Fantasie orientali (e occidentali) |
Libri |
Scritto da Piervittorio Formichetti |
L'Harem e l’Occidente nasce dall’incontro che Fatema Mernissi, sociologa nata in Marocco nella famosa città di Fez, ha con i giornalisti europei e nordamericani per la presentazione di un suo precedente libro. Raccontando di essere venuta al mondo in un harem, nota le reazioni incredule e imbarazzate dei suoi interlocutori e capisce di trovarsi in una di quelle situazioni che gli antropologi chiamerebbero di “shock culturale”. Discutendo con i giornalisti incuriositi Fatema capisce che per gli occidentali l’harem è più che altro un’immagine, come quelle dei dipinti di Ingres o di Delacroix, o dei fi lm di Hollywood che “esibiscono danzatrici del ventre in ventre in vesti succinte, liete di servire i loro padroni”. Emerge così che tra l’harem islamico e quello “occidentale” c’è ben poco in comune! Per l’autrice infatti l’harem è prima di tutto un luogo, un palazzo di pietre e cemento (oggi adibito a luogo di relaz pubblico, dove non c’è nessuno spazio per le manifestazioni erotiche e ci si spoglia soltanto nell’”hammam”, il bagno), con alte mura costruite nei tempi passati da Califfi , sultani o ricchi mercanti, forse proprio per paura che le loro donne sfuggissero al loro controllo dunque le donne erano in realtà considerate capaci, astute e inaff errabili! Infatti, racconta la Mernissi, nelle fantasie mussulmane espresse nelle leggende e nelle pitture (che, come dimostra l’arte Moghul, non erano vietate in assoluto, ma solo in ambito religioso), le donne non sono passivi oggetti sessuali, ma “le potenti Altre” dotate di volontà, bisogni e obiettivi propri. Molti occidentali immaginano ancora che il Sultano fosse un “vecchio vizioso, che passava tutto il suo tempo nell’harem tra profumi, musica e danze, circondato di centinaia di donne seminude aff amate di sesso da parte del loro signore”; al contrario, nell’immaginario musulmano le donne erano agenti attive, i poeti e i pittori le immaginavano, per esempio, a cavallo, armate di arco e frecce per la caccia a bestie selvatiche, e vestite di abiti pesanti! E quando un uomo riusciva a rinchiuderle in un harem, esse opponevano resistenza e sabotavano con l’astuzia e l’abilità della parola tutti i progetti di piacere del loro padrone. Solo degli uomini insicuri davanti alle loro partners, scrive la Mernissi, davanti a donne viste come creature forti e sfuggenti, potevano escogitare un luogo di reclusione come l’harem, e allo stesso tempo dare vita a favole in cui ci sono donne alate che sfuggono a ogni prigione! L’autrice racconta poi che negli harem le donne non erano aff atto nude, ma vestite, e spesso in modo mascolino, con tuniche corte e pantaloni, al punto che i primi europei che furono ammessi a corte da parte di qualche sultano si meravigliavano di queste cortigiane dal “look androgino”, che tuttavia permetteva loro maggiore agilità nei movimenti. Dal passato al presente, Fatema Mernissi non evita aff atto il problema della condizione femminile attuale nei paesi islamici a regime fondamentalista e la confronta con quella dell’Occidente. Accettare la poligamia e l’obbligo del velo, scrive e tanti altri divieti insensati (è di questi giorni la disobbedienza civile delle donne dell’Arabia Saudita contro il divieto di guidare l’automobile), è prestarsi alla farsa del potere, così come in Occidente assumere l’aspetto della bellezza televisiva, anoressica e dipinta, è prestarsi alla farsa del mercato. In entrambi i casi le donne esistono solo attraverso lo sguardo degli altri, degli osservatori, che in un caso vietano e nell’altro esibiscono, ma sempre negano alle donne la loro realtà di soggetti. “Congelate” nella loro passività, scrive Fatema Mernissi, la donna islamica obbligata in passato a vivere nell’harem, e oggi a indossare il velo, e la donna occidentale soggetta alla “dittatura” dell’apparire e “della taglia 42”, fi niscono per assomigliarsi. Ne L’Harem e l’Occidente leggende islamiche, arte asiatica e impegno democratico convivono in modo molto originale, contrastando luoghi comuni, di ieri e di oggi, tra Oriente e Occidente; e allo stesso tempo, condannando la sopraff azione delle donne da parte del fondamentalismo in mano maschile, incoraggia alla consapevolezza dell’importanza della comunicazione reciproca tra uomini e donne, comunicazione che non può essere autentica senza che le due “metà del mondo” siano sullo stesso piano. |