Appena arrivai ad Hangzhou, mi ritrovai in luogo tanto sconosciuto quanto familiare. Di sera, in una graziosa via del centro, una fiumana di persone scorre rapida. Il brusio del vociare e della miriade di piedi in movimento si mischia alle grida di istrioni vestiti con abiti tradizionali che, con interminabili cantilene, invitano i passanti ad assistere a spettacoli di burattini.
Poco distante, anziani si esibiscono con strumenti tradizionali, e ancora commesse sorridenti fanno capolino dagli usci dei negozi per invitarti ad acquistare il profumatissimo tè verde Longjing e altri prodotti tipici. Su entrambi i lati della via, all’interno di edifici dall’aspetto antico, si trovano negozi di souvenir di ogni sorta, ma anche negozi di moda, e fast food. Siamo in via Hefang, la “via dei souvenir” di Hangzhou, angolo di vita brulicante e vivace, che unisce vecchio e nuovo, locale e straniero. Sarà la nostalgia di casa, sarà che spesso di fronte a qualcosa di nuovo ci viene istintivamente da paragonarlo a ciò che meglio conosciamo, ma a me è subito venuta in mente via Garibaldi a Torino, con i suoi splendidi palazzi settecenteschi, le gelaterie, i caffè e i negozi. Pensandoci su però, si può notare come Hangzhou e Torino abbiano effettivamente qualche punto in comune. Hangzhou è il capoluogo della provincia del Zhejiang, provincia dalla quale proviene la maggior parte dei cinesi presenti in Italia e in ogni angolo del mondo. Popolata da circa nove milioni di abitanti, Hangzhou si situa a sud del Fiume Azzurro, a 140 km da Shanghai. Se Shanghai è uno dei centri economici e finanziari del paese, Hangzhou ha la fama di città turistica, grazie ai suoi parchi, e le meraviglie floreali dei suoi giardini, ora fioriscono i ciliegi e i pruni, per scenari da fiaba. Ma la vera star è il Lago d’Occidente. Lo scorso anno, il lago è entrato nella lista dei patrimoni dell’UNESCO come “paesaggio culturale”, per il fatto che non solo propone scenari naturali di rara bellezza, ma è anche “migliorato” da elementi artificiali costruiti sin dall’antichità, ponti, dighe, pagode, famosa è quella di Leifeng, e templi, tra cui spicca quello buddhista di Lingyin. Questi scenari sono un eccellente esempio dell’attenzione dei cinesi a modellare il paesaggio per ricercare la perfetta armonia tra uomo e natura. A Torino, le colline di Borgo Po e il parco del Valentino, la Palazzina di Stupinigi e la Reggia di Venaria, contribuiscono a creare un patrimonio paesaggistico e culturale tra i più importanti d’Italia. Hangzhou e Torino hanno entrambe un passato da capitale: Torino ha appena finito di festeggiare i 150 anni dell’unità d’Italia, rispolverando le vestigia di prima capitale della penisola. Hangzhou fu la capitale durante la dinastia dei Song Meridionali dal 1127 al 1279, e a quei tempi era popolata da scrittori, filosofi, poeti e pittori, molti dei quali diedero contributi importanti alla cultura del paese. La Torino risorgimentale invece, produsse tra le personalità più importanti in campo politico della storia italiana. Hangzhou è anche la capitale del “relax”, concetto tema di convegni internazionali che eleggono il grado di vivibilità delle città nel mondo, e a cui lo scorso anno è stato dedicato il World Leisure Expo. Si pensava che i cinesi fossero tutti lavoratori instancabili, e invece si scopre che c’è chi parla la lingua del buon vivere, familiare alle orecchie di noi italiani. In una città così, conosciuta come il “paradiso in terra” dai cinesi, e definita da Marco Polo come “la città più bella del mondo”, anche il cibo è degno di nota. La cucina di qui è caratterizzata da sapori naturali e delicati, diversamente dall’idea che comunemente si ha della cucina cinese. Celebri sono i pesci d’acqua dolce, ma anche un particolare pollo arrosto avvolto in foglie di loto, e ancora le “orecchie di gatto”, non temete, si tratta di un tipo di pasta per minestra a forma triangolare. Ma uno dei piatti simbolo è una specialità che tuttavia è un’eccezione alla regola del cibo leggero e delicato: la carne alla Dongpo. Si tratta di un cubo di carne di maiale, con uno spesso strato di grasso. La leggenda vuole che Su Dongpo, poeta e abile politico, un “Cavour” molto amato dalla gente, ricevette in regalo dalla popolazione della carne di maiale e del vino. Egli che era molto magnanimo, volle condividere il dono con i cittadini e propose “Mangiamo la carne e il vino assieme”. Pare che i cittadini interpretarono diversamente le sue parole e, credendo di eseguire il suo ordine, cucinarono la carne assieme al vino. Ne risultò una carne saporita, tenera e succulenta, che il poeta apprezzò talmente tanto che finì col essere conosciuta con il suo nome. Questa è effettivamente una pietanza molto grassa, che non dà però un senso di nausea, ma un gusto delizioso ed equilibrato. Non proprio un “Brasato al Barolo”, ma senz’altro meritevole di plauso! Ovviamente, cercando di paragonare due culture molto diverse si rischia di peccare di superficialità. Tanto ci sarebbe ancora da dire. Ma trovo comunque interessante cercare con occhio curioso quello che possiamo avere in comune. Non bisogna ovviamente trascurare le peculiarità, anzi, ma spesso rendendoci conto di quanto siamo simili possiamo essere più disposti a conoscere le rispettive differenze. Mi sono permesso di giocare mettendo di fronte due città che amo, come a voler proporre una stretta di mano ideale tra le due città, che seppur tanto lontane e parlando lingue diverse, credo potrebbero capirsi! |