22 novembre 2011: il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano sollecita con pacatezza, il Parlamento italiano affinché affronti e risolva il tema che si trascina da due generazioni: la cittadinanza dei figli di immigrati nati in Italia.
Ha scelto il momento giusto per mettere sul tavolo questo problema ed ha suscitato opinioni contrapposte tra i vari partiti. Opinioni che vi risparmio perché sono più polemica politica che tentativo di adoperarsi per garantire un diritto fondamentale per accedere a tutti gli altri: la cittadinanza italiana. Forse non vi è venuto in mente che essere cittadino italiano garantisce non solo la possibilità di votare compiuto il diciottesimo anno di età, ma permette di sviluppare la propria personalità in ogni singola parte. Ogni cittadino, divenuto italiano, ha la protezione della Costituzione per sviluppare le proprie idee e le proprie credenze. Purtroppo però nonostante i principi costituzionali esiste ancora la forma discriminatoria di essere cittadini italiani per diritto di sangue senza dover assolvere alcuna pratica burocratica, mentre se si nasce in Italia da genitori entrambi stranieri, la cittadinanza può essere acquisita solo se si vive ininterrottamente per 18 anni sul territorio italiano e si richiede, non oltre un anno, dal compimento della maggiore età, di diventare cittadino italiano. Ed ecco che, secondo me, viene violato il terzo principio fondamentale della Costituzione Italiana “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’uguaglianza dei cittadini impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese.” Questa discriminazione prende corpo e forma attraverso una legge che, a mio avviso, limita la libertà dell’essere umano e non ne favorisce l’integrazione dopo quest’ultimo ha vissuto, costruendo un vita, dei progetti e non si sente affatto diverso dalle altre persone, italiane da generazioni, con cui ha condiviso la cultura attraverso la musica, la poesia, la letteratura e la cucina. Non esiste nessuna differenza tra loro se non quella sancita da una legge la n. 91 del 5 febbraio 1992 e dal suo regolamento di esecuzione (D.P.R. Del 12 ottobre 1993 n. 572. È curioso come oggi (2011) siano in vigore norme che sono state pensate nel 1912 e racchiuse nella legge numero 555 del 13 giugno di quell’anno. Legge entrata in vigore prima della Costituzione Italiana, che è stata ripresa quasi integralmente dalla legge n. 91 del 5 febbraio 1992. I politici stanno cercando di dare un senso alla vita di persone che, sono qui da più di vent’anni, attraverso leggi promulgate al momento della loro nascita che non possono tenere conto della vita vissuta perché sono frutto di pregiudizi e discriminazioni razziali. Vivere secondo coscienza è impedire che un essere umano venga considerato una persona di serie a, o b, o c, o d. Vi sembra strano che questo possa avvenire? Bene vi cito testualmente le casistiche della legge del 1992 perché possiate avere le idee più chiare. La cittadinanza italiana può essere concessa con decreto del Presidente della Repubblica, sentito il Consiglio di Stato, su proposta del Ministero dell’interno: a) allo straniero del quale il padre o la madre o uno degli ascendenti in linea retta di secondo grado sono stati cittadini per nascita... b) allo straniero maggiorenne adottato da cittadino italiano che risiede legalmente nel territorio della Repubblica da almeno cinque anni dal momento dell’adozione; c) allo straniero che ha prestato servizio, anche all’estero, per almeno cinque anni alle dipendenze dello Stato; d) al cittadino di uno Stato membro delle Comunità europee se risiede legalmente da almeno quattro anni nel territorio della Repubblica. Per capire meglio bisogna precisare cosa vuol dire legalmente: non perdere il lavoro che fa scadere il permesso di soggiorno mettendo in pericolo la possibilità di ottenere la cittadinanza. Avete notato al punto d come un persona nata nella comunità europea non sia chiamato straniero ma bensì cittadino e venga quindi discriminato per il luogo dal quale proviene, per le sue origini. Eppure in linea di principio “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’uguaglianza dei cittadini impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese.” Abbiamo molto lavoro da fare per dare ad ogni persona gli stessi diritti e garantirgli libertà e uguaglianza che