano e rendono pubbliche tali violenze, cercando di far uscire le persone dall’indifferenza.
Yousef Nadarkhani, pastore cristiano, è stato arrestato dalle autorità iraniane il 13 ottobre 2009. è stato condannato a morte per apostasia nel settembre 2010. La sentenza è stata poi ribaltata dalla corte suprema nel luglio del 2011. Il suo caso è ritornato a un tribunale inferiore per un nuovo processo, nonostante l’apostasia non venga riconosciuta come reato dalla legge iraniana. Durante i quattro giorni di processo, tenutosi l’ultima settimana di settembre, Yousef Nadarkhani si è rifiutato di abiurare la sua fede cristiana, pur sapendo che in caso di condanna avrebbe potuto subire la pena capitale. A seguito di una protesta internazionale sul suo caso, un funzionario iraniano vicino alle guardie rivoluzionarie, ha comunicato il 30 settembre 2011 che nei confronti di Yousef non pendono accuse legate alla sua fede, ma di “estorsione e stupro”. Il suo avvocato ha negato che accuse di questo tipo siano state lette durante le sessioni del processo a cui era presente, né tali accuse vengono menzionate nei documenti del tribunale. Documenti visionati da Amnesty International. Yousef è dunque un prigioniero di coscienza, perché viene detenuto unicamente a causa del suo orientamento religioso. L’appello per salvare la vita a quest’uomo è presente nel sito internet: www.amnesty.it/iran_pena_di_morte_apostasia.
Il 7 agosto 2011, nel distretto di Churu, nel Rajasthan, in India, veniva massacrato un povero asinello. Massacrato ed ucciso a colpi di bulldozer, poiché alcuni abitanti della zona avevano segnalato un possibile contagio del virus dellarabbia. L’asinello poco prima era stato visto vicino al cadavere di un cane morto, presumibilmente della malattia suddetta. Una legge del 1960 obbligherebbe le autorità ad approfondire l’eventuale contagio mediante un parere medico, e nel caso di conferma della patologia, autorizzerebbe l’uccisione dell’animale mediante metodi non cruenti. Tutto ciò non è avvenuto, e il video sul sito del PETA – People for the Ethical treatment of Animals (https://secure.peta.org/site/Advocacy?cmd=display&page=UserAction&id=3801) lo dimostra chiaramente. Il vilipendio della vita, in quanto tale, è all’apice del suo attuale dominio in alcune e circoscritte realtà, fortunatamente. In questo video si vede il povero animaletto che ignaro di ciò che sta accadendo, sembra dire: “perché?”.
Filep Karma, in Indonesia, sta scontando 15 anni di carcere per aver preso parte ad una cerimonia annuale in cui è stata sollevata la bandiera dell’indipendenza della Papua. Era una delle 200 persone che ha preso parte alla pacifica cerimonia di Abepura, provincia di Papua, il primo dicembre 2004. La polizia ha risposto all’alzabandiera della “Stella del Mattino”, simbolo vietato dell’indipendenza di Papua, sparando colpi in aria di avvertimento e picchiando i presenti con i manganelli. Karma Filep è stato arrestato e picchiato dalla polizia sul luogo della cerimonia. Successivamente è stato accusato di “ribellione” e il 26 maggio 2005 è stato condannato a 15 anni di carcere. Amnesty international lo considera un prigioniero di coscienza, e chiede il suo rilascio immediato. http://www.amnesty.it/indonesia_filep_karma.
Ho voluto elencare queste tre diverse incresciose situazioni che hanno un comune denominatore: il diritto negato. Il sistema colpisce infatti sempre il soggetto più debole. Nel primo caso si tratta di un uomo che ritiene indispensabile continuare a professare il proprio credo religioso, in un paese dove ancora incombe la pena di morte anche per motivi religiosi. Ciò che professa rispecchia il suo personale diritto garantito dalla Convenzione internazionale dei diritti dell’uomo, che non ha origini religiose di nessun tipo. Nel secondo caso, un asinello, che buona parte della società odierna considera quasi ininfluente o appena interessante. La negazione del diritto ad esistere che viene manifestata platealmente con un atto estremamente violento e sadico. L’essere umano che al posto di difendere il più debole ed indifeso, lo “gestisce” con inaudita e spietata violenza, dimenticando che l’essere senziente che viene abbattuto deriva dalla stessa anima del Mondo, alla quale tutti noi apparteniamo. Il terzo caso racconta di un uomo che non appartiene e non viene accostato a nessuna religione. La discriminazione da parte del potere attuale e residuo del luogo in cui egli vive ha origine dall’esposizione pacifica di un simbolo prettamente laico e concreto: la bandiera proibita dal potere locale. Concludendo: la discriminazione non ha altro metro di misura che l’interesse monetario del momento, garantito in ogni luogo da legislazioni adeguatamente pensate e volute dai poteri forti. In parole semplici, la discriminazione e la violenza contro il più debole devono essere sempre incondizionatamente combattute. Soprattutto da chi vuole prospettare una convergenza di culture atta ad un’umanizzazione della Terra ed a una consapevolezza spiritualmente e concretamente superiore. |