Alla scoperta di Wencheng Stampa
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Abbiamo appena fatto ingresso in una piccola valle, racchiusa da alti picchi verde smeraldo. Uno stretto ponte sospeso su uno specchio di acqua cristallina separa il nostro mondo da un luogo fiabesco. Ci troviamo al parco di Longqiyuan, a Wencheng. Da qui, piccolo centro nella provincia del Zhejiang, a pochi kilometri da Wenzhou, proviene la maggior parte dei cinesi presenti in Italia. Chen Ming, presidente onorario dell’Associazione Nuova Generazione Italo-cinese, è la mia guida d’eccezione.

Seguiamo il sentiero, attraversando piccoli torrenti, respirando aria frizzante, alzando la testa al cielo ad ammirare angoli di cielo cobalto tra le fronde degli alberi. Il fatto che sul sentiero siano posizionati cartelli con indicazioni anche in italiano rende questo un luogo probabilmente unico in Cina, segno del legame che questo territorio ha con l’Italia grazie alla popolazione emigrata. Vediamo una diga, una donna accovacciata sul bordo è intenta a sciacquare erbe appena colte. La diga forma un piccolo bacino d’acqua sul fianco di un’enorme parete di roccia. Sul lato opposto, dei tavolini ed una piccola area di ristoro. Qui le donne vendono bevande e spuntini ottenuti con prodotti locali. Interessante è la bevanda che ordiniamo: l’erba che la donna ha appena lavato ci viene servita come infuso. Ming mi dice che si tratta di bailuodi, un erba tipica di questa zona, ottima per la salute, che i locali usano anche per preparare minestre e condire piatti. Presenta un aroma marcato e gradevole. Ci sediamo dirimpetto al lago, con la parete di roccia che ci sovrasta.

Non c’è nessun altro turista.

Qui, al bordo dell’acqua e nelle frescura della folta vegetazione godiamo di questa quiete. Giunti alla fine di questa piccola vallata, costeggiamo un lago in cui il paesaggio circostante si specchia vanitoso. Proprio su queste sponde vive una famiglia dell’etnia She, minoranza etnica che si trova unicamente un questa zona impervia e che in passato viveva isolata dai contatti con l’esterno. Una bellissima ragazza vestita in abiti tradizionali si esibisce nelle danze della sua etnia, a cui assistiamo estasiati e in silenzio. Subito dopo ad esibirsi è sua figlia, una bimba a occhio e croce sui quattro anni, danza lo stesso ballo della madre. Ci stupiamo nel vedere come la bimba, seppur limitata dal suo giovane corpicino, imiti con notevole accuratezza i gesti della madre. Applaudiamo divertiti! Ci apprestiamo ad abbandonare questo luogo incantato, e per farlo dobbiamo attraversare la Galleria della vita, una piccola e buia galleria che penetra nella montagna per quasi un chilometro. Il mio Virgilio provoca: “è una galleria che ci porta dalla vita alla morte o dalla morte alla vita?” Mi piace pensare che siamo appena stati catapultati in un’altra dimensione, in una specie di sogno, e se si dice che i sogni sono parenti stretti della morte, concludo che ora stiamo facendo il nostro ritorno alla vita. Dopo un lungo cammino nell’oscurità, torniamo nuovamente alla luce, come dopo un parto, una rinascita.

 

E chissà se dopo questo viaggio nell’aldilà dentro di noi qualcosa è cambiato? Cosa abbiamo portato con noi da questa esperienza? Sicuramente, un grande appetito! E allora ci fermiamo in una bettola non lontana. Gustiamo pietanze tipiche del territorio, funghi, bambù, pesce di torrente, persino dei gustosi spaghetti realizzati con la farina di patate e saltati con verdure miste e pancetta. Ritroviamo l’erba bailuodi, qui proposta in una zuppa. Tutti i piatti hanno l’inconfondibile sapore della terra, della natura, il gusto genuino dei prodotti dell’orto, senza fronzoli e sofisticatezze.

Scende la sera su Wencheng. Io e Ming percorriamo la passeggiata sul lungofiume nel centro del paese. L’area ha un aspetto curato e pulito. “Wencheng è migliorata molto negli ultimi anni, è una città turistica, vivace nei periodi festivi, ma tranquilla e vivibile durante l’anno” mi racconta Ming. L’acqua del fiume è pulita, come quella di tutta la zona, tanto che “è l’acqua di Wencheng che va a riempire i serbatoi di Wenzhou, la grande città”. Per finire, Ming mi porta a visitare la parte vecchia di Wencheng. Percorriamo una via, su di essa, ancora oggi, si affacciano vecchi edifici. “Quando ero piccolo percorrevo questa strada tutte le mattine per andare a scuola” commenta la mia guida. Ming mi conduce quindi in un vicolo stretto e buio, i muri in blocchi di pietra grezza, il selciato di ciottoli: in fondo, una grande casa, una finestra al secondo piano illuminata. “Questa è la casa dove abitavamo io e la mia famiglia. Ora è ceduta in affitto”. A questa vista, rivedo di fronte ai miei occhi la grande casa in campagna dei miei bisnonni. Ad un tratto i nostri ricordi si intrecciano, rivedo me stesso e il mio passato, il vicino e il lontano acquistano un altro senso. È il fascino del viaggio, una continua scoperta e riscoperta, un continuo lasciarsi sorprendere.

Ho sempre pensato che per me un viaggio nella zona di Wenzhou sarebbe stato come un viaggio alla Mecca, dopo aver letto libri, racconti, interviste sull’argomento, e l’attesa è stata ripagata. Ancora una volta lo studio e il viaggio vanno di pari passo, come nel detto cinese “Leggere diecimila libri, viaggiare per diecimila miglia”. Ma la soddisfazione più grande del viaggio non è conoscere ma raccontare e dar la possibilità ad altri di conoscere. E quindi, leggere diecimila libri, viaggiare per diecimila miglia, scrivere diecimila parole… Ammesso che bastino a descrivere certi luoghi!