metterà gli esseri umani tutti sullo stesso livello. Chissà se il Presidente della Repubblica ha voluto “approfittare” della presenza di un ministro dell’Interno che non fosse leghista per proporre al Parlamento e al Governo di affrontare il problema della cittadinanza ai figli degli immigrati nati in Italia. “I dati presentati qui di seguito, sono tratti dal rapporto sull’immigrazione del 2010, consentono di ottenere una descrizione sufficientemente esaustiva della consistenza numerica degli alunni con cittadinanza non italiana, ma nati in Italia, e la relativa incidenza numerica e percentuale in relazione alla rimanente parte della popolazione scolastica piemontese nell’anno scolastico 2009/2010. Negli ultimi anni, l’immigrazione è divenuta ormai un elemento “costitutivo” della nostra società, nella quale risulta fondamentale cercare di realizzare, in modo completo e sostanziale, il processo di integrazione. Oggi, l’immigrazione ha cambiato il suo connotato tradizionale di spostamento temporaneo di persone, assumendo una nuova identità, caratterizzata dall’insediamento durevole e spesso definitivo, trasformando, quindi, l’immigrazione per lavoro in immigrazioni di popolamento. Infatti, gli immigrati non giungono più soli, ma accompagnati anche dalle loro famiglie. Per ognuno di loro non è più sufficiente trovare solo un lavoro, ma diventa fondamentale essere accolto come se fosse sempre stato un membro della società in cui si è trasferito, parte integrante del territorio e della struttura sociale che lo accoglie, contribuendone alla crescita umana ed economica della stessa. I due processi paralleli di immigrazione con la famiglia e di ricongiungimento familiare per chi si era trasferito da solo, coinvolgono anche gli adolescenti e i bambini; inoltre, l’incremento delle nascite in famiglie straniere già presenti sul territorio nazionale, fa emergere problematiche nuove che necessariamente devono essere affrontate dalle istituzioni preposte (Massa, 2010). I dati analizzati sono stati raccolti dal Ministero dell’Istruzione dell’Università e della Ricerca (M.I.U.R.) con la collaborazione dell’Ufficio Scolastico Regionale per il Piemonte e sono stati acquisiti direttamente presso tutte le scuole statali e paritarie della regione attraverso un procedimento di monitoraggio chiamato rilevazione integrativa (A.A. Massa, 2003). Le informazioni di seguito riportate integrano e completano quelle già presentate nell’edizione del Rapporto Immigrazione dell’anno scorso nel quale sono stati presentati gli unici dati disponibili riferiti agli anni scolastici 2007/2008 e 2008/2009. Infatti, considerata la crescita e l’irrobustimento numerico delle seconde generazioni nelle scuole dell’infanzia e nella primaria e tenuto conto dell’aumento dei ricongiungimenti famigliari, il M.I.U.R. solo a partire dall’anno scolastico 2007/2008, unitamente alle altre informazioni già presenti nel questionario della rilevazione integrativa, richiede anche la consistenza e il numero di alunni stranieri entrati nel sistema scolastico nell’anno di acquisizione. Si considerano alunni di seconda generazione solo quelli nati in Italia da genitori con cittadinanza non italiana che frequentano le scuole della regione alla data del 30 ottobre, e si escludono tutti gli alunni definiti di generazione 1,75, ragazzi nati all’estero e immigrati in Italia in età prescolare (0-5 anni), di generazione 1,5, ragazzi stranieri immigrati in età comprese nella fascia 6-12 anni, e di generazione 1,25, i giovani stranieri immigrati in età compresa tra i 13 e i 17 anni, che invece vengono considerati genericamente come alunni con cittadinanza non italiana (Massa 2010). In Piemonte, nell’anno scolastico 2009/2010, gli alunni con cittadinanza non italiana nati in Italia che frequentano le scuole della regione sono 26.591 e rappresentano il 41% del totale degli alunni con cittadinanza non italiana e, per l’86%, popolano le scuole dell’infanzia e le classi della scuola primaria; infatti, il 40% frequenta la scuola dell’infanzia, il 46% la primarie e complessivamente solo il 14% le scuole secondarie di primo e secondo grado”. Prepariamoci ad accogliere i nuovi cittadini italiani aiutandoli a conseguire la cittadinanza italiana perché sono parte della nostra vita, superando insieme tutti quegli ostacoli che politiche sbagliate mettono in campo. |